PRIMAVERA DEI TEATRI 2mila1
Laboratorio d'arte dello spettatore in rete
diario 100601
     
     
     
 
     
     
   

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Inizia la rassegna a tutti gli effetti, con un’intensa tavola rotonda sul teatro della diversità e una serie di spettacoli che vedono protagonisti giovani handicappati e anziani goduriosi e un video realizzato in un carcere calabrese.

Le nostre scritture sono veloci, poco mediate, addirittura "barbare"...

PROGRAMMA

Lo sguardo teatrale come preghiera
È domenica mattina, bella luce e bella atmosfera nel protoconvento dove s’apre di fatto la primavera dei teatri con una tavola rotonda bella densa: "il ruolo sociale del teatro". Emergono dei concetti che vale la pena rilanciare: il teatro è necessario per chi lo fa ma anche per chi vi partecipa, condividendo cioè l'esperienza creativa di una comunità che trova la forma per comunicare di sé. Apre Marisa (Urso), assessore alle politiche sociali del comune di Castrovillari, e ci colpisce per la lucidità di un’analisi che trova nel teatro ciò che è capace di far uscire qualcosa che si annida nel profondo. Questa è esperienza educativa: educare infatti significa tirar fuori. E dice, attenti ai blabla di chi spesso si parla addosso. Bene, l’incontro parte bene, tende a concentrarsi sulle esperienze e a non sciorinare buonismi e coperture istituzionali. Saverio passa il testimone a Vito (Minoia) che con la rivista "Catarsi/teatri delle diversità" sta di fatto creando la piattaforma principale per il confronto su queste tematiche. Ci parla de "il recupero dell'identità di una persona" e descrive una situazione, un evento in cui ha visto come sono cambiati i codici dell’applauso teatrale con i sordi che agitano le mani aperte. Lina (Grisolia) del comitato delle famiglie dei disabili, sostiene quanto sia importante far venire fuori la sicurezza di sé e principalmente come si debbano trasformare in impegno costante queste occasioni. Dice poi una cosa che mi fa scattare a raffica tutta una serie di pensieri: "quelle volte che ho visto lo spettacolo è stato come sé stessi pregando". Lo sguardo teatrale come preghiera laica! In questa idea risiede un valore profondo di condivisione, arriva fino a quello di compassione, nel senso più buddista che cristiano. La sua riflessione è accurata.
Giovanni con il mio palmare scrive tanto, tantè che dentro questo diario ho inserito un po’ dei suoi appunti.
E poi in quella tavola rotonda parlo anch’io, mi chiamano, non lo avevo valutato, dico le mie cose (sono curioso di vedere cosa vanno a rilevare gli altri miei compagni dello spettatorelab), e in particolare faccio riferimento all’alterità come risorsa di cui parlai anni fa con Renato Curcio in una densa ed emozionata conversazione, una riflessione che espande la questione oltre il fenomeno dei "teatri della diversità" ma, sono convinto, contribuisce a trovare la chiave più particolare dell’intera questione. (carlo con l’aiuto di giovanni)

Il disagio visto da uno spettatore professionista
Lo spettatore professionista e non critico, così ci tiene a precisare Facchinelli, deve entrare nei meandri dell’anima umana e cogliere il mezzo che abbatta le barriere create da noi per difenderci. Riprendendo il concetto del fool di Shakespeare che era un diverso guardato con altri occhi alla fine del 500, con una voglia di cancellare la diversità trasformandola in ricchezza. Ecco perché l’intervento della scuola che è prima forma sociale, attraverso i suoi operatori, è fondamentale.
Si vuole sviluppare il senso sociale di educazione civica in questo trova conforto nell’opera del Kismet che tende ad una valorizzazione delle diversità, affinché il mondo si accorga di loro, perchè i gesti del teatro ‘altro’ hanno un fortissimo codice espressivo. (checca)

Su ciò che vediamo c’è qualcosa che ci riguarda
Carlo introduce le sue considerazioni su una frase detta dalla signora Grisolia presidentessa dell’associazione disabili e cioè che lo sguardo teatrale è come una preghiera. Si, una preghiera, un momento di riflessione nella propria debolezza umana, un momento per cui l’animo si mette a nudo e proietta ciò che è sepolto nella propria memoria nelle percezioni visive prodotte da uno spettacolo. Quindi il teatro non è solo arte e forma dello spettacolo, ma è riscoprire le nostre verità scambiando energie con gli altri. Ecco perché le nuove tecnologie favoriscono questo processo, perché esse stimolano lo scambio, l’interazione con le memorie nascoste degli altri, sono mezzi più veloci, più informativi, che aiutano l’indagine sulla nostra persona.
Nei nostri giudizi, nelle nostre impressioni su quello che vediamo c’è sempre qualcosa che riguarda noi stessi. (checca)

La maschera di Pinocchio e le maschere dei giovani diversi
Dopo il confronto della mattinata entriamo nel merito di quel teatro che si misura direttamente con la questione: in che modo realizzare uno spettacolo con ragazzi handicappati?.
Dario di Scena Verticale ci da la prima risposta componendo una scena in cui la maschera di Pinocchio viene assunta da tutti i ragazzi: ovvero dalle tante "maschere" di quei ragazzi che finalmente godono e giocano con leggerezza la loro anormalità. I loro visi sono già maschere espressioniste e una volta tanto gli danno ciò che gli serve. Senza imbarazzi. Anzi.
Capisci come il teatro possa potenziare l’autostima, semplicemente valorizzando la tua particolarità, il tuo deficit.
In quel lavoro c’è tutto il valore di un’esperienza pedagogica ma anche quella qualità teatrale a cui basta pochissimo per raggiungere una compiutezza formale affascinante (dovrebbe stilizzare ancora di più sui quadri scenici… l’entrata del funerale è strepitosa…).
Dal nostro laboratorio vengono lanciati sguardi a ripetizione, s’è aggregata anche giulia che con i suoi 9 anni sta abbassando la media dell’età del gruppo (non ci bastava giovanni con i suoi 14 anni!).
No, non ci bastava. E ci piace proprio questo fatto. Non cerchiamo risoluzione delle scritture, ci va di creare clima più armonioso e partecipativo possibile intorno al teatro che accade, per portarne l’eco nel web. (carlo)

Il problema dell’alterità e disabilità
Socialità, handicap, teatro, retorica, scuola, carceri, catarsi per entrare addentro alle cose, queste le tematiche ricorrenti all’incontro di oggi sulle politiche sociali e il teatro.
La lunga presentazione dell’Assessore alle politiche sociali ha voluto introdurre, a somme righe, lo specifico dell’incontro e cioè la presentazione dei lavori compiuti con le c.d. categorie altre.
L’alterità è, alla fine, risultato l’argomento principe della giornata. Toccante l’introduzione al lavoro da parte del presidente della Associazione disabili Grisolia, impegnata in prima persona, come madre poi come cittadina, nel portare avanti l’aiuto verso ragazzi portatori di handicap. Amore nelle sue parole, soddisfazioni alla propria impotenza nel risolvere problemi così grandi, voler lenire il proprio dolore vedendo che, anche se con sforzo, i ragazzi riuscivano in un’impresa così da ‘normali’. Mi rendo conto di quale piacere possa provocare in una madre vedere suo figlio realizzato nel suo piccolo, e gioire come tutti gli altri ragazzi della sua età, ma , come al solito, mi soffermo e penso che siamo arrivati nel terzo millennio e parliamo ancora di diversità. Un vecchio e sano proverbio dice che gli anormali sono i normali. Dario, regista e operatore di uno spettacolo di teatro sociale, Pinocchio, mi pare che ci si sia impegnato attraverso un’ottica più costruttiva, di sperimentazione su se stesso, ma con la voglia di apprendere da persone che solo vivono diversamente da lui e da come le abitudini della globalizzazione vogliono. È solo un pensiero, una constatazione di come siamo ancora indietro nel risolvere questi problemi, prima costruiamo le barriere e le categorie poi vogliamo superarle. L’impegno di ognuno di noi nell’affrontare il problema e di viverlo come una delle tante forme della vita e non come un ‘altro’ da noi. I disabili sono aggravati nella loro sofferenza dal nostro atteggiamento. Credo che ormai ciò sia una convinzione comune, bisognerebbe essere solo un po’ più coerenti nella vita di tutti i giorni. (francesca)

Benessere nel rendersi utili
"Il carcere ti chiude la porta della vita e vivi da morto; quando la porta della vita si riapre e puoi essere vivo tu sei morto.", queste le parole conclusive di una delle poesie di un giovane detenuto che ha partecipato al laboratorio nella casa circondariale di Paola. Delle poesie bellissime, mostrano tutte l’enorme disagio sociale che vivono quotidianamente questi ragazzi. La Presidentessa dell’Osservatorio sulla criminalità, fautrice del progetto approvato con la legge 309, che ha portato il teatro nelle carceri, mette in evidenza come tali ragazzi mostrino una percezione negativa di se stessi e delle proprie potenzialità. Pensano di essere privi di risorse perché poveri o non istruiti, invece attraverso questo lavoro si sono rivelati poeti, presentatori, burattinai, drammaturghi. Anche da questa considerazione si rafforza la mia idea che continuando a costruire categorie sociali e mentali, non si potrà raggiungere un’umanità globale, nel senso di possibilità per tutti allo stesso modo. Voglio dire, le tecniche di rieducazione o riabilitazione sono ancora troppo vincolate a regolamenti e strumenti che appartengono ad una visione del mondo del passato. Tuttavia aprire una breccia di fattibilità per raggiungere questo obiettivo è una fonte di benessere individuale. E’ bello constatare che c’è qualcuno che lo faccia. (francesca)  

Le battute e le mosse buffe
Io sono Pinocchio è uno spettacolo di cui io già conoscevo il testo ed è stato interpretato molto bene. A me questo spettacolo ha commosso molto, io credo che a tutti è piaciuto molto.Quei bambini pur avendo un’handicap sono riusciti a fare uno spettacolo intero molto bello,commovente e con tante altre caratteristiche.Questi bambini oltre tutto hanno fatto molto ridere facendo battute e mosse buffe… Ha fatto molto ridere l’imitazione del gatto e la volpe perché facevano molte facce strane.Concludo scrivendo che questo spettacolo è stato davvero appassionante. (giulia)

Dettagli ed emozioni
La diversità non esiste. Da quando esiste la biodiversità almeno: cioè il mondo che conosciamo. Allora perché il bisogno di dirselo. E’ stato interessante come "spettatore" questa mattina osservare come: anche in epoche come la ns.in cui tutti siamo disabili. disabili anche gravi. con poche pochissime "abilità". si sente il bisogno di dirselo, di dirselo ancora che nessuno è diverso da nessuno.
Perfino tra i teatranti si vuole cominciare col dirlo nell’edizione 2001 di Primavera dei teatri che apre il suo cartellone con una tavola rotonda su teatro e impegno civile.
Ma parlare di "diversi" anche come "risorsa", "ricchezza", "opportunità" non è forse ancora una coazione a ripetere "positivista"? e la paura di parlare di metadiversità?
come hanno saputo le parole e l’ emozione del poeta pittore, Luigi Le Voci?
Grazie Luigi. (kore01)

L’evasione del corpo attraverso le ali della mente
Il video del laboratorio con i detenuti di Paola per la regia di Antonello Antonante è la prima visione del pomeriggio che mostra i volti dei ragazzi che da dentro leggono le loro lettere d’amore e libertà.
Ripresi. Direttamente dal "bosco del Bistorco" il libro di Renato Curcio che quelle immagini mi evocano; la torsione (il dolore troppo "totale") che si rovescia su sé stesso per trovare la Via di fuga, l’evasione del corpo attraverso le ali della mente, della memoria, dell’anima che non conosce muri.
Poetica del bosco nel racconto dell’appuntamento col Topo all’ora del lancio quotidiano del formaggio dalle sbarre,
Poetica del bosco nell’attesa che la porta della cella si apra col giorno
per ri-accorgersi che anche uscendo si è sempre dentro,
Poetica del bosco nel messaggio d’amore disperato a lei
che è fuori,
Poetica del bosco nel bisogno di pianto che non esce,
Poetica del bosco del Bistorco nel ricordo come "evasione possibile". (kore)

La semplicità sincera
Lavorare con portatori di handicap è un compito molto difficile e delicato. è importante riuscire ad assecondare le difficoltà e le incertezze di persone che vivono una vita più difficile della nostra. Lo spettacolo di questa sera è stata un’esplosione di freschezza e di tenerezza. Uno spettacolo che riesce a commuovere perché gioca sulla delicatezza delle emozioni. Le carezze della fatina al suo Pinocchio, il ballo in carrozzina delle fatine, l’incontro di Geppetto con il suo burattino…. sono tutte realizzate con la massima semplicità; una semplicità,però, estremamente ricca e sincera.Il teatro è finzione, ma davanti ad uno spettacolo come questo, cosa c’è di più vero?
La consapevolezza di trovarmi di fronte alla sincerità più pura degli attori è stata la gioia più grande. (paola)

Il simbolo della metamorfosi
In mattinata interessante tavola rotonda sul ruolo del teatro sociale, quello che cerca linfa vitale nelle cosiddette realtà "diverse", quelle dei reclusi, degli emarginati, dei portatori di handicap. Tanti gli interventi, qualcuno eccessivamente prolisso, degli addetti ai lavori, critici, registi, attori e operatori sociali, riflessioni e spunti tendenti a sottolineare la volontà di fare diventare almeno per una volta i "diversi" attori e non soltanto spettatori passivi dell’arte scenica. Esperienze diverse, accomunate da un unico nobile scopo, quello non di annullare la diversità ma di farla diventare ricchezza, motivo di orgoglio e di una nuova visione dell’arte non più ancorata ai canoni del positivismo imperante, secondo alcuni il vero responsabile della non accettazione della diversità dei cosiddetti normodotati.
Nel pomeriggio la messa in scena diretta da Dario De Luca "Io sono Pinocchio" con i ragazzi portatori di handicap e con gli operatori del Centro di Appoggio Diurno di Castrovillari, molto bella e con originali trovate sceniche. Pinocchio, burattino simbolo della metamorfosi, l’essere di legno come valore aggiunto nel mondo degli esseri umani, che accetta i lati negativi della sua condizione e li fa diventare un’arma vincente per sopravvivere nel mondo degli adulti. Sulla scena nelle vesti del burattino tutti i ragazzi, nell’entusiasmo in questo lavoro teatrale, che rappresenta per loro motivo di grande coinvolgimento emotivo e canale perfetto per esaltare la loro ricchezza interiore.
Napoli - Roma pari, bianconeri ad un passo dal trionfo finale. (michele & mimmo)

Incontro con un gruppo di anziani
La cosa interessante del laboratorio svolto con gli anziani di Formia è che si è assistito all’incontro di persone che sebbene giunte ad una certa età sono tutt’altro che alla fine di una vita d’esperienze completamente diverse.
Ognuno ha il suo passato di vissuto, ognuno con le proprie conclusioni sulla vita. Ognuno potrebbe essere maestro, invece è bello rimettersi in gioco, mettere a disposizioni di tutti le proprie esperienze e continuare ad imparare. Nei loro sguardi intravedo la gioia di sentirsi viva la voglia di divertirsi e di mostrare qualcosa di loro. (francesca)

Un teatro inutile come gli alberi senza frutti indispensabili nelle città senza ossigeno
Sulla scena una ventina di giovani attori anziani di Formia. Stessi pantaloni di raso nero, riproduzione grossolana dei capricci, delle presunzioni, delle stravaganze che tratteggiano la terza età, stessi sogni.
La realizzazione di "Stelle Galeotte" è stata poco convincente dal punto di vista registico. La costruzione, poco armoniosa e troppo piatta nel suo insieme, ha visto un indefinito posizionarsi sulla scena degli attori; attori che per la prima volta si presentano come tali, ma con un grande entusiasmo per la novità.
Gli spettacoli proposti al Protoconvento Domenica 10 Giugno sono stati definiti come forme di "Teatro Necessario". In quest’ottica il ruolo del Teatro trova un suo valore e un suo compito ben definiti.
Diviene consequenziale così anche l’atteggiamento dello spettatore, che si porrà diversamente nei confronti dell’oggetto da esaminare.Un teatro che lavora nel sociale è un teatro che, presumibilmente, si prefigge di regalare qualcosa sia all’attore (con le sue varie provenienze) che allo spettatore. Non si tratta, però, di voler offrire il risultato di un’esperienza artistica,come "può" accadere nel caso di spettacoli con attori professionisti, ma il risultato di un’esperienza umana.
Ci troviamo in un’altra dimensione, non prettamente teatrale, ma che si serve di essa per inserirsi nel sociale. Un teatro necessario, ma potremo anche dire, trasferendo in questo contesto un concetto di E. Barba, un teatro "inutile"che è paragonabile agli alberi senza frutti, proverbialmente inutili, ma indispensabili nelle città senza ossigeno.
Il problema resta dunque su come dare ossigeno anziché toglierlo…! (paola)

Le star del duemila: disabili, anziani e detenuti
L’incontro con i vari coordinatori di alcune rappresentazioni teatrali di stamattina è stato un interessante momento di scambio di idee. L’argomento di sfondo è stato: si può fare teatro con persone disabili anziane o detenuti in cui nessuno riporrebbe un po’ di fiducia ? E quindi il ruolo sociale del teatro.
Sono intervenuti svariati personaggi tra questi Lina la coordinatrice del lavoro svolto con i ragazzi handicappati. Essendo madre di uno di questi ha partecipato molto attivamente al dibattito esponendo argomenti abbastanza interessanti ad esempio durante il lavoro che a guidato il teatro è stato per lei un momento di preghiera. Quest’ultimo è un concetto, almeno a mio avviso, molto interessante in quanto, vedere una rappresentazione di qualunque genere essa sia, dovrebbe sempre essere un momento di riflessione e di preghiera, ed è proprio su questo che mi vorrei soffermarmi. Il teatro infatti, almeno per me è un intenso momento di riflessione e appunto di preghiera. La cosa che mi ha colpito di più, comunque, è stata vedere l’interesse e la cura che queste persone avevano verso i lavori stessi, ma soprattutto sugli attori e quindi sui disabili sui detenuti e sugli anziani. Un teatro che ha come scopo centrale trattare il sociale, secondo me, non fa altro che comunicare qualcosa di profondo che non tutti riescono a recepire ed ecco quindi come il teatro riesce a divenire momento di preghiera. (giovanni)