PRIMAVERA DEI TEATRI 2mila1
Laboratorio d'arte dello spettatore in rete
diario 120601
     
     
     
 
     
     
   

 

entra nel forum!

Si apre con il Teatro Aperto e il suo "pasto nudo" ; arrivano ancora gli sguardi sulle repliche di Krypton e di chi ha conquistato il suo posto a tavola con le nostre carissime Ariette. Il diario segue l’andamento degli spettacoli visti anche nel corso delle loro repliche.

PROGRAMMA


Prendete e mangiate il mio corpo
Oggi vi offro una storia che sarete voi a viverla come verità o finzione, ma sappiate che state per mangiare un pezzetto della mia autobiografia.
Un giorno mi alzai e decisi di allargare il mio corpo. Incominciai a mettere in bocca, senza fermarmi mai, tutto ciò che questa membrana plastica poteva contenere, allargandosi… sentivo la mia pancia che piano piano prendeva una forma sempre più sferica, i miei seni si ingrandivano e i miei fianchi si espandevano. Io mi piacevo perché mi sentivo più donna , ma gli altri dicevano che ero troppo grassa.
Una notte poi , sognai che mi restringevo sempre più , a sottrazione dei miei piani superficiali fino a quelli più intimi. Allora decisi di non mangiare più e di non modellare il mio corpo, ma costringerlo a patire. Io mi sentivo leggera, ma agli altri non piacevo, ero troppo magra dicevano.
Oggi ho deciso di lasciarlo libero ai suoi bisogni… chissà che diranno gli altri.
Adesso entrate nel mio teatro e prendete e mangiate il mio corpo, che qui su questo tavolo vi offro.
Dimenticavo, tutto questo è liberamente ispirato allo spettacolo " Legittima difesa " di Teatro Aperto.
Buon Appetito !!! (valentina )

 

L’energia dell’attore che schiaffeggia la mia indifferenza
La guerra, il tema dello spettacolo "Roccu u stortu", si avverte tensione. La guerra è fatta di scontri, contrapposizioni, è orrore permesso e, combattere (qualsiasi guerra anche le private) crea paure, terrore. Si avverte. Non riesco a "entrare" sento confusione nel testo, chiusura nella scenografia. La musica mi prende ma troppo presto mi abbandona. L’energia dell’attore schiaffeggia la mia indifferenza, ma inseguo quella che inutilmente si perde e...lo spettacolo si è concluso. (marialuigia)

 

Il tempo sciocco
Morbido quel corpo di donna che ci accoglie ricorda la panna, il burro, soffici e gustosi; forse perché una tavola apparecchiata, ai suoi piedi, riporta al cibo e il neon che la illumina ad una discoteca. Silenzio, lungo Silenzio, rotto da una canzone che parla di Milano e di come tutti/o aspiri al perfetto perdendo bellezza, in quella città. Quel corpo, di spalle, inizia a parlare, ed è cura di sé oli spalmati, lenzuola di lino ma anche carne che non può che diventare pezzetti, deve per forza imputridire. Si volta quel corpo, gira su se, e quando si ferma si espande il viso. Un viso espressivo. Parla quel viso, più di tutte le parole che sento. Le sopracciglia esprimono sorpresa, perplessità, curiosità. Gesti minimi e l’energia la senti precisa, ribelle; sa dove mirare quel corpo non si perde, mira e colpisce da ogni suo punto. Sgabello che solleva un corpo, corpo che, per il solo fatto di esserci, sostiene il pensiero. Ricerca di cibo, di nuovi (o vecchi) ingredienti, ricerca di se e degli altri attraverso un invito. Cucinare gli ingredienti "scovati" per offrire, ma soprattutto per affermarsi, per darsi un senso. E’ ironico il viso e demolisce ogni ricerca di perfezione che costringe il nostro tempo (e Milano), la banalizza, la rende inutile. Si, ci mostra quanto sia sciocco. Brava, veramente brava l’attrice (Federica del TEATRO APERTO), che gioca nella sua nudità senza avere sesso. Scende, si veste e diventa donna, e sa tentare. Trasforma il suo nudo, coperto, in sensualità. Diverte, fa sorridere la tagliente ironia che fa riconoscere la stupidità. (marialuigia)

Non c’è possibilità di fingere di far teatro
Una bambola nuda in carne e ossa è seduta su uno sgabello con la schiena rivolta al pubblico, sulla scena mezzi busti disposti con una rigorosa geometria, davanti a lei fino a raggiungere la platea una tavola apparecchiata.Una canzone che parla di Milano fa da cornice a questo scenario. Così si apre lo spettacolo "legittima difesa" di Teatro Aperto.Lo sgabello inizia a ruotare e la bambola si anima. Corpo e cibo occupano la prima parte della performance. Zuppe insipide e carni stracotte.Seguo con fatica la descrizione di alcune ricette, la deteriorizzazione degli elementi che le compongono. È il tabù del cibo è il tabù del corpo.È forse un pretesto?
Il gioco diventa più esplicito e coinvolgente quando una voce fuori campo, tipica espressione del critico intellettuale,inizia a porre una serie di interrogativi riguardo il teatro all’attonita fanciulla.
Esce fuori la bravura dell’attrice, che senza proferir parola , accennando una leggera mimica facciale densa di risposte riesce a spiazzare il suo interlocutore e le forme di teatro convenzionale.
Il gioco ricomincia, avviene la rottura. La bambola si alza dal suo sgabello e tira fuori da una borsa dietro di se una enorme sfera luccicante che inizia a ruotare seguendo il ritmo incalzante di Rock’n roll robot. Luci da discoteca circondano il palcoscenico. La candida bambolina indossando un abito rosso fuoco si trasforma in una ironica e sensuale Madonna stile anni ottanta che inizia ballando ad occupare lo spazio circostante . La rigidità della scena prende vita, le sculture vengono distrutte dalla bravissima attrice con irruenza e delicatezza assieme. Continua a ballare con fare ammiccante la rossa Francesca invadendo anche la platea che divertita assiste alla liberazione giocosa dell’artificio per arrivare alla sincerità con cui si devono dire le cose. (ivana)

Un perfetto incrocio tra arte e vita.
Sin dalla prima lettura del programma degli spettacoli del Festival, ero rimasta incuriosita dal Teatro delle Ariette , Teatro da Mangiare? Incontro gastronomico, prenotarsi per pranzo o per cena.
Beppe ci ha accompagnati a villa Ilva, dove una tavola imbandita ci aspettava. Si è subito creato un clima conviviale , buon vino, pomodori con salsa alle erbette, pane fatto in casa. Siamo ospiti in casa loro, preparano il nostro pranzo. Incomincia con una sferzata che colpisce allo stomaco (come il cibo) il monologo di Paola, di come abbandonando il teatro delle "convenzioni" sono arrivati alla vita vera. Ma il teatro non li ha abbandonati, è andato da loro. Si capisce subito che ciò a cui stiamo assistendo è la storia di ognuno di loro.Mentre la pentola bolle , la musica di Edith Piaf accompagna tra gli sguardi divertiti e curiosi il nostro pranzo. Stefano ci parla in modo anche ironico della genuinità dei loro cibi. Le musiche si susseguono , Paola con una parrucca biondo platino atteggia ad una femme fatale un po’ sguaiatella. Ci lasciamo andare , le risate spontanee escono dalle nostre bocche. Ma non è solo questo. I racconti prendono altra forma. Maurizio ci racconta, mentre apre una buona bottiglia di vino , di sé.Legge delle poesie, si tocca il tema della morte. Stiamo entrando tutti di più nel loro mondo. Paola si appresta a leggere un diario , parla della propria madre, si commuove. Qualche lacrima incomincia a rigare il nostro viso. Arrivano le altre pietanze, frittate alle erbe, formaggi e salumi , si riprende a sorridere . E’ la volta di Stefano che con una chitarra in mano, interagendo con noi, canta una canzone d’ amore dedicata alla moglie. L’atmosfera è allegra, vien voglia di accompagnare a suon di mani la performance di Stefano. E’ un inno all’amore.. Ci passiamo i piatti, le tagliatelle son quasi pronte .Scherziamo con loro, con Paola che vestita da clown ci passa le foto dei suoi animali. La musica imperversa , e le tagliatelle sono a tavola. I nostri amici si cambiano e ci raggiungono. (ivana)

Evviva il teatro evviva mangiare
Giorno 12: lo spettacolo delle ariette è stato, forse, uno degli spettacoli più belli a cui abbia assistito.
Nuotando nell’aria calda e densa, come se fosse per l'appunto acqua, ci affrettiamo ad arrivare, incuriositissimi, in una villa di campagna dove ci attende lo spettacolo delle ariette. Arrivati ci sedemmo subito a tavola e dopo un trionfale buon appetito ci vennero serviti ogni genere di ben di Dio. Tra una portata e l’altra, naturalmente, gli "attori" ci recitavano passi della loro opera scritta proprio da loro.
Dico che forse è una delle più belle opere che ho visto perché in tutta allegria e disinvoltura riesce a farsi piacere. Rimane solo un problema però: capire se lo spettatore è interessato al cibo che sta mangiando o allo spettacolo che sta vedendo. Indipendentemente dal fatto che le due cose erano ben amalgamate tra di loro il problema può sorgere comunque, uno degli attori precisamente la cuoca raccontava di persone che sono arrivate attratte dallo spettacolo e poi sono andate via impressionate solo dal cibo. (giovanni)

Un sogno ammazzato.
Il teatro ti distrugge per farti rinascere rinnovato.
In modo quasi divertente in dialetto cosentino very doc.
Il dialetto si sa è la lingua che va diretta allo scopo e al cuore di chi l’ascolta, riesce a dare immediatamente il senso di quello che si vuole rappresentare, ottimo mezzo teatrale. La compagnia dei Cauteruccio è bravissima a fare questo.
"Rocco ‘u sturto", sturto perché è morto prima del tempo, sturto perché è stato uno sbaglio… non doveva morire, ci aveva creduto veramente nella promessa di un pezzo di terra tutto suo da coltivare, finalmente la sua lotta verso i padroni poteva fermarsi, perché lui stesso sarebbe diventato un padrone. Non più miseria, non più umiliazioni e sfruttamento, avrebbe accettato qualsiasi cosa per riuscirci anche la guerra!
L’orrore generato da una pratica così aberrante è raffigurata da tre soggetti che lui chiama ‘re maggi’, ma non portano oro, incenso e mirra, ma ferite putrolente, sputi sul mondo e nudità. Uomini trasformati in bestie che reagiscono alla prepotenza dell’ufficiale con altrettanta violenza accompagnata dall’odio, quell’odio di cui è capace solo chi è stato usurpato e privato da ogni forma di umanità dalla violenza omicida altrui. Rocco, un ragazzo come tanti, con i suoi sogni, la sua simpatia nel godersi la vita e la sua ignoranza imposta dallo stato di povertà che lo affliggeva, i suoi sentimenti di figlio che invoca la mamma, unica vera fonte di amore puro, è morto come tanti altri, senza lasciar traccia di sé.
Lo spettatore quasi si affeziona a questo personaggio coinvolgente, così da ridere e piangere insieme a lui e al momento della sua morte la sensazione di morte ingiusta.
Riflessione unanime sugli orrori della guerra che a volte sembra un tema trattato e scontato, ma che mai abbastanza ci appartiene. (francesca)

La vita involontaria nelle trincee scavate nel fango
Spettacolo di Krypton in piazzetta scavata tra due case, "Ruccu u sturtu". L’infame tragedia della Grande Guerra vista attraverso gli occhi di un contadino assetato di terra. I musicisti del Parto delle Nuvole Pesanti issati su tralicci di ferro attori nella vita involontaria in trincee scavate nel fango, echi della rivoluzione bolscevica in lontananza. L’ironia del protagonista serve a sminuire la tensione del dramma, musiche a sottolineare i passaggi cruciali della rappresentazione. Finale apparentemente ambiguo che induce alla confusione tra la morte o il continuare a vivere di Rocco. Musiche esaltanti, suggestive, trascinanti, noto marchio delle Nuvole Pesanti. Linguaggio a metà tra il dialetto calabrese e la lingua del fiorentin poeta. Unico assente dell’evento: il neotecnico del suono, le Petit Beret a passeggio insieme al Giovane Martini. (michele)

Che bell’Ariette che c’è sta sera.
Come può associarsi la gastronomia con il teatro? Un binomio che solo pochi eletti forse possono capire andando al di là del cibo stesso. Una tavolata enorme ben preparata in un giardino da favola, ci ha accolto ieri sera per cena, in un luogo suggestivo sulla via delle vigne qui a Castrovillari. Indaffarati, come in una locanda tra pentoloni e pomodori, i protagonisti dello spettacolo ci hanno aperto le porte della loro storia personale, della loro vita quotidiana. Tra una portata ed un’altra gli attori, marito e moglie, ci hanno servito i più delicati sentimenti che caratterizzano la vita di un uomo, tutto condito dalla loro unione, un amore così grande che riusciva a manifestarsi anche fuori di loro divenendo per i commensali vibrazione inconscia.
La difficoltà della vita, le scelte drastiche per perseguire un sogno, per essere fino in fondo coerenti alle proprie idee. La scelta di questi signori di abbandonare il teatro di mestiere e le futilità di cui è vittima l’uomo di oggi, l’abbandono di un mondo fatto di economia, per ritirarsi in campagna e produrre da sé tutto ciò di cui si ha bisogno per vivere, è un teatro di vita vissuta.
In un alternarsi di toccanti pagine di diario, canzoni e considerazioni sulla vita, mi sono commossa nel rivedere una parte della mia storia, tanto difficilmente rimossa, rivivere insieme a loro, insieme agli odori ai sapori che portavano con sè.
Negli occhi dei nostri ospiti ho rivisto la mia sensibilità, l’amore che ho dentro, lo sguardo di mio nipote, la memoria di mia sorella, le mie scelte mancate.
Potrei continuare ancora per molto l’elenco delle emozioni suscitatemi da questo incontro che è stato cura e dedizione verso i commensali nutrendo insieme corpo e sensibilità dell’anima. (francesca)

L’a-sessualità del nudo
Un corpo seminudo su uno sgabello al centro della scena, che contrasta, con la sua chiarezza, il buio del fondale nero. Voltato di spalle. Solo un paio di stivaletti rossi.
Si comincia a parlare di cibo,di carne, di sangue, si vede la carne, la sua nudità che domina dall’alto, dietro una tavola imbandita.
Si parla di teatro, di finzione, di come "rubare un po’ di tempo allo spettatore per regalarne un po’ del proprio".
Si parla, anzi LEI parla, con parole, sguardi,con pochi, ma precisi, minimali ed energici microgesti.
Utilizza le mani, le braccia, solo di rado le spalle. Ha LEI in mano il potere sulla scena; non un oggetto, non una luce.. tutto riconduce a lei. Le luci azzurre che addobbano la tavola rendono quasi fosforescente la carne bianca del suo corpo; le strutture in gesso, distribuite sulla scena, sottolineano la posizione dominante della nostra lei.
La nudità, che solitamente mi infastidisce sulla scena, adesso non mi ha disturbato. Era un nudo asessuato, naturale, che con calma si è proposto a noi; prima di spalle, poi frontale, poi lateralmente, e ancora in posizione eretta; per finire si è proposto come nudo vestito, molto più erotico e invadente e che stranamente solo adesso si appropria della sua sessualità. (paola)

Raggia e taranta.
Ieri sera esordio all’edizione 2001 di Primavera dei Teatri. Terza fila posti a sedere in piazzetta Civitanova, sono di scena i Kripton con Roccu u stortu di Francesco Suriano con Fulvio Cauteruccio e Luca Rennis. Roccu (Fulvio Cauteruccio), energico e dirompente come lo scoppio di una granata, Roccu sanguigno eroe tragicomico travolto dagli eventi di una guerra troppo grande per lui, Roccu, povero in canna, spirito libero, che anela a divenire proprietario terriero per essere poi egli stesso uno di quei ricchi che tanto odia. L’enfasi della narrazione viene ora interrotta, ora accompagnata dai ritmi forsennati dei musicisti del Parto delle Nuvole Pesanti (qui in formazione ridotta arroccati sulle torrette anti-austriaci): raggia e taranta, grida e azione, sangue e sudore stemperati nelle esplosioni di comicità, ancora più incisive per la recitazione in dialetto calabrese, che riportano lo spettatore in sintonia con l’essere "stortu" di Roccu, sottrattosi dal crudele destino che si è abbattuto sui suoi compagni di trincea della "Brigata Catanzaro", che ha tante cose da raccontare, da gridare, lui che ne ha visto di cose... (mimmo)

Gli orpelli dell’anima e del teatro
La Fracassi, al secolo Federica, è rossa lentigginosetta e richiama pippi calzelunghe della quale riprende le mossette. Come Babette, ci presenta il suo menù con varianti e invarianti, comunicandoci le strategie attuate e da attuare dal corpo per coprire i guasti dei cibi e della carne e chiedendo quasi timidamente cosa fare con quelli dell'anima.
Cosa che fa scaturire riflessioni sugli orpelli dell'anima oltre che del teatro. Specie quelli che coinvolgono nudità asettiche e perciò candide contrapposte a scarpette rosse e vestiti con le frange tivedonotivedo, per non parlare dei tubi fluorescenti o dei 14bicchieri14 di carta posti geometricamente sulla tavola imbandita. Ma il monologo, mi chiedo, sarebbe stato più/meno/ugualmente incisivo se l'attrice fosse stata infagottata in pesanti vesti di lana? E se si fosse vestita come le persone comuni? Ai posteri, con quel che segue..!(ginestra)

Le idee iniziano ad incontrarsi
E’ il quinto giorno che scriviamo a ruota libera, ognuno riporta le sue riflessioni, la sua idea di teatro, le sue impressioni sugli spettacoli. Siamo arrivati ad un punto che necessita di un incontro. E’ indispensabile adesso fare il punto della situazione, tracciare dei concetti che ritornano; quei concetti che hanno più di tutti sorretto ed edificato queste cinque giornate.
Carlo ci manda ad ispezionare il Proto-Convento alla ricerca di un posto fresco dove rifugiarci per sfuggire al caldo soffocante del nostro "bunker".Lo troviamo e predisponiamo lo spazio per un primo incontro di coordinamento. Sistemiamo un lungo tavolo che costituirà il nostro punto di raccoglimento ideale, vista la sua enorme instabilità. Comunque ci sediamo intorno alla nostra idea di tavolo e iniziamo ad esaminare alcuni potenziali Forum per il nostro lavoro.
Introduce Carlo descrivendo la sua idea per procedere. Creare dei Forum, appunto, che riassumano gli argomenti trattati in questi giorni e sui quali poterci confrontare.
Inizio a proporre una prima idea: il teatro nella vita, la vita nel teatro, che scatena subito reazioni contrastanti tra me e Ivana. Cos’è il teatro e cosa la vita, cosa la finzione e cosa la realtà. Insomma….. tutto è relativo. Carlo ci invita a riprendere il confronto utilizzando le pagine del forum. Maria Luigia propone l’idea della crisi nello spettacolo, come punto di risoluzione, come momento di svolta.
In quest’incontro preparatorio si iniziano a proporre e discutere le prime idee e ci si da appuntamento alle ore 18:00 del giorno successivo, con un preciso compito da svolgere a casa: trovare cinque topics, come li ha definiti Carlo. Il giorno dopo ognuno indicherà i suoi per arrivare a selezionarne solo tre. Ma questo lo faremo domani. (paola)

La pasta è in tavola
In netto ritardo scrivo le mie impressioni sul Teatro da mangiare delle Ariette.
Finalmente si mangia!
Sì proprio così, ho esclamato; dopo tanti discorsi, convegni, spettacoli, forum e tavole rotonde....alla buon’ora una bella tavola imbandita, ho pensato.
Ci siamo ritrovati, tra amici e non, commensali, "invitati" a cena da Paola, Stefano e Maurizio, nella splendida villa Ilva nelle Vigne di Castrovillari, fra gli odori e i sapori della buona cucina emiliana. L’Internazionale apre la cena, basta un buon bicchiere di vino color rubino, una chiacchiera e il primo morso alla piadina con l’ottima salsa di yogurt per sentirsi a proprio agio, in un clima d’assoluta serenità.
Stefano racconta: "Nel ’89 decidemmo, Paola ed io, di lasciare il teatro e di ritornare alla vita, ma la vita ci ha fatto rincontrare il teatro". Ed è stato un felice ritorno, mi viene da pensare, Eduardo mangia e non commenta (meno male), mentre Max non riesce a staccarsi dalla salsiccia. Autobiografia e poesia, storie e sogni ci rapiscono, accompagnati dai rumori della cucina, Maurizio che rompe le noci, Stefano che taglia la sfoglia, l’acqua che bolle, rumori che diventano momenti d’impatto scenico. Riempiamo i bicchieri e mangiamo scalogno e parmigiano mentre Paola (a Carlo gli ricorda Annie Lennox, a me Liza Minnelli) ci mostra le foto dei suoi amici animali. Calano le luci, Maurizio con i suoi versi crea l’atmosfera giusta e in un crescendo di emozioni arriva la pasta in tavola: tagliatelle alle noci. Superlativa! Tutti facciamo il bis, Gulliver il facinoroso fa il tris e anche il poker. Brindiamo col Librandi, Stefano ci regala un’ultima canzone, accompagnandosi con la chitarra, la cena è finita.
Ci congediamo da loro salutandoli affettuosamente, i corpi sono sazi, le menti e i cuori anche. (mimmo)

Alla ricerca dei topics-argomenti-parolechiave
Facciamo il punto della situazione. Fuori dal bunker multimediale dove proprio non c’è aria e fa caldo. E’ la caienna della sala macchine. C’è da fare vertenza sindacale: attivare l’aria condizionata!
Sistemiamo un tavolone in una delle stanze fresche del protoconvento e impostiamo la discussione sullo "stato dell’arte". A che punto siamo? Buon punto, risponde l’equipaggio. Bene. Predisponiamoci ad un salto di qualità. Andiamo ad individuare per il forum i topics-argomenti-parolechiave della rassegna. Inizia il lavoro più arduo. (carlo)

‘A livella
A dirla tutta sono andato a vedere "Rocco ‘u sturto" solo per la presenza del "Parto delle Nuvole Pesanti". Mi interessava vedere come la musica di un gruppo rock emergente potesse coniugarsi con uno spettacolo teatrale. Esperienza nuova, inconsueta, almeno per me.
Col senno di poi dico che è stata una figata.
Il Parto non mi ha deluso, ma neanche la performance teatrale. Anzi appena finito ho pensato<<ce ne fossero tante di esperienze così>>.
La guerra, l’odio, la <<raggia>>, come cantano i musicisti calabresi, vista con l’occhio di chi ha perso la sua gioia, la sua spontaneità, la sua terra, la sua libertà, la sua vita per il sogno di avere tutto quello che aveva sempre desiderato: la terra.
Un pezzo di terra idealizzato, sognato..mai trovato. O meglio trovato al momento della morte. Perché "Rocco ‘u stortu" il suo pezzo di terra alla fine, e dico alla fine, lo ha avuto… ma solo per essere seppellito. Forse non era proprio quello che sognava, sicuramente non era quello per cui ha "combattuto" e sacrificato la sua vita, ma paradossalmente un pezzo di terra tutto suo alla fine glielo hanno dato ..per forza. E’ questo la drammaticità della storia che più mi ha colpito di questo spettacolo. E mi sono venute alla mente in un flash tutti i più recenti conflitti della nostra storia più recente. L’odio di "Rocco" per gli austriaci simile alla guerre fratricide interne alla Jugoslavia..perché si può arrivare a uccidere tra fratelli. E l’odio che in un senso divide le "etnie" di ieri e di oggi accomuna tutti sotto un cumulo di terra. Azzardo un paragone alla Totò: ‘a livella.
La musica del Parto, sospesa in aria in tutti i sensi(chi ha visto si ricorderà dei musicisti su alte torri di ferro sulla scena d’azione), accompagna, sottolinea, sconvolge gli attimi di un racconto drammatico, a volte ridicolo. Giochi di emozioni che raccontano i momenti, le tappe, di un sogno inseguito, coltivato, quasi raggiunto e finito in una fossa. Forse troppo presto, forse troppo malamente. Ma la guerra, nella sua drammaticità, riserva anche questo. Come si fa a sognare in trincea, pensavo durante lo spettacolo. Io sarei troppo impegnato a guardarmi la vita per conservarla e renderla capace di farla sognare ancora..ma dopo la guerra. Forse è questo che ha ucciso "Rocco ‘u stortu". Forse è l’odio che lo ha reso cieco davanti all’arrivo delle bombe? Forse, ma. La storia fa solo da sfondo alla vicenda di un uomo del sud come tanti, partito per inseguire un sogno(anche andando incontro alla guerra) e tornato con la amara conquista di un pezzo di terra..dove essere seppellito…chi sa se almeno sotto terra smetterà di inveire contro il suo nemico, che paradossalmente, e comunque un suo fratello, almeno nella morte. (kenzo)