Entrare nel vivo

Vogliamo riferirvi la storia
di un viaggio compiuto
da uno sfruttatore e da due sfruttati.
Osservatene bene il contegno.
Trovatelo strano, anche se consueto,
inspiegabile, pure se è regola.
Anche il minimo atto, in apparenza semplice,
osservatelo con diffidenza! Investigate se
specialmente l’usuale sia necessario.
E - vi preghiamo - quello che succede ogni giorno
non trovatelo naturale.
Di nulla sia detto: è naturale
in questi tempi di sanguinoso smarrimento,
ordinato disordine, pianificato arbitrio,
disumana umanità,
così che nulla valga
come cosa immutabile.
(Bertolt Brecht, da L’eccezione e la regola)

 

 

Tra giugno e luglio 2000, si snodavano i primi due debutti del Teatro delle Albe, il primo: L’Isola di Alcina, da Ariosto, spettacolo con la regia di Marco Martinelli, la presenza in scena di Ermanna Montanari, insieme a Giusy Zanini, e i cani-cavalieri, Francesco Antonelli, Alessandro Bonoli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Alessandro Renda, scritto da Nevio Spadoni, ecc.; il secondo, il Baldus, riscritto da Marco Martinelli (sempre con la sua regia) a partire dal latino maccheronico di Teofilo Folengo, vedeva in scena, gli stessi cani-cavalieri nominati sopra, più uno degli attori storici delle Albe, Luigi Dadina, e due nuovi acquisti, Marco Mercante, un giovane attore di origine mantovana, (terra di origine di Teofilo Folengo) e un ragazzo di origini napoletane, Giuseppe Aurilia, un giovanissimo preso direttamente dal laboratorio sul Baldus che Martinelli, insieme all’aiuto di Maurizio Lupinelli, ha messo in scena nella passata primavera, con le scuole superiori di Ravenna.
Il percorso dello spettatore e quindi dei ragazzi della non-scuola, consisteva dunque in questo: osservare, studiare, capire i passaggi fondamentali che la compagnia stava compiendo in riferimento alle opere sopra citate, e non solo, naturalmente rispetto al teatro.
In poche parole, si trattava di osservare un lavoro in via di costruzione, e per fare questo, le Albe, si erano rese disponibili a dialogare con noi, e a renderci testimoni di alcuni passaggi.
Così in questi tre mesi ci siamo sentiti parte del gioco, o di quel mettersi in gioco. Mentre contemporaneamente ci veniva offerto un altro modo di giocare: Carlo Infante seguiva i debutti degli spettacoli organizzando di volta in volta delle postazioni dove si incontravano altri spettatori-amici o spettatori-testimoni, persone che si rendevano disponibili a scrivere due parole su cosa aveva suscitato in loro lo spettacolo appena visto. Richieste di sensazioni a caldo sui lavori che Carlo aveva esteso ai ragazzi: scritti che poi sarebbero stati mandati sul sito internet dedicato al Cantiere Orlando (http://www.teatron.org/cantiereorlando/intro.html), all’interno del quale si stava costruendo il materiale necessario per la fruizione di tutte le informazioni sugli spettacoli, compresi disegni sulla scenografia e costumi, scritti degli autori e ideatori, foto di scena, altri testi, ecc.
Ancora un altro gruppetto ci ha accompagnato in questo cammino, la "congrega di Alcina": così sono state chiamate le ragazze che hanno contribuito alla realizzazione della scenografia (coadiuvate da Cosetta Gardini che firmava insieme a Ermanna Montanari le scene e i costumi), ragazze che vengono dall’Accademia delle Belle Arti di Ravenna, e che avevano già partecipato alla realizzazione delle scene di un altro gruppo teatrale della città: Fanny e Alexander, premio Ubu nel 1999 per la migliore scenografia.
Procedo a questo punto al racconto di quanto è avvenuto durante il percorso che riguarda il periodo che va da maggio a luglio 2000, periodo nel quale ci si incontrava una o più volte alla settimana a seconda delle scadenze o degli impegni della compagnia.
I nostri riferimenti erano legati alle date delle prove aperte alle quali il "gruppo di studio" era invitato a partecipare, e ai debutti, uno previsto a Venezia, nell’ambito della Biennale Teatro il 15 di giugno: L’Isola di Alcina; l’altro: Baldus, a Santarcangelo per l’11 di luglio.
Le prove del primo lavoro si sono svolte al Teatro Rasi fino alla fine di maggio, mentre Baldus si provava a Mandriole, a pochi chilometri da Ravenna, presso il rifugio Anita Garibaldi.
Insieme a Marco Martinelli, Ermanna Montanari e Marcella Nonni abbiamo deciso, prima degli incontri, una tabella di marcia, ossia, abbiamo stabilito come partire e da dove. Naturalmente dai poemi cavallereschi, e da tutto quanto, intorno a quell’argomento, potesse aiutarci a ricostruire una mappa. Poi insieme si è deciso di aggiornarci momento per momento.
Eravamo tutti molto interessati al percorso ma non sapevo cosa volesse dire esattamente "percorso dello spettatore". Credo di essere diventata spettatrice in anni di studio e di militanza, andando a vedere centinaia di lavori, di teatro e non, di ogni genere e tipo. Ma chi può dire di essere un buon spettatore? E come ci si prepara a diventarlo?
Bene, qui inizia la nostra avventura o meglio il nostro "viaggio nel Cantiere Orlando".

 

LUNEDI’ 8 MAGGIO 2000

Primo incontro. Dopo una intensa ricognizione telefonica (per informare i quasi trecento ragazzi della non-scuola, che il Teatro delle Albe, all’interno del Cantiere Orlando, proponeva un percorso questa volta incentrato sul lavoro dello spettatore), abbiamo incontrato i ragazzi. Parlo al plurale perché insieme a me c’erano spesso ad affiancarmi Alessandro Argnani palotino, attualmente obiettore di coscienza presso Ravenna Teatro, e Marcella Nonni, direttrice organizzativa della stessa compagnia.

I ragazzi ai quali era stato chiesto di partecipare a questo incontro provenivano da tutte le scuole, tutti (o quasi) con un’esperienza nella non-scuola, più o meno lontana nel tempo, come ho detto sopra.

Al primo incontro si sono presentate più di quaranta persone, ma quando ho spiegato nel dettaglio di che tipo di impegno si trattava, delle prove, degli spettacoli, delle trasferte, e del materiale che avremmo dovuto produrre, un terzo del gruppo non ha dato la sua adesione, gli altri entusiasti sì.

Ho detto loro che si trattava di tracciare un percorso, che richiedeva preparazione, studio, impegno, e che tutto questo sarebbe stato costruito all’insegna del gioco. Storie, racconti, approfondimenti, spazi che di solito non ci si può prendere nei laboratori. L’argomento dei poemi cavallereschi poteva essere guardato da più punti di vista: si poteva studiare (approfondire attraverso una traccia di bibliografia che ci era stata data da Marco ed Ermanna), leggere, disegnare, cantare, lavorare sulle parole e sui movimenti ispirati dai versi, tutto all’insegna del gioco, del gioco creativo s’intende, dell’approfondimento intellettuale-ludico, di modo che ognuno potesse sperimentare da sé la strada più congeniale a se stesso per giungere ad una conoscenza.

Io, per parte mia, mi riservavo di portare loro più materiale possibile sugli argomenti, schede riassuntive sul poema in venticinque capitoli del Baldus, e altri materiali che avrebbero potuto aiutarci a capire più approfonditamente possibile i poemi cavallereschi.

Una prima bibliografia era composta da: Ludovico Ariosto, Orlando Furioso; Teofilo Folengo, Baldus; Gianni Celati, Orlando innamorato, raccontato in prosa; Italo Calvino, Orlando Furioso, raccontato in prosa.

Insieme a tutto questo chiedevo a qualche volontario di tenere un diarietto di ciascun incontro.

 

LUNEDI’ 15 MAGGIO

Stralci dal diario di Marco Bedeschi:

Il seminario inizia alle 20. Ci troviamo nel foyer del Teatro Rasi, a Ravenna, sede del Teatro delle Albe.

Il corso è tenuto da Claudia Pupillo, giovane studiosa e regista presso il Teatro stesso.

I partecipanti provengono da Ravenna e provincia.

Ci sono molte femmine e pochi maschi. I ragazzi giungono dalle scuole superiori della città e frequentano la non-scuola delle Albe.

Alcune ragazze come Cinzia Dezi, Paola Bartoli, Silvia Loddo, [Francesco Tedde] hanno già partecipato ai seminari della non-scuola e ora frequentano l’Università.

Claudia introduce il corso. Spiega che si parlerà dei poemi cavallereschi inerenti al Cantiere Orlando.

[...]

Il nostro percorso incontrerà i due poemi [si riferisce a: Orlando Furioso, e Baldus], e saremo testimoni privilegiati del processo creativo "dall’idea allo spettacolo".

Contemporaneamente ci interrogheremo su cosa significa essere spettatori.

La Pupillo divide il lavoro in vari capitoli e affida a persone o gruppi dei compiti da fare a casa. Qualcuno viene invitato a raccontare episodi del "Baldus" utilizzando i disegni, oppure a descrivere i nuclei narrativi dell’ "Orlando Furioso".

Raccolgo il compito di narrare "L’Isola di Alcina", episodio originale del poema di Ariosto.

Claudia ci assegna un’esercitazione, da realizzare in mezz’ora.

Occorre scrivere un’improvvisazione sul tema "Le donne, i cavallier, l’armi, gli amori" il primo verso dell’ "Orlando Furioso".

Allo scadere del tempo, gli autori leggono i loro elaborati.

Il quadro generato dalle ragazze del corso mi sorprende.

Questo gioco produce una scrittura molto immediata e sincera.

Le immagini e i simboli vengono riportati sulla carta.

È una sorta di brainstorming...

[...]

Le immagini e i simboli generati dal nostro gruppo sarebbero intelleggibili da un esperto di psicologia oppure di iconologia.

A livello superficiale sono sorpreso di come le ragazze sono molto legate, ed emozionate, al mondo della cavalleria, e dei relativi poemi.

L’immagine degli adolescenti che vedo questa sera è molto diversa da quella mostrata in televisione.

Non ricordo molte citazioni moderne nei racconti delle ragazze, e dei ragazzi.

C’è Cinzia che parla dei cavalieri in cerca di donne come i guerrieri della notte e della loro voglia di fare a botte alla fermata dell’autobus.

Ognuno di noi, leggendo la sua storia, si presenta.

C’è Jenny, la ribelle. C’è Francesco, uno dei Palotini, gli sgherri di Padre Ubu ne I Polacchi di Martinelli. C’è Perla che racconta una storia di tre fratelli che combattono contro tre sorelle. I partecipanti sono tanti, ed è difficile raccontarli tutti.

Claudia è contenta perché l’operazione di brainstorming narrativa ha creato delle "digressioni che però ci aiutano a restare dentro".

La tutor elogia la "fantasia". La considera un requisito molto importante per la creazione. Non a caso la prima parola del "Baldus" è proprio fantasia.

Marco è l’unico dei partecipanti che non ha frequentato la non-scuola, è stato invitato da noi a partecipare al corso perché laureando al Dams sul Teatro delle Albe, in particolare sembrava, fino a quel momento, che si stesse dedicando all’Isola di Alcina.

Marco è il più anziano del gruppo, chiacchiera molto, i suoi interventi spesso sono pieni di ironia, è il primo che sta al gioco. A volte ci domandiamo se sia serio o scherzi. Lascia in tutto il gruppo gli stessi dubbi.

Ho utilizzato una buona parte del suo diario perché mi aiutava a presentare i ragazzi.

 

LUNEDI’ 22 MAGGIO

Stralci dal diario di Paola Bartoli:

 

La luce estiva ci consente di trattenerci per un’oretta all’aperto, nel giardino del Teatro Rasi, dove vicino ad un pioppo, assunto come simbolo e testimone dei nostri incontri, formiamo un cerchio. Decidiamo i compiti per gli incontri successivi, chi racconta cosa, chi come racconta cosa.

Credo che i "chi" per un po’ di tempo rimarranno "chi" perché ancora non conosco i nomi degli amici e delle amiche che percorreranno questo viaggio.

Alcuni "chi" hanno deciso, spronati da Claudia, di illustrare alcune scene dell’ "Orlando Furioso" e dell’ "Orlando Innamorato" ricavandone dei fumetti.

Cinzia e Alberta hanno rappresentato una scena tratta dall’ "Orlando Innamorato". La performance è iniziata dal giardino dove eravamo riuniti, per proseguire poi attraverso un breve cammino sempre accompagnato dalla lettura di Cinzia e Alberta, nel foyer (dove ci trasferiamo quando la luce del sole ci toglie il suo supporto).

Cinzia ci ha letto un suo breve racconto [vedi sul sito Cantiere Orlando Memoria della Non Scuola], illustrandoci, con il suo fantastico stile (tipo 6.000 energetiche parole al minuto che suscitano frequenti risate) la sua esperienza di messa in scena dell’ "Orlando Innamorato" con la regia di Marco Martinelli nell’ambito degli spettacoli della non-scuola.

[...]

Paola raccoglie con entusiasmo il compito di tenere un diario, e da qui in poi ascolta e guarda con attenzione. Prendo a riferimento i suoi racconti per lasciare che siano le sue parole a descrivere le situazioni degli incontri.

 

LUNEDI’ 29 MAGGIO

Paola:

Mercoledì prossimo assisteremo ad una prova dell’ L’isola di Alcina, così Claudia aveva pensato di iniziare l’incontro di oggi con il racconto di questa parte dell’ Orlando Furioso, racconto che doveva esporre Marco [Bedeschi], ma aveva bisogno di concentrazione... così si fanno avanti gli altri: Stefania, Eleonora, Silvia e Alessia ci mostrano i loro disegni.

[...]

Finalmente Marco è concentrato! Inizia così il suo racconto dell’Isola di Alcina, realizzato con una divertente mescolanza di dialetto e italiano, di flussi di parole (a volte non troppo chiare) e pause riflessive, di amore e sesso.

[...]

Nel corso degli incontri tutti i ragazzi venivano invitati a mostrare il loro lavoro, la loro elaborazione dei racconti, la loro riflessione su quei temi.

Attraverso questo tipo di elaborazione ci si faceva un’idea delle persone, e insieme degli argomenti trattati. Ciascuno, a suo modo, portava informazioni sui poemi, chi mostrando la sua visione attraverso disegni, chi narrando la storia di Ruggero e Bradamante aiutato da un "ippogrifo" di cartone, chi costruendo una partitura fisica giocata insieme ai versi.

In tutto ciò Carlo Infante cominciava ad essere incuriosito dalla "banda della non-scuola", e così ci chiedeva materiale, riflessioni, suggestioni, su quanto accadeva sotto il pioppo:

 

MERCOLEDI’ 31 MAGGIO

Paola:

Quello di oggi è stato un incontro denso di avvenimenti: abbiamo incontrato le ragazze della "Congrega di Alcina" e successivamente abbiamo assistito ad una prova dell’ "Isola di Alcina".

La "Congrega di Alcina" è formata da un gruppo di ragazze dell’Accademia [...]

Con il loro racconto queste ragazze ci hanno illustrato qual è stato il loro percorso, quale il loro ruolo, quali le loro difficoltà, quali le loro impressioni...

Inizialmente hanno incontrato Marco ed Ermanna che dopo averle informate del progetto, hanno chiesto loro di elaborare una serie di bozzetti in cui illustrano probabili costumi per i cani-cavalieri e proponevano alcune soluzioni per lo spazio scenico.

Tra tutte le loro idee una comincia a prendere forma: un grande muro dorato che occupava quasi tutto il palcoscenico. Lavorano così alla costruzione di questo oggetto scenografico, ma dopo le prime prove cominciano a sorgere alcuni problemi, per cui questa imponente costruzione si rivela inadatta e subisce una modificazione: solo 1/3 del muro originale rimane presente in scena.

A questo proposito le ragazze della Congrega ci parlano delle differenze che hanno incontrato lavorando con un gruppo come Fanny e Alexander e con un gruppo come il Teatro delle Albe.

I primi attribuiscono alle scenografie un ruolo privilegiato, utilizzandole come punto di partenza in cui inserire gli attori e la drammaturgia; il teatro di Marco Martinelli, invece, è un teatro prevalentemente drammaturgico in cui la scenografia viene costruita ed eventualmente trasformata in base alle esigenze del testo e alle esigenze attoriche.

Abbiamo poi assistito alla prova dell’ "Isola di Alcina", una prova quasi completa a pochi giorni dal debutto, in un clima informale che non ha minimamente sminuito la forza e il grande impatto di questa incantevole visione. Marco [Martinelli] ha introdotto lo spettacolo illustrando brevemente il percorso che lo ha condotto all’esito finale, e narrando la storia delle due sorelle di Campiano la cui vita è apparsa sulla scena come il prodotto di una magica trasformazione alchemica [vedi "L’istupidimento di Alcina"].

 

LUNEDI’ 5 GIUGNO

Paola:

La settimana scorsa abbiamo assistito ad una prova dell’ "Isola di Alcina" a cui è seguita una piccola discussione con Marco Martinelli, alla quale purtroppo non ho potuto partecipare, ma alcuni dei temi dibattuti quella sera li abbiamo ripresi oggi: primo fra tutti le emozioni che questo spettacolo ha suscitato in ognuno di noi, poi l’uso del dialetto

.

Perché Marco ed Ermanna hanno fatto una scelta linguistica di questo tipo? Quanto la non comprensione del dialetto può influire sulla fruizione dello spettacolo? È importante capire tutto (per quanto, ci tengo a sottolinearlo, non esiste un "capire" vero ed unico), capire la storia, la narrazione o sono sufficienti le emozioni?

La discussione ha cominciato così ad animarsi, ma Claudia ci ha interrotto: forse per tentare di chiarire e contestualizzare queste domande (non per dare una risposta!), è utile conoscere meglio il lavoro del Teatro delle Albe.

Chi sono le Albe? Claudia ci ha illustrato brevemente il percorso di questa compagnia, la sua storia.

Si trattava, a mio avviso, di un chiarimento necessario perché molti ragazzi della non-scuola hanno cominciato a seguire il lavoro di Marco Martinelli solo da pochi anni. Questo però non vale per tutti, infatti quella che per l’occasione è stata definita "banda della non-scuola" è composta anche da alcuni ragazzi, come me e Cinzia, che non fanno più parte della non-scuola in senso stretto, ma che nel corso degli anni hanno continuato a seguire le Albe, a volte partecipando direttamente ad alcune attività, come questa, altre volte invece seguendo come spettatori-amici gli spettacoli di Marco.

Per quanto mi riguarda, ad esempio, sono vicina al Teatro delle Albe da ormai otto anni e per questo Claudia mi ha definito "la memoria storica" di questo gruppo. Ne sono molto fiera.

Per me e per altri ragazzi nella mia posizione andrebbe forse trovato un nuovo nome tipo ex-non-scuola-amico-fedele-delle-Albe, ma più bello! Questo comunque è un altro discorso... mi sono fatta prendere la mano!

Circa una volta alla settimana eravamo soliti mandare del materiale a Carlo Infante, il quale lo raccoglieva e lo mandava sul sito in tempo reale.

Inserisco qui di seguito un pezzo del mio diario, e poi un pezzo di scrittura collettiva costruito da alcune ragazze, più un altro pezzo del mio diario. Il seguente materiale può essere visionato nel sito internet del Cantiere Orlando, all’indirizzo di cui sopra.

Un percorso attraverso l’incomprensibilità

Caro diario,

ti mando un po’ di materiale estemporaneo fatto dai ragazzi in questi incontri. Mi rendo conto che si tratta di qualcosa di molto informe, e per certi versi incomprensibile. Ma proprio sull’incomprensibilità stiamo cercando di compiere un duro percorso, non solo per lasciarci andare a questa, ma per opporre, insieme a questa, altre riflessioni e sensazioni.

Il percorso sui poemi cavallereschi è un percorso non filologico, ma di digressioni, e nonostante questo, un percorso di approfondimento sul teatro, visto che è dello spettatore che si sta parlando. Per ora ho lasciato affiorare le cose facendo sì che i ragazzi seguissero la loro corrente, guidati da me per quel poco che mi è sembrato necessario. Si impone invece "adesso" un mio intervento più massiccio, per far sì che le digressioni siano più legate all’approfondimento di qualcosa, e meno suggestioni.

Ogni lunedì il gruppo, composto, come ti ho detto, di ragazzi di età compresa tra i 16 e i 24 anni, si incontra nel giardino del Teatro Rasi, dove c’è un pioppo. Sotto quest’albero per circa due ore si parla, si discute, si scrive, e qualcuno espone i lavori che ha preparato a casa con qualche compagno. Tutti sono invitati a compiere un percorso di approfondimento, attraverso la scelta di un argomento tratto dai poemi cavallereschi o sul teatro . Ognuno a proprio modo racconta e si racconta. Chi attraverso una serie di disegni che raffigurano i momenti topici di uno dei poemi o i momenti topici delle prove dello spettacolo, chi attraverso azioni e musica, chi attraverso racconti fantasiosi, chi attraverso un giornalino a puntate. Chi proponendo addirittura una riflessione su cosa significa essere spettatori. (claudia)

Seguivano i pezzi dei ragazzi, solo uno dei tanti esempi:

Pensare prima di parlare

Non ho niente da scrivere, anzi non è vero, ma non voglio scrivere niente perché voglio vedere questo spettacolo fino allo sfinimento fino a quando ogni particolare, ogni immagine sarà impresso nella mia mente. Perché devo dire qualcosa di questo spettacolo se ogni 5 minuti cambio idea? Scriverei qualcosa di fasullo, perché lo devo fare? Prima di parlare ho imparato o sto cercando di imparare che bisogna pensare... beh io non l’ho ancora fatto abbastanza. Ho in me scene, sensazioni provate sul momento, paura... incomprensione. Voglia di ridere come alcina e la sorella, ma sono cose mie e non so o forse non voglio esprimerle perché alcina di certezze non me ne ha date, anzi mi ha aggiunto dei dubbi... ma questo è un bene o un male? Ooooh... mi sono insmida mio dio! Questo spettacolo è contagioso... ecco vedi sto iniziando a parlarne. Basta meglio chiudere. (alberta)

Ermanna fa paura

Ci incontriamo come sempre sotto il pioppo, è il primo incontro dopo le prove dell’ "Isola di Alcina", dove abbiamo cominciato un dialogo con Marco, incentrato sull’uso del dialetto. Dopo lo spettacolo infatti Marco ha voluto parlare con i ragazzi perché gli raccontassero come avevano vissuto il lavoro.

Subito è venuta fuori la difficoltà anche di chi è di Ravenna, rispetto alla comprensione, Marco ha spiegato le scelte che l’hanno portato ad utilizzare in scena i dialetti dei suoi attori, dal romagnolo di Ermanna e Gigio, al wolof dei ragazzi senegalesi, al barese degli attori del Kismet. Diceva che il dialetto è una lingua del corpo e raccontava che, quando ancora oggi, dopo vent’anni, guarda Ermanna sulla scena, lei, dopo tanti anni appunto, gli fa ancora paura, e questo è fonte per Marco, di grandi emozioni.

Oggi, sotto il pioppo si porta tutto questo, dopo avere lasciato andare, nei giorni passati, i pensieri, le immagini e le sensazioni del lavoro di Ermanna, insieme ai racconti di Marco.

Parliamo di tutto oggi, Marco B. ci racconta dell’impatto che i lavori del Teatro delle Albe hanno sulla sua anima, e di quanto certi lavori siano diretti all’io, e quanti parlino all’es, all’anima appunto. Elisa dice che il giorno dopo la prova, ha continuato a pensare allo spettacolo e alle sensazioni che le aveva lasciato, più di quanto non avesse pensato e razionalizzato subito dopo la fine del lavoro.

Tutti poi, insieme, abbiamo esteso agli altri il nostro pensiero e le nostre sensazioni e riflessioni, ognuno aggiungendo qualcosa all’altro che forse non aveva pensato e realizzato.

Arriviamo così a una conclusione comune, per nulla forzata, che quello che vogliamo è diventare degli spettatori più "consapevoli", che cercano di porsi di fronte all’opera semplicemente, facendosi attraversare prima di tutto dalle sensazioni e dalle emozioni.

Semplicemente appunto, liberamente.

(Ravenna, 5 giugno, claudia)

 

GIOVEDI’ 8 GIUGNO

Partenza per Venezia alle ore 17, un pullman ci viene a prendere davanti al Teatro Rasi, l’atmosfera è da subito molto elettrizzante, tutti cominciamo a sentirci parte del lavoro, anche solo per il fatto di aver assistito a qualche prova, e per esser stati presenti in teatro mentre tutti intorno, dall’organizzazione agli attori al regista ecc., lavoravano per i preparativi intorno ai debutti.

Sempre dal diario di Paola:

L’atmosfera è molto da gita. Saliamo sul pullman diretti a Venezia dove vedremo "L’Isola di Alcina". Scendiamo a Piazzale Roma e dopo pochi passi vediamo alcuni manifesti dello spettacolo. Qualcuno esclama: "Siamo noi!". Ho trovato questo plurale molto bello.

Arriviamo a teatro un po’ stanchi e qui ci aspetta Carlo Infante che incontriamo per la prima volta.

Carlo ci parla del suo lavoro in rete e ci illustra il progetto del Cantiere Orlando. Assieme a lui ci sono tre ragazze che lo hanno accompagnato in un suo progetto precedente che consisteva nell’andare a vedere alcuni spettacoli nell’ambito della rassegna della scorsa Biennale e scriverne successivamente a mente calma le impressioni, le sensazioni ed emozioni ricevute, dando così vita a commenti che si differenziano dalle critiche formali a cui siamo abituati. Il materiale così prodotto è stato poi messo on line nel sito www.teatron.org.

Scrivere le nostre impressioni a caldo, appena tornati a casa, è ciò che Carlo chiede anche a noi rispetto alla visione dell’ "Isola di Alcina". Finalmente eccoci seduti in platea pronti ad assistere allo spettacolo.

Quando usciamo cerco di cogliere i commenti degli spettatori, come se quei commenti fossero diretti a qualcosa che mi riguarda molto da vicino.

Un successo... senza dubbio un grande successo. Il pubblico è stato colpito, come se il sussulto provocato dal primo suono di corno che emerge dal silenzio e dall’oscurità avesse mantenuto tutti in una perpetua tensione e in una sospensione del respiro dall’inizio alla fine.

Nessuno ci aveva avvertito... dobbiamo rilasciare una breve intervista per un documentario prodotto da RAI SAT. Ci accordiamo su chi parlerà, siamo tutti molto imbarazzati, ma la telecamera si accende e il microfono comincia a passare di mano in mano. Arriva anche a me... ma come... io non volevo parlare... Mi chiedono di dire qualcosa sulla differenza tra leggere e studiare un testo e vederlo messo in scena. Mi sembra una domanda orribile, scusate, anche un po’ stupida, ovviamente non lo dico e rispondo. Appena ho terminato di parlare ho la sensazione... avrei voluto dire altre cose, avrei voluto dirle diversamente...

A parte questa piccola parentesi, salgo in corriera felice, con una gradevole sensazione di sazietà dovuta dall’aver gustato una portata di alta cucina.

 

 

Trafiggimenti, desideri e abbagli

Pezzi di frasi captate in pullman al ritorno da Venezia alle ore 3 di notte sulla Via Romea:

"Ermanna-Alcina mi ha trafitto come una lancia. La sua voce arriva alle budella e al cuore"

"Questa sera dopo lo spettacolo avrei desiderato incontrare tra quelle calle veneziane "un cane-cavaliere" che mi instupidisse"

"Io mi porto dentro un’abbagliante canto ammantato d’oro".

(Tra Venezia e Ravenna, 9 giugno, voci tra il sonno e la veglia)

 

 

In quei giorni agli incontri cercavo di portare quanto più materiale sul Teatro, oltreché portare materiale sul Teatro delle Albe: interviste a Marco e Ermanna, scritti di Marco ed Ermanna, qualcosa che potesse aiutare i ragazzi a compiere questo percorso insieme al Teatro delle Albe, dentro al Teatro delle Albe.

Anche Marco Martinelli mi dava dei suggerimenti: abbiamo dato loro da leggere delle parti del Teatro e il suo doppio di Antonin Artaud, e pregavo ciascuno dei ragazzi di cercare di arrivare a compiere delle riflessioni sullo spettatore, anche a partire da ciò che ogni settimana chiedevo loro di leggere. Inaspettatamente il risultato di quelle letture è stato interessantissimo, finalmente stavamo incominciando a volare alto, finalmente cominciavamo a capirci sul significato di "linguaggio", sul peso della "parola" a teatro, sulla "lingua", sul "femminile terribile" di cui parla Artaud, ecc. Giornate davvero esaltanti: le grandi spiegavano alle più piccole, e insieme costruivano e scambiavano conclusioni, confrontando ciò che avevano visto con ciò che avevano letto, con ciò che stavano sperimentando in quel momento.

Chiedevo loro ogni volta che ci mostravano una piccola cosa pensata e preparata a casa, di ripensarla ancora, di trasformarla, di analizzarla e riguardarla, chiedevo loro di fare dei passi successivi, di non fermarsi, solo al primo pensiero che gli veniva in mente su un argomento, di andare oltre i limiti, di giocare ancora con le parole, con il corpo, con i pensieri, con lo sguardo.

 

LUNEDI’ 26 GIUGNO

Paola:

Questa sera siamo andati a Mandriole a vedere le prove del Baldus. Il lavoro è ancora incompleto, abbiamo infatti assistito ad un’ora di spettacolo su due previste...

La prova a Mandriole era molto attesa, forse anche perché gli attori protagonisti questa volta erano alcuni Palotini (compagni di scuola o ex-compagni, amici vicinissimi dei ragazzi della non-scuola): Francesco Antonelli, Alessandro Bonoli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Alessandro Renda, protagonisti insieme a Luigi Dadina, l’attore storico delle Albe, Marco Mercante (un nuovo acquisto come accennavo sopra, un attore di origine mantovana preveniente da esperienze con il Teatro dell’Impasto), e il giovanissimo napoletano che frequenta i laboratori della non-scuola.

Quando siamo arrivati a Mandriole c’era un bellissimo tramonto e la troupe degli attori insieme a Marco ci aspettava giocando a calcio come nelle atmosfere di pasoliniana memoria. Il tempo, il luogo e la luce di quel tardo pomeriggio erano molto dolci... non così le zanzare.

Marco ci ha detto poco sulla prova che avremmo visto di lì a poco, ci ha raccontato di quale sarebbe stato l’ingresso degli spettatori a Santarcangelo (dall’alto di una finestrella), del cibo, del vino, finché subito dopo siamo passati alla visione, che anche se è stata interrotta qua e là da qualche intervento acceso di Marco nei confronti degli attori, era stata esaltante. Per noi tutto era a posto, anche le imperfezioni!

Alla fine Marco ci ha riunito in cerchio, abbiamo parlato, ci sentivamo contenti, credo tutti o quasi. Non Marco, che non vedeva l’ora di rimettersi a lavorare per mettere a posto, per aggiustare, per saldare qua e là pezzi, movimenti, battute...

Poi siamo tornati a casa portandoci dietro il sapore di quel covo di briganti, Baldus ci aveva fatto, per un momento, calare in un altro tempo... così racconta bene Silvia:

 

 

 

Travolti dagli animali-uomo

Ho pensato a ciò che Marco ci ha raccontato, il suo progetto di RACCONTARE LA FOLLIA UMANA scatenatasi nell’ "Isola di Alcina" e nel "covo" di "Baldus", entrambi mondi speciali, un COVO e un’ISOLA circondati dai muri, il primo, dal mare il secondo, SEPARATI da tutto il resto, perché il covo raccoglie i cattivi e l’isola i "diversi", quelli che fanno paura

... anche dal palcoscenico forse solo perché RACCONTANO LA VERITA’ un permesso speciale per accedere alla riunione di un gruppo di briganti nel loro covo... quasi come partecipare all’allestimento di una mostra in un museo criminale dove le sale ospitano i fantasmi di quegli uomini considerati spesso un "incidente nell’evoluzione ‘perfezionatrice’ della specie"

forse è una fortuna che ogni tanto qualcuno sbagli o Marco intervenga per rassicurarci e convincerci che siamo ancora nel mondo degli onesti e che è solo una messa in scena questo mondo di criminali in cui si ha una strana fusione, una strana sintesi dei ‘gerghi riti e costumi’ delle varie carceri e delle varie sette criminali di tutta Italia" (Lombroso) ma la paura emerge, ogni tanto, la paura di essere travolti da questi animali-uomo che possono colpirti con una palla ma anche solo con un gesto uno sguardo oppure una manciata di farina... e cercano di corromperti con un po’ di vino per un viaggio più intenso in questa discoteca-prigione ma poi per fortuna interviene di nuovo il regista e abbandoniamo la prigione, la discoteca, le sale di questo museo senza tempo, il percorso nell’archeologia culturale delle classi subalterne e marginali del mondo contadino è concluso

scopriamo di essere in un altro mondo contadino, quello che ha come scenografia la rassicurante campagna del 2000 con i trattori, i moderni sistemi di irrigazione, la luce elettrica al posto delle candele... e i cani legati e non vediamo più Berto Panada, che nella mia mente ho associato alla foto segnaletica di un contadino epilettico e antropofago scattata nel 1885 quando ancora forse si sentiva la fame vera, oggi per fortuna il contadino che entra nel ‘covo’ vuole sapere di chi sono tutte le macchine parcheggiate nella sua proprietà, non vuole mangiarci...

le risate che hanno accompagnato la visione adesso, nel ricordo, si trasformano in una smorfia di riflessione sui drammi che PARTORISCE il mondo dal suo buco del culo ed è ancora Lombroso che mi viene in mente perché anche lui esplora "la triste psicologia dei criminali, la loro strana oscenità il bisogno irriducibile del gioco e di trovarsi sempre insieme pur odiandosi l’un l’altro... una specie di mondo nuovo con ‘lingue, riti e costumi speciali" (silvia)

 

LUNEDI’ 3 LUGLIO

La serata è iniziata in modo sfavillante: Marina ci ha raccontato l’episodio di "Bradamante nel castello di Atlante" servendosi di costruzioni in carta realizzate da lei. C’erano il castello incantato, l’ippogrifo, Bradamante...

Claudia ci ha poi illustrato il programma degli incontri che ci aspettano questo fine settimana a Santarcangelo.

Incontreremo anzitutto alcune persone che fanno parte del gruppo di Pontedera. Questo gruppo è composto da 100 persone (di cui noi ne incontreremo 10) che hanno affrontato un percorso sullo spettatore, ma in modo diverso dal nostro. Essi hanno visto numerosi spettacoli all’interno di un festival e hanno incontrato vari studiosi di teatro.

Claudia ci ha parlato brevemente di Mimmo Cuticchio ed infine ci ha letto la critica di Renato Palazzi dell’"Isola di Alcina" apparsa sul "Sole 24 ore"... (Paola)

Paola raccontava brevemente cosa succedeva negli ultimi incontri, sempre più ricchi, più pieni, più interessanti.

Il gruppo parallelamente stava iniziando ad assotigliarsi di qualche numero, restavano i più motivati, i più appassionati, i più curiosi, e ne arrivavano altri nuovi, che si univano, come Angela, (vecchia presenza della non-scuola, sorella di Alberta, tornata da un Erasmus in Francia), che era stata Orlando nello storico Orlando innamorato che Marco Martinelli aveva fatto con il Liceo Classico 5 o 6 anni or sono (di cui parla Cinzia in uno dei suoi racconti, vedi sul sito: "la memoria storica della non-scuola"), il primo lavoro che aprì la strada all’attuale Cantiere Orlando. Angela era lì nelle ultime sere, ascoltava, attenta, e poi, i giorni successivi ritornava...

Nel frattempo cercavo di preparare i ragazzi agli impegni del Festival di Santarcangelo: l’incontro con i 10 dei 100 spettatori del progetto ETI di Pontedera, la giornata di studio sui poemi cavallereschi raccontati da Giuliano Scabia, Marco Martinelli, Mimmo Cuticchio, Marco Belpoliti, il debutto del Baldus nelle tinaie di San Mauro Pascoli, e la presentazione del sito del Cantiere Orlando ad opera, naturalmente, come ho già detto, di Carlo Infante.

 

SABATO 8 E DOMENICA 9 LUGLIO

Siamo partiti con il solito pullman all’ora di pranzo, e siamo arrivati a Santarcangelo intorno alle 15, sotto un sole caldissimo dove ci aspettavano al caffè della piazza Ganganelli a Santarcangelo i 10 spettatori di Pontedera, accompagnati da Luca Dini e dalla tutor del gruppo.

Anche Carlo Infante ci aspettava, anzi è stato lui a fare da mediatore tra i due gruppi: ha presentato il Cantiere Orlando, i lavori del Teatro delle Albe in corso, e poi ha chiesto a me di parlare del nostro gruppo e della non-scuola, a Cinzia di raccontare l’esperienza nel gruppo di studio, e così hanno fatto lo stesso gli spettatori di Pontedera.

Ci siamo guardati, spettatori con spettatori e abbiamo capito subito che i nostri percorsi erano diversi: i toscani erano più eterogenei, la loro età media era molto superiore a quella dei ragazzi della non-scuola, ci hanno raccontato che non provengono da nessun (o quasi) fare, la loro esperienza di spettatori è fatta di tanti spettacoli visti, di incontri con studiosi e docenti universitari, a Roma hanno incontrato anche Eugenio Barba. Noi abbiamo sentito la nostra esperienza come qualcosa di più raccolto, di più intimo, il nostro è un percorso vicino a un unico gruppo, dentro a un gruppo, e noi facciamo teatro, veniamo tutti da esperienze di fare, giocare, imparare, insieme ad ascoltare e guardare.

Il pomeriggio è proseguito con l’incontro al giardino sulle riviste teatrali in rete e la presentazione del sito del Cantiere Orlando.

La sera ci aspettava il pre-debutto del Baldus, mentre il pomeriggio avevamo il tempo di seguire una parte di "Le vie per Roncisvalle", un percorso per le contrade del centro storico di Santarcangelo, in cui cantastorie, saltimbanchi, attori sui trampoli raccontavano le storie di Orlando e dei paladini, chi inventando, chi restando fedele ai poemi, chi raccontando alla maniera dei pupari.

Era bello essere lì tutti noi, a raccogliere quelle storie, a mischiarci tra gli altri spettatori, a perderci a cercarci.

La notte Baldus ci ha inebriati, finalmente lo spettacolo era come Martinelli ci aveva fin dall’inizio raccontato: siamo saliti su una ripidissima scala di acciaio (tipo antincendio), per entrare nel covo come dei ladri. L’impatto con la scena avveniva dall’alto, sotto, dentro una stalla piena di segni sui muri tipo graffiti, ci accoglievano i briganti: ragazzi ai margini, contagiati dalla musica techno sparata a tutto volume che accendeva una incredibile energia, dentro passavano agli spettatori-testimoni il vino da bere a collo insieme alla salsicce.

Il resto è sui giornali, e nelle parole di chi ha scritto. Noi siamo stati lì a farci investire, a farci attraversare dalle energie degli attori, a farci specchio delle loro beffe, delle loro tirate...

Il giorno successivo ci siamo ritrovati ancora al giardino, abbiamo assistito incantati ai racconti di tutti gli esperti sopra citati, Scabia, Cuticchio, Martinelli, Belpoliti, profondi conoscitori e reinventori a loro volta di tradizioni creative sempre in evoluzione.

 

LUNEDI’ 10 E GIOVEDI’ 13 LUGLIO

Prendo queste serate come ultime di un percorso che non si è ancora concluso, ma che si è dovuto in quel momento sospendere. I ragazzi cominciavano un po’ alla spicciolata a non poter più partecipare assiduamente.

Qualcuno restava ancora per gli ultimi incontri con Carlo Infante, verso la fine della settimana, e per altre repliche dell’Isola di Alcina: serate molto speciali, in cui si cominciava a parlare una lingua comune. È da serate come queste che vengono contributi come quello che ci ha lasciato in chiusura Paola:

Dubbi sullo spettatore preparato

Lunedì 10 luglio si è svolto il penultimo incontro della banda della "non-scuola" e in questa occasione, come mio saluto personale, ho letto alcune cose riguardanti lo spettatore tra cui un pezzo tratto da "Conversazione con Judith Malina" di Cristina Valenti. Queste righe volevano essere un po’ una provocazione rispetto al percorso che stiamo facendo, ma anche una voce "autorevole" a sostegno di chi, come Alberta, ha sempre affermato di non voler diventare uno spettatore consapevole. Le parole di Judith Malina rappresentano inoltre un’interessante sfida di pensiero per chi, come me, si sta addentrando nello studio del teatro diventando sempre più uno spettatore preparato, anche se ho dei forti dubbi sul fatto che si possa parlare di spettatore preparato. Insomma queste considerazioni della fondatrice del Living Theatre portano in luce una serie di pensieri dialettici che abbiamo più volte attraversato durante i nostri incontri, ci piacerebbe quindi che quella citazione fosse usata come supporto agli scritti dei ragazzi della non-scuola. (paola)

"Quando abbiamo fatto Sette Meditazioni sul Sadomasochismo Politico in Sardegna, per un pubblico di pastori che non era mai stato dentro un teatro normale, tutti ci dissero che non avevano capito. Hanno capito molto meglio degli studenti universitari, e io lo posso dire perché abbiamo recitato gli stessi identici spettacoli per gli uni e per gli altri. Credo che tendenzialmente la gente che non è stata contemporaneamente illuminata e oppressa dalle strutture scolastiche sia molto più aperta alle nuove idee, perché è sprovvista dei banali argomenti con cui le persone acculturate sono solite reagire contro tutto ciò che non è stato ancora sistematizzato. Io non sono certo contro l’istruzione, anzi, sono assolutamente favorevole all’istruzione, però sono convinta che ci procuri, con tante aperture, anche parziali chiusure. Così, quando recitiamo per un pubblico non sofisticato - come si dice - troviamo una grande disponibilità rispetto alle idee che esprimiamo, indipendentemente dal fatto che siano condivise o meno [...]." Judith Malina

Il giovedì successivo ci siamo trovati (sarebbe meglio dire trovate perché ormai erano rimaste solo donne) per fare il punto su tutto quanto si era fatto insieme: Paola ci ha letto le parti del diario che ancora non ci aveva svelato, Marina anche ci ha letto un ultimo pezzo sui misteri dell’ "ambiguo percorso", Alberta e Cinzia ci hanno fatto vedere il passo avanti che avevano fatto fare al loro pezzo di racconto-messo-in-vita, Alessia e Silvia A. (fresca di maturità) ci hanno mostrato altri disegni sull’Isola di Alcina, Eleonora e Stefania ci hanno regalato un ultimo mosaico in movimento del loro giornalino sull’Orlando innamorato, fatto di invenzioni, travestimenti, giochi e variazioni sul tema, Silvia L., Alessandra e Jenny (anche lei fresca di maturità), ci hanno mostrato un racconto clownesco-sardo della pazzia di Orlando, Flaminia e Perla la danza magica del libro delle streghe o fate, Giovanna e Elisa hanno declamato i versi dell’Orlando Furioso raccontato in prosa da Calvino, su cui avevano lavorato di riscrittura e montaggio, con accompagnamento musicale, tutte facendo quel fatidico passetto "oltre", che tanto avevo cercato e chiesto, di cui tanto avevo parlato, come passaggio, come salto verso qualcosa che non fosse solamente più pensata, ma più oltrepassata. Mi interessava la soglia, quel passare oltre il luogo comune... Per il resto che dire, loro hanno già detto e fatto tanto, come indottrinarli, come renderli consapevoli e preparati, come pretendere di rivelare una tecnica, che il cuore può soltanto donarti, però...

Con rigore, con partecipazione, con attenzione...

Sul percorso compiuto ancora una considerazione, ciò che è stato affrontato insieme è stato un viaggio pieno di nodi e interrogativi che non sempre siamo stati in grado di sciogliere. La posta in gioco, la riflessione sullo spettatore, è stata qualcosa di molto alto da raggiungere, che forse negli anni ritornerà come ricerca di un’innocenza perduta: la negazione della consapevolezza che la conoscenza davanti al teatro o all’arte è quasi una colpa. Tanti i motivi per cui si sono spese serate piene di parole, senza raggiungere nessun approdo. Ma quale miglior approdo di un’apertura, di una disponibilità, di un ascolto?

Ciò che è stato commovente era vedere una comunità teatrale, come quella che ha creato il Teatro delle Albe a Ravenna e dintorni, riunita sotto un pioppo, a parlare, a confrontarsi, a leggere, studiare, sognare...

Resta dunque una profonda gratitudine da parte di ciascun partecipante credo, nei confronti di chi ci ha permesso di compiere questo viaggio.

Sotto il pioppo abbiamo girato in cerchio e detto a voce alta i nostri nomi, chissà quale eco li ha rubati...

(claudia Pupillo)

 

"L’arte dell’attore di solito non si impara sui libri, come neppure l’arte dello spettatore, che pertanto non è riconosciuta come un’arte. Se si parla di quest’ultima, ecco la risposta che si ottiene: "Che razza di cattivi attori dovete avere, se per voi il venir commossi da loro dev’essere un’arte". Con ciò si intende dire che quanto meglio funziona l’arte dell’attore, tanto meno serve quella dello spettatore. E se è poco credibile che si possa imparare nei libri come si debba commuovere le persone, a maggior ragione sarà impossibile imparare nei libri come si debba lasciarsi commuovere." (Bertolt Brecht)