Non sommare scuole a scuole

Sento parlare della banda della Non Scuola da anni. E' un'esperienza su cui c'è molto da dire; qualcuna inizia a farlo. La considero un buon modo per non sommare all'idea di scuola un'altra scuola, come quelle di teatro che in tanti fanno perpetuando culture teatrali (sane o insane che siano) che non riescono a comunicare.
Le Albe lo hanno capito: il dato più importante è intercettare l'energia brada della nuova generazione e magari, dopo, riuscire a dare forma all'informale.

Uno splendido esempio è stato lo spettacolo "I Polacchi" che non solo ha rappresentato una delle punte teatrali più alte delle ultime stagioni teatrali ma un punto di riferimento per chi s'interroga sul rapporto teatro-scuola. Quei ragazzi-palottini, la masnada guerriera e coatta di Padre Ubu, con il loro linguaggio diretto e travolgente, stanno diventando la pietra angolare del nuovo corso teatrale delle Albe e di tutto questo Cantiere Orlando.

Con gli altri, tanti, ragazzi della Non Scuola, si percorrerà invece questo viaggio fatto di sguardi.
Li raccoglieremo con claudia che segue da tempo la Non Scuola, organizzando gli incontri, le riflessioni e le loro traduzioni in scrittura. 

Incontro per la prima volta Claudia, a maggio, al festival "Generazioni" dove stavo sviluppando un altro progetto telematico sull'arte dello spettatore teatrale, è la danza delle api. Lo chiamo "la danza delle api" ed è importante individuarne le caratteristiche per differenziare l'approccio che si attuerà per il nostro "Viaggio con il Cantiere Orlando".

Dagli appuntamenti intorno al pioppo di Ravenna emergono scritture che claudia manda via e-mail: diari (come quello di Merk), scritture collettive e allucinate. Arrivano anche feedback indipendenti e brani rubati tra il sonno e la veglia nel viaggio in pullman di ritorno dalla prima missione, quella veneziana. 

L'esperienza sta lievitando, nella seconda tappa per Ravenna Festival, con "L'isola d'Alcina" incorniciata nel piccolo teatro all'italiana di Cervia, emergono ancora altri sguardi dei ragazzi che da una parte riflettono, come silvia, su "le parole per dire il caos" che dall'epos cavalleresco di Ariosto alla drammaturgia romagnola di Nevio Spadoni scandagliano l'incubo, dall'altra colgono, come cinzia, l'archetipo principale dell'operazione, ovvero "il femminile-terribile dagli abissi uterini". In un gruppetto (alberta alessandra elisa mauro perla silvia) si mettono a ragionare-parlare-scrivere davanti al computer e ci lasciano schegge sul "sentire la forza", rilevano(alessandra) immagini forti e rivelatrice "il verde malato, come un'infezione" e s'interrogano,come perla, "Perché Ermanna fa paura", anche perché non ha visto ancora lo spettacolo. Si accresce anche la consapevolezza di quella scrittura connettiva di cui parlo e cinzia, lancia un bel segnale, "la messa in vita", che conferma il senso condiviso del nostro percorso. Troviamo nel web una bella Kali che ci ricorda sia Alcina che la strega di Lus.

Altra tappa del Cantiere Orlando è il Festival di Santarcangelo dove il Teatro delle Albe ha presentato sia "L'isola d'Alcina" che "Baldus", e ne parliamo-scriviamo, dando luogo alle "intrusioni degli occhi". C'incontriamo anche, ritagliamo degli spazi e dei tempi al programma del festival (dove comunque presentiamo il nostro progetto on line in un incontro su "la comunicazione del teatro"). Ci vediamo al bar e finalmente ci confrontiamo con il gruppo di spettatori aggregati dal Centro di Pontedera. Parliamo del lavoro dello spettatore mentre da Pontedera emerge un'impostazione orientata più "sullo spettatore",ecco è qui uno dei punti critici della questione. Si iniziano a raccogliere dei "dubbi sullo spettatore preparato".

Ermanna/strega di Lus


 
 
Un percorso attraverso l'incomprensibilità

Caro diario,
ti mando un po' di materiale estemporaneo fatto dai ragazzi in questi incontri. Mi rendo conto che si tratta di qualcosa di molto informe, e per certi versi incomprensibile. Ma proprio sull'incomprensibilità stiamo cercando di compiere un duro percorso, non solo per lasciarci andare a questa, ma per opporre insieme a questa, altre riflessioni e sensazioni.

Il percorso sui poemi cavallereschi é un percorso non filologico, ma di digressioni, e nonostante tutto, un percorso di approfondimento sul teatro, visto che é un percorso sullo spettatore quello che stiamo compiendo. Dunque ho lasciato, per ora, affiorare le cose facendo sì che i ragazzi seguissero un po' la loro corrente, guidati da me per quel poco che mi é sembrato necessario. Si impone invece "adesso" un mio intervento più massiccio, per far sì che le digressioni siano più legate all'approfondimento di qualcosa, e meno suggestioni.

Ogni lunedì il gruppo, che é composto, come ti ho detto, da ragazzi di età compresa tra i 16 e i 23 anni, si incontra dietro al Teatro Rasi, in un bel giardino in cui si trova un pioppo. Sotto quel pioppo per circa due ore si parla, si discute, si scrive, e qualcuno espone i lavori che ha preparato a casa con qualche compagno. Tutti sono invitati a compiere un percorso di approfondimento, attraverso la scelta di un argomento tratto dai poemi cavallereschi. Ognuno a proprio modo racconta e si racconta. Chi attraverso una serie di disegni, che raffigurano i momenti topici di uno dei poemi, chi attraverso azioni e musica, chi attraverso racconti fantasiosi, chi attraverso un giornalino a puntate. Chi proponendo addirittura una riflessione su cosa significa essere spettatori. (claudia)

 

 
 
I "chi"

La luce estiva ci consente di trattenerci per un'oretta all'aperto, nel giardino del Rasi, dove sotto ad un pioppo, assunto come simbolo e testimone dei nostri incontri, formiamo un cerchio. Decidiamo i compiti per gli incontri successivi, chi racconta cosa, chi come racconta cosa.
Credo che i "chi" per un po' di tempo rimarranno "chi" perché ancora non conosco i nomi degli amici e amiche che percorreranno questo viaggio.

Alcuni "chi" hanno deciso, un po' a fatica a dire il vero, spronati da Claudia, di illustrare alcune scene dell'Orlando Furioso e dell'Orlando innamorato  ricavandone, per la prossima volta, dei disegni o dei fumetti.

Cinzia ed Alberta hanno raccontato, attraverso un'azione e una musica, una scena tratta dall'Orlando innamorato . Poi Cinzia ci ha letto un breve scritto sull'esperienza laboratoriale fatta al liceo quattro anni fa con Marco Martinelli nell'ambito degli spettacoli della non scuola.

Claudia ci ha letto un pezzo tratto dall'Orlando Furioso di Calvino e da  questo ha tratto una frase "Duro destino é l'avere un destino" ispirandosi alla quale ciascuno di noi ha scritto qualcosa: riflessioni, racconti, rime...

Ne è scaturito un interessante dibattito che ovviamente non si é concluso con una riflessione corale e condivisa da tutti, anzi non si é concluso, perché é impossibile porre un punto alla parola destino. (Ravenna, 22 maggio, paola)


 
 

"Ruggero arriva sull'Ippogrifo"

Scrittura collettiva sotto il pioppo 1

1) Donne, cavalieri, l'arme e l'amore
2) Duro destino é l'avere un destino
3) Raccontare una....cosa (?) nostra (?!?!)
1) Sesso...troppo sesso: Alcina.
Epopea sessuale di Ruggero! Oh Alcina, carne di fuoco!

Ruggero arriva sull'Ippogrifo (divin augeello o UCCELLO???) ALCINAAA!

Calma!

Disegni, immagini e colori: finzione o realtà?

Tra l'erba ammucchiati: suggestioni, movimenti, sussurri, sguardi, espressioni, parole.
2) Destino.
Silenzio.

Suggestioni-commenti.

Parole infinite-infiniti discorsi.

Chi è il destino? Chi se ne frega!! Tutti contro tutti.

Lasciamo perdere...si vaga ancora/nell'ignoto

Orlando e Origilla...incontro, scontro?

Che fine ha fatto il cavallo?
3) Scrivere-PUNTO-panico-PUNTO-scena-PUNTO-ripanico-PUNTO.
Volo ed ebbrezza.

Soli.

(Ravenna, 29 maggio, stefania, giovanna, perla, alberta, eleonora)


 
 
 
 
Scrittura collettiva sotto il pioppo 2

Stare a filosofeggiare su tutto, sulla vita.
Perché parlare di poemi cavallereschi riconduce alla vita di oggi.

Seduti intorno al pioppo, il nostro pioppo che ci fa rilfettere fra le formiche e le foglie.

Il pioppo è il nostro punto di riferimento.

Anche il vento (che ci piace) ci fa stare bene insieme... e scopriamo di avere delle capacità che non credevamo di avere... viene fuori il nostro lato creativo, la nostra fantasia. E' bello vedere che anche se abbiamo tanti punti di vista diversi alla fine c'é qualcosa che ci accomuna.

Forse é proprio il teatro, perché qua ti metti a nudo e con le persone con cui fai teatro puoi permetterti di dire e fare quello che vuoi... senza paura e vergogna.

E' come una magia.

Ogni volta si é evoluta la nostra partecipazione, mentre prima il filo conduttore era tanto della Claudia, ora siamo noi gli artefici dei percorsi, siamo partecipi, é una cosa che ci passa dentro.

L'ambiente rilassa, ma talvolta non ci si sente se stessi, si ha soggezione per le persone più grandi.

Non ci si sente sempre tranquilli a denudarsi ad esporre se stessi.

E' una sfida, ci si mette in gioco e si ha paura.

E' una cosa che appartiene solo al teatro e al di fuori di questo non si riesce ad esporsi, perché nella società si hanno poche occasioni per essere noi stessi ed esprimerci liberamente senza che nessuno ti giudichi.

Allucinazioni sotto il pioppo.

(Ravenna, 29 maggio, alessia, martina, silvia, eleonora, flaminia)

"parlare di poemi cavallereschi riconduce alla vita di oggi."


 
 
 
Ermanna fa paura

Ci incontriamo come sempre sotto il pioppo, é il primo incontro dopo le prove dell'Isola di Alcina, dove abbiamo cominciato un dialogo con Marco, incentrato sull'uso del dialetto. Dopo lo spettacolo infatti Marco ha voluto parlare con i ragazzi perché gli raccontassero come avevano vissuto il lavoro. Subito é venuta fuori la difficoltà anche di chi é di Ravenna, rispetto alla comprensione, Marco ha spiegato le scelte che l'hanno portato ad utilizzare in scena i dialetti dei suoi attori, dal romagnolo di Ermanna e Gigio, al wolof dei ragazzi senegalesi, al barese degli attori del Kismet. Diceva che il dialetto è una lingua del corpo e raccontava che, quando ancora oggi, dopo vent'anni, guarda Ermanna sulla scena, lei, dopo tanti anni appunto, gli fa ancora paura, e questo é fonte per Marco, di grandi emozioni.
Oggi, sotto il pioppo si porta tutto questo, dopo avere lasciato, nei giorni passati, andare i pensieri, le immagini e le sensazioni del lavoro di Ermanna, insieme ai racconti di Marco.

Parliamo di tutto oggi, Marco B. ci racconta dell'impatto che i lavori del Teatro delle Albe hanno sulla sua anima, e di quanto certi lavori siano diretti all'io, e quanti invece parlino all'es, all'anima appunto. Elisa dice che il giorno dopo la prova, ha continuato a pensare allo spettacolo e alle sensazioni che gli aveva lasciato, più di quanto non avesse pensato, e razionalizzato subito dopo la fine del lavoro.

Tutti poi, insieme, abbiamo esteso agli altri il nostro pensiero e le nostre sensazioni e riflessioni, ognuno aggiungendo qualcosa all'altro che forse non aveva pensato, e realizzato.

Arriviamo così a una conclusione comune, per nulla forzata, che quello che vogliamo é diventare degli spettatori più "consapevoli", che cercano di porsi di fronte all'opera semplicemente, facendosi attraversare prima di tutto dalle sensazioni e dalle emozioni. Semplicemente appunto, liberamente.

(Ravenna, 5 giugno,claudia)

 

 

Kim Dingle, Untitled (Fatty), 1998
Mostra "Arte Americana. Ultimo decennio", Ravenna, Loggetta Lombardesca
8 aprile - 25 giugno 2000.

Immagine che ha ispirato la costruzione del muro nel quale sarebbe duvuta essere incastrata-murata Alcina.


 
 
 
 
  Dalle radici del pioppo alle costellazioni

mi presento, sono Rudy. Ti scrivo da Ravenna per dirti che ho partecipato all'incontro fatto al Teatro Goldoni prima dell'anteprima nazionale de "L' Isola di Alcina" del Teatro delle Albe, per la Biennale di Venezia. Ebbene sia, provengo dalla "NON-SCUOLA" delle Albe, ma diciamo che non sto seguendo in prima persona questo progetto, anche se so quasi tutto. Non lo seguo in prima persona, perché non ho partecipato a questo progetto "speciale ETI", ma sono un "palotino" dello spettacolo "I Polacchi". Mi ha colpito molto l'incontro, soprattutto la parte riguardante il rapporto possibile tra teatro e internet. Sono molto interessato al "diario di bordo" e riportetà questa esperienza di Venezia a quante più persone mi sarà possibile il 15,16,17 giugno al Teatro Litta di Milano, dove participerò come allievo-attore del Teatro delle Albe al "premio alla vocazione-Hystrio" della rivista teatrale omonima. Cercherò di spargere la voce ed invitarli ad aprire delle "finestre".
P.S. Volevo dirti che io mi sento un pioppo, cioè ben radicato nel terreno delle mie origini,
ma proteso nelle varie diramazioni alla grande costellazione di opportunità ed esperienze di cui è pieno l'infinito. (rudy) 


 

Scrivono come sentono
Caro diario, ho raccolto qui le visioni di alcuni dei ragazzi della Non Scuola che in questi giorni, dopo Venezia, hanno scritto delle cose, chi a caldo chi a freddo, sull'Alcina. Molti di loro scrivono come parlano, altri scrivono come sentono, altri ancora come vedono. Io sento queste visioni come tante faccette di un gioioso caleidoscopio. (claudia) 

 

 
Trafiggimenti, desideri e abbagli 

Pezzi di frasi captate in pullman al ritorno da Venezia alle ore 3 di notte sulla Via Romea :
"Ermanna-Alcina mi ha trafitto come una lancia. La sua voce arriva alle
budella e al cuore"
"Questa sera dopo lo spettacolo avrei desiderato incontrare tra quelle calle
veneziane "un cane-cavaliere" che mi instupidisse"
"Io mi porto dentro un'abbagliante canto ammantato d'oro"

(Tra Venezia e Ravenna, 9 giugno, voci tra il sonno e la veglia)

Il destino scritto dalle stelle
Un grido: "A m so insmida". Un grido nel buio trafigge il silenzio o rivela il crudele destino di Alcina. E' perduta, non si può più salvare perché il suo destino é sempre stato scritto dalle stelle in cielo che l'hanno legata a quel nome: Alcina. E' una fata lei, anche se non lo vorrebbe, anche se da quando é sprofondata in quell'immenso dolore non chiede che morire e porre fine a tutti i suoi tormenti... "ma le fate morir sempre non ponno" Ecco un'altra frase. Ma questo non é un'invenzione, una preghiera, ma una ricerca di aiuto, questo é definitivo: ciò che deve accadere, accadrà, non si può andare contro il fato. E' finita. Ora non le resta che la rassegnazione a quello stato in cui é vinta dal dolore per l'abbandono dello straniero e tuttavia deve mostrarsi forte per accudire la sorella. E' sola. Non può fare affidamento su nessuno. Gli uomini della sua vita l'hanno delusa, abbandonandola, prima il padre e poi quel misterioso forestiero. E sua sorella? Quella quasi la odia, é sempre stata la preferita lei, la principessa, e ora non capisce niente e non riesce a reagire all'abbandono. Se non ci fosse Alcina a sopportare tutti i fardelli e a lottare? Per cosa poi? Tanto lei é persa, é quasi morta. Nulla può far cambiare il suo destino, neanche una fata. (flaminia) 

 

Senza la possibilità di ribellarsi
Alcina mi ha preso con sé, mi parlava, io ero lì vicino a lei, non tra il pubblico in platea, ma dentro la sua vita, la sua storia che disperatamente raccontava. Mi sentivo una sua amica di infanzia, una con cui si confidava, apriva il suo cuore. Mi ha turbato questa sua storia, mi prendeva lo stomaco, perché lei era lì, sembrava forte, piena di energie, ma in realtà era una donna debole, che usava quell'energia, derivante dalla rabbia che provava per la triste vita che é stata costretta a vivere, per continuare ad andare avanti. Oramai però era stanca, troppo sofferente, per il peso di un nome che le ha pregiudicato la felicità; la spensieratezza di essere bambina, costantemente paragonata alla sorella, la principessa, come la chiamavano, che é impazzita per amore di un bel forestiero che poi l'ha abbandonata. Mi chiedevo, ma si può veramente impazzire per amore, per una stupida infatuazione che non ha neanche avuto il tempo di trasformarsi in amore? Questa cosa mi faceva stare male, all'inizio guardavo la sorella di Alcina e pensavo a me, cosa avrei fatto se mi fosse accaduta la stessa cosa, ossia essere abbandonati e pensavo che Alcina era perfida a provare tanto odio e invidia per la sorella, fino al punto di sedurre il suo innamorato, ma poi, la disperazione di Alcina é diventata per me superiore a quella della sorella, ella era incatenata in quella realtà, il canile, l'essere più brutta della sorella, essere considerata una specie di strega, nulla più poteva fare Alcina, se non provare a vendicarsi di quella stessa situazione, provando a sedurre e far innamorare il bel forestiero, ma anch'essa fu abbandonata da costui. Sfiduciata, triste, senza più nessuno scopo nella vita ha deciso di rimanere con la sorella, di condividere con lei il fallimento di una vita, forse causato da una piccola, troppo piccola realtà di paese, o forse semplicemente perché questo era il loro destino. Penso che lo spirito di Alcina sia in tante donne, nate i primi del secolo novecento e che ora sono alla fine della loro vita, passata in piccoli paesi dell'entroterra romagnolo, ma non solo, la cui personalità é stata schiacciata e frantumata da quelle realtà, senza possibilità di ribellarsi e di opporsi. La voce di Alcina, mi ha trapassato il cuore, mi penetrava dentro, essa era un concentrato di sensazioni, di energie che non mi potevano lasciare indifferente, essa faceva sentire una scatenata disperazione, per troppo tempo repressa e che ora stava uscendo con un'indomabile forza, e dove ad un certo punto, senza accorgermene, anche io facevo parte di quella disperazione, che non si placava e più Alcina parlava, più la sua voce si caricava di forza e di energia, fino a giungere alla completa perdita del mio essere e diventare quello di Alcina, con la conclusione di un istupidimento insieme a lei, facendomi rinvenire, solo con la presa di coscienza che lo spettacolo era finito, tra gli applausi del pubblico, ma che sicuramente ha lasciato un forte segno dentro di me. (elisa) 

 
 
L'energia alchemicamente sintetizzata
La visione dell'Alcina: inquietante, dolente, mostruosa, irritante, sofferente. Lo spettatore viene investito dalla furia magica di streghe, cani rabbiosi, suoni che mitragliano le orecchie, perforano i timpani e bucano il cuore. Si esce dal teatro ammaccati e massacrati. La musica del testo ti attraversa e ti riformula senza che tu possa in alcun modo opporti. Come il corpo di Ermanna é squassato da scariche elettriche sonore e lo si vede vibrare visibilmente, così l'involucro umano appoggiato alla sedia subisce le vibrazioni che si propagano. Ecco dove irrompe l'energia che viene alchemicamente sintetizzata sul palco: sugli spettatori inermi ed indifesi. Se scegli di partecipare al rito, una volta dentro il cerchio non puoi spezzare la catena: il processo estatico ti farà uscire da te, anche contro la tua volontà. Ecco la manifestazione dell'isola, dove la follia é l'unica esperienza esistenziale consentita, che sia cristallizzata sotto una bruna chioma o biondi capelli. L'aria trema per la potenza dell'uragano sonoro, in cui si dispiega l'Alcina impietosa. l'ombra dello straniero resta e resta la sua aura, imperituramente, a riprodurre eventi-shock nelle vite delle donne. Al rinnovarsi del ciclo nuovi spettatori affluiranno.(cinzia) 

 
 
Prima sbavano e poi se la filano
Scuri gli occhi che mangiano tutta la scena. Flash: 2 figurine opache e taglienti, e immobili e tese, in semiluce per 5 secondi. Poi buio. I respiri si concentrano e c'é qualcuno che salta sulla sediolina quando arriva il rumore. Sembra un treno che fischia o urla all'inizio, poi non si capisce più niente, forse colpettino di unghie lunghe sul ferro, rumori che non riesco a dargli un nome. Ritornano finalmente le 2 dame del quadro di prima, sempre composte sul loro sofà verde-fastidio, una nera, l'altra bionda. Una in abito verde-fastidio e l'altra in abito rosso come il fuoco, e i loro occhi grandi che ti mangiano. Fanno paura. E come se non bastasse la bionda ride a intervalli, cristallina e spietata e ha un'aria tra il patetico e il sofferente, e l'altra, Alcina, non ne può più. Modula la voce: dal singhiozzo della formica, fino a voler coprire l'istupidimento della sorella-dama, con la potenza del fiato di un orco, e poi ci si mette anche lei e partecipa con la sorella alla risata. La sua é cattivissima e ironica. Alcina della sorella se ne sarebbe già sbarazzata, se non si fosse istupidita. Insmida. Tutte e due sono istupidite. Dopo che il loro cavaliere le ha lasciate. Maledizioni agli uomini, prima sbavano, e poi se la filano. Come i cani. Sotto il salotto delle dame c'é il garage per i cani. I loro cani che un tempo il padre, scappato anche lui chissà dove, ha lasciato in consegna. Sono insopportabili, puzzolenti, affamati, nudi, sbavosi. Infedeli come gli uomini. In gabbia e con il mangiare forse stavano calmi e Alcina può continuare a badare alla sorella fino alla fine perché le fate non possono morire. Purtroppo.(stefania) 

 
 
Dove l'amore e l'odio s'incrociano
Alcina é rabbiosa; odiare é forse l'unico modo che ha trovato per non impazzire come sua sorella. Odia tutti: "e furistir" e gli uomini, i cani e sua sorella... odia anche l'amore che l'ha portata a compiere quel gesto, a stregare lo spasimante di sua sorella per possederlo; odia se stessa per aver ceduto ai sentimenti, per essersi "insmida". L'odio che Ermanna sputa in faccia al pubblico non é finzione, fa tremare e soffrire. Fa paura. La cosa che consola é sapere che alla fine Alcina ha rinunciato alla sua vita per stare accanto alla sorella e l'ha fatto per amore. Questa isola, dove l'odio e l'amore si incrociano e nascono l'uno dall'altro, é il riassunto della vita umana, governata da questi sentimenti così deversi e così vicini. (giovanna) 
 

 
 
Il cuore afferrato con una mano
Un metro, una cornice, rigida. Dietro c'é Ermanna, nera. E' lei che comanda. Traina la bionda candida sorella con una fare innato del suo essere. Un cavaliere appare, si materializza nell'icona, attimi, tensione. Ermanna é l'imperatrice, canta in dialetto l'istupidimento furioso. Una musica tagliente che ti entra nel corpo e ti afferra il cuore con una mano. Immobile. Ermanna fa paura. (mauro) 

 
 
Pensare prima di parlare
Non ho niente da scrivere, anzi non e' vero, ma non voglio scrivere niente perche' voglio vedere questo spettacolo fino allo sfinimento fino a quando ogni particolare, ogni immagine sara' impressa nella mia mente. perche' devo dire qualcosa di questo spettacolo se ogni 5 minuti cambio idea? scriverei qualcosa di fasullo, di falso. perche' lo devo fare? prima di parlare ho imparato o sto cercando di imparare che bisogna pensare... beh io non l'ho ancora fatto abbastanza. ho in mente scene, sensazioni provate sul momento, paura... incomprensione. voglia di ridere come alcina o la sorella. ma sono cose mie e non so o forse non voglio esprimerle perche' alcina di certezze non ne ha date. anzi mi ha aggiunto dei dubbi... ma questo e' un bene o un male? ooooh... mi sono insmida mio dio! questo spettacolo e' contagioso... ecco vedi sto iniziando a parlarne. basta meglio chiudere. (alberta) 
 
 e se il pensiero venisse anche dopo aver parlato e/o scritto?
Una finestra aperta da Carlo sulla perplessità posta da Alberta.
 
   

VIAGGIO NEL CANTIERE ORLANDO

Mi presento: fino a questo momento ho collaborato con il Teatro delle Albe occupandomi prevalentemente di laboratori teatrali. Faccio parte della formazione degli "allenatori" della non-scuola da quasi quattro anni. Sul Teatro delle Albe sono preparata, ho scritto una tesi di laurea e subito dopo un articolo su Perhinderion e I Polacchi, i due lavori delle Albe dedicati a Jarry.
Da maggio a luglio del 2000 le Albe mi hanno chiesto di seguire e preparare come "tutor" alcuni ragazzi della non-scuola: quelli che si fossero sentiti attratti da un’esperienza alternativa avrebbero partecipato a una parte del percorso del Cantiere Orlando, in che modo?
Il mio scopo era quello di esplorare insieme ai ragazzi il campo di conoscenza dello spettatore, capire chi è lo spettatore, come lo si diventa, e come dovrebbe porsi nei confronti di un lavoro teatrale. I ragazzi della non-scuola per il Teatro delle Albe, sono un campione particolare, infatti sono più che un’eccezione nel panorama di chi va a teatro: spettatori-amici, li ha chiamati Carlo Infante (esperto di comunicazione e teatro a cui era stato affidato il compito di realizzare un sito internet sul Cantiere Orlando, insieme al Webmaster Massimo Ciccolini) che ha incontrato il gruppo dei ragazzi a Venezia alla prima dell’Isola di Alcina. Ma forse sono anche qualcosa di più: i ragazzi della non-scuola possiedono una grande ricchezza, partecipano ai corsi teatrali tenuti dal Teatro delle Albe, conoscono i lavori della compagnia, e frequentano le stagioni teatrali organizzate ogni anno dallo stesso gruppo. Sanno cosa vuol dire andare in scena, conoscono il percorso, la gioia e la fatica - nel piccolo, naturalmente, di un laboratorio teatrale - e sanno, in parte, quale è il peso dello spettatore, quando devono giudicare lo spettacolo delle altre scuole, ecc.
I ragazzi che hanno partecipato al gruppo di studio (così è stato chiamato poi il nostro gruppo, o anche "banda della non-scuola"), sono giovani che vanno dai 16 ai 24 anni. Alcuni di loro hanno fatto parte del nucleo degli attori che hanno partecipato allo spettacolo I Polacchi, del 1998, ragazzi scelti, allora, proprio all'interno dei laboratori della non-scuola, altri invece, sono ragazzi che, finita la scuola, ora frequentano l’università, dove la non-scuola dall’anno scorso si sta già espandendo.
Il mio compito era quello di entrare nel vivo del discorso sullo spettatore, affrontando insieme ai ragazzi una parte del Cantiere Orlando, percorso che il Teatro delle Albe compie e compirà nell’arco di tre anni, dal 1999 al 2001, sui poemi epici cavallereschi del Quattrocento e Cinquecento italiano. (claudia)

 

 

"le parole per dire il caos"

"il femminile-terribile dagli abissi uterini"

"sentire la forza"

"il verde malato, come un'infezione"

"Perché Ermanna fa paura"

"la messa in vita"

"la vera vittima"

"Fa paura anche per radio"

"Travolti dagli animali-uomo"

"Dimenarsi nella pelle dei personaggi"

"Dubbi sullo spettatore preparato"

Da "Conversazioni con Judith Malina"