PRIMAVERA DEI TEATRI 2mila1
Laboratorio d'arte dello spettatore in rete
diario 160601
     
     
     
 
     
     
   


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L’incontro che poteva essere un buon punto di rilancio dell’esperienza di tutti non ci fa incontrare e nel diario se ne parla. Si parla ancora di "quartett" e poi il giallo condominiale di Paradivino.

PROGRAMMA

Tra visioni e identificazioni
In un incontro ci si dovrebbe incontrare, ma non sempre accade.
Mancava Valentina (Valentini) e Paolo (Ruffini) è arrivato in ritardo.
Ma non è tanto questo il punto.
Non si è riusciti a creare quelle condizioni minime per stabilire un comune punto di partenza per una riflessione che potesse dare senso prima di tutto al titolo (perché sottovalutarli?) che recitava:
"Visioni e identificazioni". Poteva essere un’occasione per metter in relazione almeno tre approcci diversi all’oggetto teatro: le visioni degli spettatori, soggettive e partecipate, e le identificazioni critiche e analitiche, sia quelle dei critici-giornalisti che quelle degli studiosi
Si sarebbe potuto aprire un fronte di discussione di bella potenzialità ma si sono intavolate questioni che non si sono incontrate pazienza. Alla prossima. Nel frattempo una di quelle poste da Paolo Ruffini su "i luoghi del teatro" potrebbe trovare uno sviluppo nel forum, se solo volesse.
Basterebbe cliccare qui per entrare nel forum e cliccare popi su "new article" per inaugurare il nuovo argomento di discussione. (carlo)

Cosa resta di Quartett
L’impossibilità per Valmont e Merteuil di sottrarsi al gioco delle parti da loro stessi innescato si concretizza per Vesuvioteatro nell’idea del cubo in scena (gigantesco rompicapo in cui lo spirito del gioco è ritornare alla condizione di partenza dopo averla volutamente sconvolta, e così all’infinito). Se in una piazza, circondato di vita terrena e quotidiana, avrebbe esaltato la dimensione aliena e astratta dello spettacolo, la ridondanza della sua presenza sul palcoscenico può apparire come elevazione al quadrato dello spazio scenico, non più e non solo perimetro magico per gli attori ma cubo trappola per attori e spettatori. Il testo di Heiner Müller sembra subire, di contro, non una moltiplicazione ma una divisione progressiva tra interruzioni, inversioni e ritorni, che pure crea la sensazione della dilatazione temporale. Un flusso di parole che la messa in scena scompone e ricompone lasciando, miracolosamente, uguale a se stesso (identico meccanismo del cubo di Rubik). Ciò che sembra dominare questo spettacolo è la dimensione metateatrale, già molto presente nella drammaturgia di Müller, portata all’esasperazione da un dispositivo scenico efficace e da una presenza attoriale consapevole. (enza)

Liberare l’angelo che dimora in lei
Lettere ritrovate da me medesima, in un alto cubo di plastica, dove i corpi sembrano non toccarsi mai, dopo la performance Quartett. Il mio corpo è in putrefazione, caro visconte Valmont. Il mio petto è vuoto, dal mio seno non esce più latte, ma sangue; diventerò mostro; e potreste guardarmi più senza essere donna che accoglie incondizionatamente ogni volta? No, caro Valmont, perché questo corpo ormai infetto non è più strumento per la vostra libido, è corpo destinato a scendere negli inferi perché la carne non si accoppia più volentieri con la carne; mi riprendo indietro il mondo che ho partorito... adesso siamo solo cancro, amore mio. Carissima marchesa Merteuil, cosa dite mai, io vorrò sempre essere il medico del vostro corpo in putrefazione... cosa può essere la vita senza la morte che noi aspettiamo? Allontaniamo la paura, provando la morte quotidianamente. Innalzo la colomba allo Spirito, per liberare l’angelo che dimora in voi, per ricondurvi al Paradiso, cara marchesa... Devotissimo (valentina)

Stamattina alle 10.00 incontro Alex Gatti, l’attore che ne "Le Argonautiche", interpetra Giasone. Mi chiede, con gentilezza, se posso dargli un passaggio fino al protoconvento. La cosa non mi dispiace affatto. Anzi! L’incontro per me è stato piacevole per vari motivi: 1° perché "stu Giasone è troppo biddu!" (leggi carino).2° sono di buonumore anche se , stamattina, quando di sfuggita ho visto la mia faccia riflessa nello specchio mi sono spaventata nel notare occhiaie profonde e capelli ingovernabili (sic!) 3° perché ieri sera ho saputo che il " Laboratorio Permanente di Ricerca sull’Arte dell’Attore di Domenico Castaldo avrebbe replicato lo spettacolo de "le Argonaute alle 12,30. Naturalmente ho appuntamento con la mia collega Ines che non vede l’ora di vedere lo spettacolo e puntuale, anzi un po’ trafelata, mi presento all’ora convenuta. La rappresentazione si svolge nella sala n. 8. Non c’è scenografia, niente mixer, non un microfono né luci particolari. La sala è vuota ma riempita subito come per magia da gesti e voci che mimano suoni straordinari, da corpi sinuosi e scattanti che danzano avvolgendo tutto lo spazio intorno. Davanti a noi il mare in tempesta, stormi di uccelli in volo e mitici eroi che remano senza tregua. Il pubblico si lascia rapire dall’andamento serrato e mutevole delle scene, dall’intreccio dei dialoghi cantati, dalla visione dei corpi tesi e nello stesso tempo leggeri, armoniosi e infaticabili, in perfetta sintonia fra loro. Domenico e il suo Laboratorio riempiono lo spazio di energia e di forza vitale come se l’uomo, la natura e tutto il creato sia un unico grande ESSERE ANIMATO…BATTE L’ONDA IL REMO VOLA ARGO SUL MARE… e su ogni palcoscenico d ’Italia e del mondo. (gabriella)

Festival come zona temporaneamente autonoma
Appunti da "Visioni e identificazioni" : ore probabilmente 16 o giù di lì.
Ruffini : "Quant’è importante sostare nel posto dove si lavora?"
Se io conducessi attività teatrale, forse mi piacerebbe annusare l’aria che i miei spettatori già conoscono; assaporare i loro cibi, passeggiare per i giardini. Riconosco che questo approccio potrebbe sembrare quasi turistico. Allora, ecco come trasformare un turista per caso in un attore nelle sue scorribande di tournèe: prendere contatti, interagire con i probabili spettatori, incontrarsi con le delegazioni delle scuole che parteciperanno agli spettacoli.
Dal pubblico: "I festival nascono come luoghi dell’invenzione, poi rispondono alle esigenze, quindi divengono delle anteprime come verifica dei progetti teatrali".
Il festival è il luogo dell’evento ed è legato allo spazio. E’ connesso col territorio, pertanto dipende dalle politiche gestionali, dalla rete di sinergie tra enti locali e maestranze e cittadini e associazioni no profit. Significa che un festival che porta compagnie teatrali in una cittadina sul mare è diverso da uno che si svolge tra i monti? Credo sia questa una limitazione priva di senso, che sembra contraddire ciò che è insito nella frase "portatrice di cultura". Quest’ultima deve ampliare gli orizzonti antropici, non irrigidirli.
Carlo : "Una città sede di un festival è una zona temporaneamente autonoma; è un ecosistema".
Ecosistema è un termine che mi riporta alle mie valenze professionali. In ambito ecologico, equivale a considerare le entità animali e vegetali che popolano un territorio caratterizzato anche da fattori abiotici., cioè pressione, temperatura, umidità, e vi risparmio il resto. Ora, in ambito squisitamente teatrale voglio vederlo come riferimento alla ricerca che accompagna il lavorio interno degli attori — il tarlo - , le sperimentazioni, tanto che ogni compagnia può ritenersi indipendente ma non autosufficiente perché i festival diventano sede di confronto.
Castaldo : "Quando ho incontrato i ragazzi del Laboratorio -poiché il mio fine è ottenere la reazione delle persone-, mi son messo in moto per scoprire chi avevo davanti: infatti so che c’è sempre un capobranco, o uno che può diventarlo. Faccio un lavoro di osservazione".
Ma è proprio quello che faccio io quando entro per la prima volta in un un’aula e non conosco la classe! Si saggiano le tipologie, si notano i leader, alcuni in positivo, altri in negativo, si tenta il primo coinvolgimento/aggregazione soprattutto con loro, con i quali è necessario che scatti il feeling; i gregari vengono di seguito, spronati dai compagni che loro stessi ammirano. (ginestra)

La godibile storia di un imbroglio
Nel suggestivo chiostro del Protoconvento, - mentre i porticati inquadrano un rettangolo di cielo da cui il mio amico Mario si ostina a vedere stelle cadenti - va in scena la godibile storia di un imbroglio nel quale scivola un candido signore troppo educato per protestare. E' proprio vero, l'educazione è l'oppio dei poveri di spirito, con tutte le più nobili accezioni evangeliche al riguardo. La vicenda si dipana nel paradosso e nel grottesco; gli spettatori annuiscono, ridono, si divertono. Il quieto vivere costa ma va mantenuto a qualsiasi costo,  specie se ha consentito il raggiungimento di mete altrimenti irrealizzabili. Siamo tutti con lui, col protagonista colpito a tradimento tra le fide pareti domestiche; partecipiamo al suo sbigottimento nel cogliere l'indifferenza, la stupidità degli organi naturalmente preposti, invece, alla salvaguardia e tutela dei cittadini. Comico quasi l'inizio, dolente il finale. (ginestra)   

Diramarsi su più argomenti
Giorno 16 ore 16:00 ci dirigiamo verso il terrazzo per assistere ad una sorta di confronto tra spettatori, attori e giornalisti. Io da bravo spettatore ho partecipato al dibattito, anche se a dirla tutta ci ho capito ben poco. Sono intervenuti giornalisti come Paolo Ruffini, attori come Domenico Castaldo eccetera. Prima di allora non avevo mai sentito parlare Ruffini ma per quel poco che ho sentito durante il dibattito mi sembra una persona molto intelligente ma un po’ testarda. Non avendo seguito l’incontro dall’ inizio non posso dare un giudizio completo su Ruffini comunque, per quello che ho capito, non ha saputo centrare l’ argomento di base, e quindi diramificarsi su più argomenti.(giovanni)

Il ring metafisicoQFino aF
Benvenuti nella scatola magica. Il teatro che incastra. Il gioco del teatro esplicitamente, senza attenuanti, come meccanismo e rompicapo. Una bambina, dopo averci accolti in platea a mo’ di filastrocca, ci introduce nella scatola teatrale. Un incipit un po’ alla Carroll, per poi snodarsi verso altri percorsi teatrali. Una volta dentro la scatola i meccanismi vengono rivelati. Messi a nudo. Senza illusioni e senza mediazioni. Un lampadario diventa l’unico orpello scenografico per rappresentare/sintetizzare il dramma settecentesco tratto dal romanzo di Choderlos De Laclos: "Le relazioni pericolose". Anche qui i meccanismi sono congeniati e "messi in moto" per strutturare e innestare reazioni a catena, ma non di ludiche macchine cigolanti, ma di umani. Attraverso un sistema labirintico in plexiglass, i due protagonisti sono isolati materialmente e interiormente nei propri spazi. Senza nessuna possibilità di incontrarsi mai. Lo scontro indiretto, in questo ring metafisico, è prettamente verbale. Un massacro di parole (di Muller), dove vittima e carnefice consumano le proprie battute fino alla estenuazione. Fino alla fine. Dopo resta solo il silenzio. (elehcim)