il FORUM di TEATRON.org

Il Diario On Line di Arcastella. Fai NEW REPLY!

carlo - 30-9-2002 at 19:12

Durante la manifestazione " Arcastella"
http://ebraicafestival.it
sarà attivo un Diario di bordo concepito come percorso di memorie soggettive e costruito durante un laboratorio di scrittura on line.

Il lavoro sarà basato sull'articolazione di una scrittura pensata per il web, sia nella composizione ipertestuale che nell'uso di un forum funzionale alle modalità connettive, di scambio e d'empatia, del gruppo di lavoro.

Il laboratorio seguirà i diversi momenti di "Arcastella" per rilevarne non la cronaca ma le sfumature, i dettagli, gli aspetti che accenderanno l'attenzione e la riflessione.
Saranno raccolte parole chiave e formulate domande da rivolgere ad alcuni dei protagonisti e agli esperti di pratiche della scrittura invitati alla rassegna.

Lo spirito del lavoro e la ricognizione delle tematiche si muoverà intorno a concetti cardine come il rapporto etica-estetica e scrittura-autobiografia.

L'esperienza del Diario di bordo on line intende inoltre dimostrare come il web possa rivelarsi un ambiente di comunicazione sensibile, basato sulla condivisione e la partecipazione.
La rete può infatti potenziare una pratica di scrittura che fa dell'esercizio della memoria soggettiva un atto comunicativo, inscritto in primo luogo nell'alveo di un'esperienza d'intelligenza connettiva.

Ad ogni incontro le scritture prodotte verranno poi indagate e "agite" con la competenza dell'attrice Marina Bassani che preparerà i redattori per un reading finale in cui il Diario di Bordo on line verrà presentato al pubblico.
L'incontro, in calendario per domenica 6 ottobre, farà il punto sull'attività del Laboratorio con ad una riflessione sul tema "La scrittura, la memoria e la rete".
http://www.teatron.org/ebraica/scrittura.htm


i grandi vecchi luminosi

luca - 30-9-2002 at 20:48

Mi guardo intorno: l'età media supera i sessant'anni.
Molte facce che hanno visto molto.
Sguardi che s'incrociano contenti di fare di questa occasione d'incontro un evento.
Un fatto in cui la memoria si coniuga con la contemporaneità di un pensiero culturale che ha dato molto a tutta la nostra cultura.
Una presenza, sodale e partecipata, di numerose persone di età avanzata,
testimoni della vita della comunità ebraica a torino, rendendo evidente come Arcastella attinga a radici profonde.

Al centro dell'attenzione della giornata d'inaugurazione c'è la presenza, fisica ed evocata, di alcuni di quei "grandi vecchi" a cui questa comunità deve molto.
C'è Emanuele Luzzati con una sua mostra che traccia le linee immaginarie delle tradizioni ebraiche.
E ci sono, evocati come numi tutelari di questa giornata d'inaugurazione, altri due straordinari "grandi vecchi", Vittorio Foa e Rita Levi Montalcini,
Due "nomi luminosi" dell'ebraismo torinese.

La stessa grazia dei libri d'infanzia

chiara - 30-9-2002 at 21:34

Trovarsi faccia a faccia con Luzzati mi ha riportato a pagine e pagine (tutte coloratissime) della mia infanzia.Passeggiando per la mostra ho ritrovato tra i disegni e i collage dei colori, dei volti, degli animali e soprattutto delle sensazioni che mi portavo dentro da quando ero bambina. E questi stessi colori e tratti oggi mi hanno raccontato qualcosa di nuovo; la vita ebraica è narrata con la stessa grazia che caratterizzava i miei libri d'infanzia. Durante la presentazione della mostra è stato detto che Luzzati è innanzitutto un pittore. La sua risposta è stata: un pittore non ha bisogno di sapere dove va a finire la sua opera. Io ho bisogno di sapere dove vado, ho bisogno di limiti. Trovarsi davanti ad un artista che reclama il suo essere un "artigiano dell'immagine" fa riflettere, il resto scaturisce dalle immagini che, come ci ha ricordato Luzzati stesso, vanno viste più che presentate o commentate.

la via soggettiva alla scrittura del diario

carlo - 30-9-2002 at 21:46

Quota:
Originariamente scritto da chiara
Trovarsi faccia a faccia con Luzzati mi ha riportato a pagine e pagine (tutte coloratissime) della mia infanzia.


<< intendevo proprio questo che hai fatto, chiara.
L'ideale è coniugare l'evento pubblico con la chiave dell'esperienza privata che può portare in superfice gli aspetti più intensi della propria partecipazione ad una manifestazione.
Non servono cronache
anche se ogni tanto occorrono informazioni che diano quadro di riferimento.
E' bensì attraente il gioco dei diversi sguardi soggettivi che, come un prisma, riflettono Arcastella in tanti modi diversi.<<<


Passeggiando per la mostra ho ritrovato tra i disegni e i collage dei colori, dei volti, degli animali e soprattutto delle sensazioni che mi portavo dentro da quando ero bambina. E questi stessi colori e tratti oggi mi hanno raccontato qualcosa di nuovo; la vita ebraica è narrata con la stessa grazia che caratterizzava i miei libri d'infanzia.


<< narrare con grazia...<<<



Durante la presentazione della mostra è stato detto che Luzzati è innanzitutto un pittore. La sua risposta è stata: un pittore non ha bisogno di sapere dove va a finire la sua opera. Io ho bisogno di sapere dove vado, ho bisogno di limiti. Trovarsi davanti ad un artista che reclama il suo essere un "artigiano dell'immagine" fa riflettere, il resto scaturisce dalle immagini che, come ci ha ricordato Luzzati stesso, vanno viste più che presentate o commentate.



<< con il nostro gioco degli sguardi in rete

la patina d'antichità

walt - 1-10-2002 at 17:55

prima giornata... cultura ebraica è prodotti/espressioni di artisti ebrei o ci dev'essere una specifictà di contenuti, di religione? Luzzati è pittore ebreo... e Modigliani?
Le foto e le sculture sono ebree?
... su tutto una patina di antichità come se non ci fosse presente, solo un passato più o meno lontano... anche i colori... marrone ocra giallo, bianco e nero... cosa stanno facendo i giovani ebrei, dove sono? forse meno identificabili, meno connotati a casa ascoltano, giocano, navigano... qui musica bellissima e un po' triste

l'utopia di un vecchio giovane

walt - 1-10-2002 at 17:56

seconda giornata
l'incontro con israel debenedetti
confesso che sapevo ben poco dei kibbuz e di quello che rappresentavano, la realizzazione di un sogno di pace e di giustizia.
dice Israel che la comune, il comunismo volontario, a cui si esce quando si vuole, non può sopravvivere senza il cemento dell'ideologia o della religione. non basta avere uno scopo, un utilità comune...
c'è molto della nostra storia, nostra di tutti
e non solo degli ebrei... dov'è cos'è oggi l'ideologia?
l'utopia di un vecchio giovane, un sogno grande bello che tutti abbiamo per vie diverse condiviso e che oggi sembra esaurito...
e, di nuovo, i giovani? non vogliono o non possono sognare... in israele, in italia, nel mondo?


una vacanza fritta

carlo - 1-10-2002 at 18:15

l'incontro si conclude con un'ultima battuta che lascia scivolare li', con amicizia ed ironia, un signore anziano che sembra conoscere bene corrado israel de benedetti.
"Ci vorresti tu al posto di Sharon".
Si, la storia sarebbe un'altra.
Abbiamo ascoltato un altro grande vecchio, uno di quegli uomini che nel dopoguerra non ha solo contribuito alla nascita dello stato d'Israele ma ha sperimentato, con l'esperienza dei kibbuz, alcune delle forme più avanzate di società comunitaria.
E penso a come allora, gli anni settanta, con il mio amico massimo (terracini) si pensava di andare a passare una vacanza di lavoro e di studio (politico), una vacanza fritta direbbe debenedetti, in un kibbuz.
quelle comunità erano un modello di riferimento anche per noi, giovani rivoluzionari metropolitani.
andavano oltre il contesto ebraico e israeliano, erano e sono (anche se è stato detto che hanno gli anni contati...) uno degli esempi più belli di condivisione sociale organizzata.
Anche se non sono stati sufficenti per fare un popolo... come lo stesso debenedetti ha dichiarato con amarezza.


il testimone della memoria

mirko - 1-10-2002 at 18:57

capita.
capita di passeggiare per l'ottocentesca san salvario e vedere un crocicchio di persone sotto i lampioni davanti alla sinagoga
(a proposito: la forma di questi lampioni dev'essere voluta, sono incredibilmente simili ai candelieri rituali ebraici)
attendere qualcuno.

quel qualcuno sono giovanni tesio e alberto cavaglion che accompagnano tutti in una passeggiata fra il vecchio ghetto (san salvario, appunto) e il nuovo ghetto (pza carlina e dintorni), al suono di alcune pagine, non le piu' note, di cultura e letteratura ebraica.

colpisce subito la compostezza di queste persone. ognuna nel proprio look "esatto": le donne orecchini di perla semplici come ornamenti, insieme a camei e foulard dalle tonalita' tenui attorno al collo, gli uomini con il nodo della cravatta perfettamente equilibrato, stretto al punto giusto, bilanciato.

forse, mi dico, tanta esattezza ed equilibrio viene da questa loro straordinaria capacita' di memoria: sanno tutto, ogni nome citato da primo levi, dai diari di emaunele artom, ogni negozio, gastronomia, merceria tenuta anticamente da un commerciante ebraico, loro la conoscono, e la ricordano.
per non farla dimenticare, mi dico.
per mantenere viva questa rete di ricordi e persone che li ha condotti oggi qui, nel silenzio del pomeriggio davanti alla sinagoga, interrotto da una scolaresca che passa all'improvviso.
quasi che il testimone della memoria debba passare per osmosi da loro, a noi.


i giardini d'infanzia

luisa - 1-10-2002 at 21:35

Quelli che seguono sono frammenti ricavati dagli interventi degli autori a
cui sono contrapposti gli echi che hanno prodotto al mio interno


LUZZATI - 30/09/02
Il reale non bisogna trasformarlo ma trasognarlo ... rabbino ...
idolatria... Altro...fede...arte ...figurine dell'Agada'...un pittore

ARTE = RELIGIONE = SOGNO?




DI BENEDETTI - 1/10/02

Giardino d'infanzia ... Casa dei bambini ...
In principio c'erano soltanto le guardie di notte...
Hanno spento la luce nelle case dei bambini...

INFANZIA - FAMIGLIA - SCUOLA - LAVORO ( IERI= CALORE DI UN' INFANZIA
PROTETTA- OGGI= LAVORO GRAVOSO)


Arcobaleno orientale... Haifa, Gerusalemme, Tel Aviv ...
Vacanza afflitta

ESOTISMO - VIAGGI - CIELI DORATI


Da tutti secondo le loro possibilita', a tutti secondo i loro bisogni ...

In Italia ci sono molti ragazzi che non sanno il nome dei loro nonni...

A creare un popolo ci vuole molto piu' tempo che creare un paese...

RIFLESSIONI - SENTENZE - DIDASCALIE - "ABBIAMO FATTO L'ITALIA, ORA BISOGNA
FARE GLI ITALIANI"




LUISA





lo slang del kibbuzin

luca - 1-10-2002 at 22:31

corrado israel de benedetti ci ha portato con la sua autobiografia dentro il mondo dei kibbuz, di cui è stato protagonista.
Un mondo che già nel dopoguerra sperimentava forme nuove di socialità, dove, addirittura, veniva attuato una sorta di "comunismo" che altrove si esprimeva in totalitarismo e cieca ideologia.
In quelle comunità nascevano anche nuovi linguaggi, veri e propri slang, ultra-lingue che con termini come "bambini di fuori" (i giovani visitatori) o "vacanze fritte" (le vacanze di lavoro) creavano di fatto un immaginario ed un codice di comunicazione assolutamente originale.
Ecco sto finalmente incontrando degli aspetti della cultura ebraica che vanno oltre lo studio del talmud.

i sogni non passano in eredita'

mirko - 1-10-2002 at 22:34

la prima cosa che mi colpisce dell'intervento di oggi di Israel De Benedetti e' il titolo: i sogni non passano in eredita'.
bella frase.
ascoltando le esperienze di vita del kibbutz, il primo cortocircuito mentale che si attiva va al libro di andrea de carlo, "due di due".
un sogno di vita che sembra simile ai miei occhi all'atmosfera e alle aspettative del protagonista del romanzo: la voglia di costruire qualcosa con le proprie mani e di gustare quella sensazione di appagamento di chi si volta indietro e vede, sostanziato, il risultato di tanti sforzi.

Israel dice che cio' che tiene unita una comunita' di persone come il kibbutz non e' altro che la religione, unica vera forza unificante.
penso alle comunita', ai villaggi abitativi senza storia di cui parla Jeremy Rifkin (a proposito, sara' di origine ebraica ?) nel suo "L'era dell'accesso".
comunita' di interesse che si autocostituiscono come indipendenti, fondate su una logica commerciale, spesso con leggi "private" autocreate, con il solo scopo di condividere uno stile di vita.
vivere in un certo modo, secondo certi mood.
ha un senso questo cortocircuito?

l'ironia per la teodemagogia

carlo - 1-10-2002 at 23:20

quel buco nero che incornicia Marina Bassani nella messinscena del testo di Kolitz
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/yossl.htm
mi appare come un emblema.
La soglia tra il bene e il male, il punto critico di un atto d'accusa a Dio per aver permesso che accadesse del male.
Nell'incontro che è seguito allo spettacolo
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/altissimosilenzio.htm
la battuta caustica di stefano Levi Della torre, in perfetto humour yddish, sottolinea il paradosso: " ma tu credi in Dio?" e l'altro ebreo risponde: "figurati dopo tutto quello che m'ha fatto!".
Dopotutto anche Abramo, Mosè, Geremia, Giobbe, litigano con Dio. Ci fa notare l'ispirato Paolo De Benedetti.
Una serata densa, istruttiva, che fa riflettere su come il divario tra il divino e l'umano sia grande e irto d'incongruenze
Un divario in cui il mondo ebraico sa trovare delle chiavi interpretative in più di tanti altri.
Anche perchè sa ironizzare con ciò che è stata definita, genialmente, la "teodemagogia".


e ed elle

alan biko - 2-10-2002 at 00:09

Eccomi qua insediato in questa scrivania virtuale a tracciare le mie note, raccogliere la mia memoria personale, i percorsi del pensiero dopo i quattro passi fatti nell’arcastella. E nel farlo, nel raccogliermi per stilare (o stillare) un breve consuntivo di queste prime giornate, mi accorgo che mi bastano due lettere, una e ed una elle. Forse sarà la voglia di chiudere velocemente il collegamento e riposare, vista la piccolezza dell’ora. E può anche essere che la mia attività onirica sia già in moto, eppure questa sintesi estrema è molto calzante ed esauriente. Dunque, e ed elle sono le iniziali dei due personaggi, forse due giusti, che hanno aperto e chiuso, finora, questo primo giro. L’inizio è di Emanuele Luzzati, ça va sans dire. Avevo già visto, con piacere, molte delle sue opere, ma ieri ciò che mi ha colpito è stata la sua figura “rotonda”, mi sembrava, lui mi perdoni se lo scrivo, un fumetto, un geppo, un poldo, una tenerezza ambulante. Soprattutto però, lo ringrazio delle sue parole semplici, laiche, artigiane: “devo sapere quello che vado a fare”. In mezzo ai discorsi di arte ebraica sì arte ebraica no, il suo mi è sembrato un contributo chiarificatore. Ne discutiamo però in un altro momento, perché apre a un ragionamento che già coinvolge il secondo personaggio che si è impressionato nella mia memoria personale, un altro e ed elle: Emmanuel Lévinas. È già qualche anno che occasionalmente, ma sempre appassionatamente, lo cerco, lo leggo, lo incontro casualmente (?) e sento come il suo pensiero sia diffuso tra “uomini di buona volontà”. Certo era scontato che lo percepissi qui al festival, dato che gli dedicherà anche un incontro giovedì, ma è sempre una lieta sorpresa per me vederlo citato, seguito, ascoltato. Infatti il suo nome ricorre più volte nel catalogo della rassegna, chiamato in causa da Ernesto Pezzi e, di rinterzo, da Yossl Rakover. Sì, vado a dormire felice del “miracolo dell’esistenza”, come ci invita a fare Stefano Levi Della Torre, e ringrazio e ed elle, che messe assieme formano una parola ebraica. EL, che si può tradurre con la parola italiana: dio.

chiara - 2-10-2002 at 08:26

Ascoltare i racconti sulla vita e le tradizioni del Kibbutz mi ha affascinato. Soprattutto mi ha colpito l'idea delle case-dormitorio per i bambini; l'idea che i bambini dovevano vivere in spazi adatti a loro e che i genitori fossero educati a dedicare del tempo ai propri figli. L'idea era quella di formare-formarsi a vicenda, di educarsi collettivamente. Senza voler con questo dare giudizi sul metodo, sul modo di concretizzare queste idee, rifletto su quello che accade oggi e mi domando perchè quando c'è la libertà di dedicarsi del tempo senza delle scadenze prefissate (nel kibbutz i bambini erano a casa dalle 4 alle 6 o alle 8 e nelle feste comandate) il tempo ci serve sempre per altro. In fondo idealmente anche le case, i nuclei familiari sono dei piccoli kibbutz, dove tutti collaborano in qualche modo e convivono più o meno serenamente. Eppure quel tempo che ci si dovrebbe dedicare resta quasi sempre nei buoni propositi o negli sporadici incontri ai pasti.

morgana - 2-10-2002 at 08:28

lunedì 30 settembre, ultimo giorno del mese ma primo giorno di full immersion in una cultura a me, giovane studentessa non ebrea, per lo più sconosciuta.Mi colpisce il contrasto tra il fatto che la curatrice artistica non sia ebrea e che sia un tattile e corposo filo conduttore religioso ad avviluppare l'atmosfera. Luzzati, divertito e delicato, illustra i momenti pregnanti della Fede con colori uniformi che sembrano reccontare un passato spasmodicamente conservato e mai del tutto trascorso ma ancora e per sempre aleggiante. Scopro che arte e Fede hanno la stessa radice etimologica e, da buona occidentale abituata a una compenetrazione continua e inestricabile di una nell'altra, inevitabilmente mi stupisco..Buffet d'inaugurazione:il cibo stesso parla della meticolosità con cui si conservano e rammentano, continuamente, i precetti secondo cui rapportarsi verso il mondo, verso Dio o verso se stessi, il che sembra un unico processo.
Secondo giorno:incontro con Israele de Benedetti un giovane troppo invecchiato che racconta la sua esperienza in kibbutz,commistionando dolcezza a una chiarezza espositiva eccezionale che nasconde il peso dell'età, della delusione per aver visto infranto il desiderio di tramandare la sua eredità e lascia però intravedere un desiderio costante di non gettare mai la spugna e di non perdere mai le speranze.Il kibbutz stesso esplica quel desiderio di creare una coscienza collettiva per preparare le basi per una futura memoria collettiva che diventi quasi più pregnante di un qualsiasi presente:un nome unico assunto per tutti i bambini di una stessa classe che lo conserveranno per tutta la vita,un'educazione collettiva e una presenza dei genitori a singhiozzi(solo in alcune ore della giornata e nelle feste comandate)e, senza esprimere giudizi ma soloun'ammirata constatazione, una presenza instradata, in quanto i genitori stessi apprendevano come rapportarsi con i propri figli, quasi per rendere più utile il tempo. Ma il tempo dov'è?cos'è?. Ore 21, Teatro Gobetti:Marina Bassani interpreta il testo di Yossl Rakover che si rivolge a Dio dopo eterne sofferenze patite sotto il Nazismo, ma ancora ricco di Fede, tenace difensore di ciò che il suo Dio aveva in tutti i modi cercato di strappargli invano. E' il discorso non di uno schiavo al padrone ma di un allievo al suo maestro che pretende riconoscimenti senza mai travalicare nell'ira o nella mancanza di rispetto. Il testo, considerato un'autobiografia, è in realtà opera dell'abile mano di uno scrittore ma nessun ebreo ha mai voluto riconoscerne l'autorità,continuando a considerarlo prototipo di una condizione comune. Non è l'individualità occidentale ma la collettività a essere protagonista. Ancora una volta mi stupisce questa volontà ostentata di attorciliare tutta l'esistenza intorno alla Fede, per poi esplicarla in ogni singolo momento della giornata.Mi affascina la costanza elegante e precisa che, nella nostra società attuale mi sembra dissolversi per altri valori.

walter - 2-10-2002 at 08:30


Franz e Rosenzweig

alan biko - 2-10-2002 at 12:52

alla scoperta di Franz Rosenzweig, altro filo della "trama ebraica" nella filosofia moderna.. antico e moderno, cioè più che contemporaneo.. nato "assimilato" nella Germania di fine 800, ebreo ritrovato dopo la Grande Guerra, morto da gran rabbino nel 1929, a soli 43 anni e dopo che per sei lunghi anni, causa la malattia, riusciva a comunicare solo indicando le lettere, una ad una, e infine solo col movimento delle palpebre. Così ha scritto centinaia di lettere, decine di articoli, un saggio ed ha avviato insieme a Martin Buber la traduzione in tedesco della Bibbia.. ebreo e(sottolineato) tedesco, non ebreo o tedesco, come gli chiesero un giorno. Rifiutava questa scelta obbligata perché, diceva, solo Dio può chiamarmi a una scelta del genere e solo allora deciderei per l'uno o l'altro, ma qui, ora, sono libero di far convivere le due condizioni, posso aver cura e parlare con e per entrambe.. sottiglienzze linguistiche: e, o; sfumature che però diventano elemento fondante del suo pensiero, che pone la filosofia come dialogo (sottolineato), come qualcosa di vivo che nasce dal confronto, l'incontro.. Socrate, Platone, certo, ma anche Schopenhauer, Nietzsche, il suo amico Buber, che nel rapporto dialogico Io-Tu intravede l'essenza stessa del nostro rapporto con la divinità, la div"ina Alterità.
Ne La stella della redenzione" Franz Rosenzweig ci invita a vedere il momento della creazione dell'uomo non quando gli fu ispirato nelle narici il soffio vitale (Gn 2,7), ma quando Dio chiamò l'Adamo nudo e vergognoso che si nascondeva nel giardino dell'Eden: "Dove sei?" (Gn 3,9). E più avanti (Gn 22,1) Abramo rispose: "Eccomi"

Franz Stangl

Luca Borello - 2-10-2002 at 13:41

Quando Maria Pia mi ha chiesto di scrivere sei righe di impressioni personali sull'incontro dedicato a Gitta Sereny, ho pensato che avrei doviuto scrivere qualcosa sul dolore. Certo non sei righe: può darsi cinque, o dieci, perché il dolore a volte è come una bestia di gomma e granito che si contrae e si espande e non sta mai dove credi che sia, a volte basta una parola per descriverlo e a volte diecimila non sono sufficenti.
Come descrivere qualcosa che neppure se appartenesse a te riusciresti a spiegare esaurientemente?
Ognuno ha il suo dolore. Anche il "boia di Treblinka", Franz Stangl, una giovinezza trascorsa a tessere e suonare la cetra e navigare su una piccola barchetta a vela. E proprio questo che Gitta Sereny ha scovato penetrando nella personalità del comandante di Treblinka: il dolore e la paura, due cose che (almeno allora) nessuno si sarebbe aspettato di trovare in un "mostro".
Se esiste differenza tra dolore e dolore (cioé se c'é un dolore che merita di essere compatito più du un altro, che "vale" più di un altro), questa é data dalla responsabilità. Stangl é responsabile del proprio dolore, e di quello delle sue vittime, che non hanno goduto della possibilità di scegliere. Stangl é dannato, ha scelto e si é meritato la sua sofferenza, emersa al lento sgretolarsi delle menzogne dietro cui aveva tentato di nascondere la verità. Eppure, almeno a me, la storia di quel boia ha suscitato uno strano miscuglio di rabbia e compassone: rabbia per le sue gesta fredde e atroci, compassione perché egli stesso si é precluso ogni possibilità di redimersi.
Franz Stangl era un mostro? Se crediamo che i mostri siano capaci di soffrire, o pensiamo che Stangl non faccia che mentire, rispondiamo pure di sì e voltiamo pagina.
Credo che non si tenga mai abbastanza in considerazione la nozione di "banalità del male", perché é più facile credere di essere immuni dal "male" se si é convinti che a compierlo siano solo dei "mostri" disumani e privi di sentimenti. Eppure la storia del Terzo Reich dimostra che il veicolo più sicuro e rapido con cui il "male" si propaga e si rafforza é costituito proprio dalla mediocrità degli animi. Non (almeno non solo) la disillusione, la frustrazione, l'avidità o l'egoismo. Ma l'accidia, l'inerzia, la cecità, il disinteresse, il "quieto vivere", fanno in modo che il male, l'ingiustizia non rappresenti altro che uno dei tanti elementi della quotidianità, cui ci si può tranquillamente abituare. E una volta abituati, é molto facile prendervi parte.
Per questo io non mi fido tanto di certe "brave persone", dei "bravi ragazzi" puliti, per bene e "normali": spesso sono proprio loro quelli che riescono a vivere all'inferno senza accorgersene neppure. Sono loro gli ingranaggi bene oliati del sistema, e sono loro che in fondo temo di più.

Le bellissime ex-bambine

walt - 2-10-2002 at 18:23

maria pia presentando Lia Levi ha riconosciuto in lei una qualità molto ebrea, il non arretrare mai di fronte alle difficoltà che la ricerca della verità comporta, l'affrontare anche le ambiguità che questa ricerca comporta...
Lia Levi è apparsa come un'altra bambina d'età, solare e spiritosa... e la bambina che ha raccontato, stasera e nel suo libro che non ho ancora letto, sembra incarnare tutto il mondo dell'ingenuità, infantile e non, che vive le grandi tragedie della storia con leggerezza come fossero commedia... alcune bellissime ex bambine sono state stimolate a rievocare anche loro come vissero, o adesso sentono di vaer vissuto, le leggi razziali alle elemenatri o al liceo... c'era anche un po' di commozione mentre si scambiavano appunti personali pure in delicato contrasto... il potere della vera, autentica autobiografia... bambine che sono state 'protette' dai genitori per salvarle dal peso della vita...
ho ripensato alle case dei bambini scoperte solo poche ore fa, altri figli protetti lasciandoli in qualche modo più liberi, nel nome di una utopia originata dalla sofferenza.

culture forti, meticciato, identita' e differenza

mirko - 2-10-2002 at 21:02

una frase, dall'apparenza marzulliana, ma che in realta' nasconde qualcosa di forte:

l'amore cambia la vita, la vita cambia l'amore

piu' o meno questa, pronunciata da Lia Levi che richiamava quanto scritto da Maria Pia presentandola sul catalogo di Arcastella

e' questo il frammento piu' interessante dell'incontro, a parer mio, perche' si inserisce nel discorso del "misto", che in questo festival, ancora, non avevo colto.

e cioe': abbiamo discusso di ebrei, di gentili, ma non di unioni fra i due insiemi sociali, non delle intersezioni risultanti.
e' un nodo problematico affascinante, ci arriviamo attraverso il film di Benigni, "la vita e' bella". esistono lati del mondo ebraico che ne hanno contestato la semplicita' con cui all'interno del racconto viene vissuto e portato avanti nonostante tutto l'amore misto fra benigni e nicoletta braschi. lui ebreo, lei gentile.

probabilmente e' vero, la realta' era diversa, ma il film e' un poema, e come tale qualche licenza e' lecito concedergliela.
ma il punto e' ugualmente interessante: il meticciato come nodo problematico, soprattutto nel momento in cui si adotta la scellerata politica delle leggi razziali.
allora scatta il cortocircuito fra memoria e attualita': che differenza passa fra i problemi di integrazione "imposti" dall'alto nel 1938 (erano tutti italiani, stessa cultura, forse fino al mese prima delle leggi razziali alcuni ignoravano addirittura che il vicino di casa fosse ebreo) e quelli invece "generati" dal basso di oggi ? (basso= incontro/scontro fra culture in origine diverse, basso= ignoranza dell'alterita')

l'utopia dell'ostrica

holeideescure - 2-10-2002 at 23:29

ricordo un giorno a scuola, tra varie parole ne sentii una sconosciuta: "utopia" ingenuamente chiesi qual'era il suo significato. la risposta fù approssimativa ma affascinante: "utopia è un sogno irrealizzabile". talmente affascinante che più avanti davanti a mille libri a mille lire, di quelli della newton, ne scelsi uno con quel titolo, non conoscevo l'autore, era un certo thomas more. leggendolo ho scoperto che lui aveva inventato quel termine per descrivere un'isola inesistente, un paese ideale dov'era proibita la proprietà privata e il lavoro era obbligatorio per tutti... inevitabile pensarci sentendo parlare di kibbutz. anche se questi esistono. scopro però che il loro destino è segnato, è finita l'era dell'abbondanza. sono state chiuse le case dei bambini per volontà delle mamme che volevano i figli sotto le proprie ali. si è sgretolato un pezzo di quell'isola, cementata dalla religione, si va verso la privatizzazione e i giovani fuggono in città... non è difficile capirli: un discorso è scegliersi un destino, un altro trovarselo addosso... a narrarci questa storia, la sua, è israel
de benedetti
, un vecchio sognatore. mi fa venire in mente il principe di salina, un nobile decaduto. anche lui, come l'ostrica, legato al suo scoglio.

Come i tentacoli di una piovra.

morgana - 3-10-2002 at 10:50

Mentre Lia Levi raccontava i suoi due libri "Una bambina e basta" e "L'albergo della magnolia" due sono stati i momenti che ho sentito infrangersi dentro di me come un urlo. Il primo ha coinciso con il momento nel quale Lia raccontava la gioia infantile e innocente con la quale, da bambina,apprende di non poter più frequentare la scuola normale:ho sentito l'eco di una risata spezzata,improvvisamente,dalla disillusione nell'apprendere di doversi iscrivere alla scuola ebrea, ignorando e senza concepire che la semplice esistenza potesse essere fattore discriminante. Ho visto una macchia di inchiostro nero violare una pagina bianca di un libro ancora da scrivere di una bambina delle elementari, ho percepito l'inquietudine subentrata rapidamente alla gioia ignara per le frasi dette a metà e sussurrate dai genitori,nel tentativo di mascherare l'orrore,ma che,in realtà,seminavano solo incertezza e dubbi a chi, come Lia, percepiva l'atmosfera senza riuscirne a trovare i perchè.
Il secondo momento invece è stato identificato dal secondo libro, autobiografia solo per quanto riguarda l'eco delle sensazioni ed emozioni percepite e assorbite da Lia in quel periodo e poi trasfuse e distribuite tra i personaggi di un'esperienza che non è stata propriamente la sua, ma che è stata vissuta quasi empaticamente:un uomo ebreo che vive da 20anni in Israele in un kibbutz ripercorre la sua vita, illuminata da un amore che è stato dalla vita stessa modificato, trascorsa in un mondo Altro che lo aveva inghiottito, annichilito e quasi del tutto digerito: costretto a disconoscere la paternità su suo figlio affinchè non venga inserito nella lista delle classi di bambini misti, incrociati o meticci, grazie all'influenza e potere che detiene la famiglia"gentile" della moglie, esponente di un'importante famiglia cattolica romana. Ho sentito il disperato tentativo di trovare un perchè o un origine che giustificasse tutto ciò e l'unica conclusione che ho raggiunto è stata che per noi, o per lo meno per me, troppe sfumature quotidiane sono date per scontate e i fili che intrecciano i nostri passati con i nostri molteplici presenti possono permettersi di essere meno saldi, quasi come se fosse garantita una sorta di continuità di fondo. Il mio pensiero si è poi spostato al protagonista, figlio di un popolo che per secoli ha dovuto soffocare il proprio orgoglio, nascondere il proprio nome ma che è riuscito a non perdere mai di vista il proprio punto di partenza e di arrivo. Improvvisamente, sebbene possa apparire buffo, nella mia mente ha preso forma l'immagine di una piovra, con lunghi, intrecciati e sfilacciati tentacoli, che si muoveva agitandosi nel silenzio delle profondità marine, solo apparentemente qiuete, nell'estremo ma ormai noto per la sua stessa natura, tentativo di non perdere l'origine, il senso e il valore di ogni singolo prolungamento della sua essenza. Questa è la sensazione che mi sta comunicando questo festival:indicibile tenacia, perseverante ma critica Fede e soprattutto una coerenza nuova, intima e collettiva insieme che, anche se si sfilaccia nel tempo e per il tempo, non tarda a ricostituirsi. (morgana)

OT: info di servizio

mirko - 3-10-2002 at 12:42

informazione di servizio: oggi purtroppo non posso essere con voi all'espace perche' mi ha convocato d'urgenza il distretto militare per oggi alle 16. essendo dall'altra parte della citta' dubito di arrivare in tempo, comunque cerchero' di arrivare lo stesso appena posso.
scusate ancora il disguido, ma devo assolutamente accertare che vogliono, non vorrei che avessero combinato qualche guaio.
posto qui xke' mi spiace non esserci ma non saprei come avvertirvi diversamente non avendo i vostri num di tel.

frammenti

chiara - 3-10-2002 at 13:47

All'incontro con la partecipazione delle donne presenti è stata commovente. la scrittrice lia levi ha raccontato la sua infanzia, che è poi l'argomento del suo libro "una una bambina
e basta
", di come ha vissuto la terribile vicenda delle leggi razziali con gli occhi di una bambina che non si rendeva conto di quello che succedeva attorno a lei. i genitori, nel tentativo di proteggere i figli, non spiegavano loro perchè non potevano frequentare la scuola dove erano stati alunni fino a quel momento. molte signore in sala hanno raccontato la loro esperienza, il loro vissuto, il loro passato da bambine ignare e la loro successiva presa di coscienza. è stato un momento molto emozionante per me, dai loro racconti trasudava la "storia vera", non i fatti storici da manuale ma come le cose venivano vissute da chi troppo spesso non viene considerato: dai bambini.
e mentre queste donne si raccontaveno e condividevano con noi dei momenti così intimi ho pensato alla definizione che lia levi ha dato della scrittura: un far emergere le emozioni che ti hanno condizionato e che ti hanno reso quello che sei, un dare ordine al vissuto. e ho pensato che (comunque) queste emozioni andrebbero davvero condivise con la scrittura, con il dibattito, con il racconto (come è successo oggi), per regalare un pò del nostro essere individui agli altri

il pensiero che produce pensiero >>>gli interventi CONTINUANO nella pagina2!!!

carlo - 3-10-2002 at 13:59

L'incontro con haim baharier
http://www.teatron.org/ebraica/curricula/Haim%20Baharier.htm
mi spalanca una finestra sul pensiero di levinas,
http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?tabella=brani&id=143
da considerare ben più di un filosofo.
anche perchè nella tradizione ebraica non c'è filosofia: c'è pensiero che produce pensiero.
e quel pensiero ha senso se si fa impegno, inteso sia come atto mentale che etico, nonchè presa di coscienza ecologica.
Il pensiero quindi oltre a determinare conoscenza determina il comportamento, tanto per sintetizzare un percorso intricatro e affascinante che passa per il laborinto dei commentari propri del talmud.
E quando levinas esorta la sua comunità dicendo: siate un popolo colto, non pensa alla cultura delle sovrastrutture ma a quella che cementa l'identità, non quella individuale ma quella collettiva.
Un'altra lezione magistrale. Che mi fa ronzare la testa e correre in libreria a cercare i suoi testi.

mercoledi 2 ottobre: tra arte e vita

carlo - 3-10-2002 at 14:06

Terzo giorno del nostro diario di bordo, l'equipaggio del laboratorio di scrittura on line sta carburando e ci stiamo organizzando per seguiire i vari appuntamenti, alcuni in contemporanea.
Al centro di tutto, l'abbiamo già rilevato, c'è la memoria e la ritualità identitaria in cui l'autobiografia e le diverse espressioni (dai disegni di Luzzati in cui traspaiono le sue visioni infantili delle leggende ebraiche ai romanzi di Lia Levi, alle fotografie di Momigliano) s'intrecciano in un tutt'uno.
Esiste un'arte dell'essere ebreo è stato detto.
E ce ne rendiamo conto in questa rassegna in cui costantemente arte e vita s'intrecciano.

La sapienza sull'altare della conoscenza

alan biko - 3-10-2002 at 20:21

Un’immagine per un pensiero che, come leggo in un precedente intervento, frutta altri pensieri. Ho condiviso lo stesso incontro, nella sala conferenze dell'Archivio di Stato.
L’immagine è quella di Haim Baharier che si muove, nella sala conferenze dell’Archivio di Stato, imitando chi nel giardino dell’Eden mangiava, senza troppo pensarci, tutti i frutti che aveva davanti, compreso quello dell’albero della conoscenza, per poi vergognarsene e temere. Il pensiero è sorto spontaneo: era quell’Adamo quest’uomo di oggi che divora ogni risorsa, senza ritegno, approfittando di un tuttora splendido paradiso terrestre?
La lezione di Levinas, che esorta Israele ad essere un popolo colto, viene commentata e arricchita da Baharier e riporta a un solido principio levinassiano: “l’etica come norma di conoscenza”. Accedere alla conoscenza deve essere anche pratica di impegno morale. E certamente anche civile, sociale. Altrimenti non resta che vergognarsi della reiterazione del peccato originale. E temerne le conseguenze. Viene ricordata anche la citazione talmudica che invita a “Non sacrificare la sapienza sull’altare della conoscenza”. Quasi che la capacità di sviluppo del pensiero debba recedere davanti alle istanze di quella capacità ancestrale di sapere e sentire le cose “con tutto il proprio cuore, tutta la propria anima, tutte le proprie forze”. E mi domando: questa piena coscienza della conoscenza dovrebbe essere anche il limite naturale della scienza? C’è da scoprire cosa ne pensano i dotti…

La scrittura è arroganza?

chiara - 3-10-2002 at 22:05

Oggi l'incontro con Clara Sereni è cominciato con alcune letture tratte dal suo libro catapultandomi in trame e storie a me sconosciute. Mi ci è voluto un pò per capire e per orientarmi. Mi ha affascinato molto l'idea della scrittrice di creare un libro unendo agli aspetti del romanzo delle parti scritte dai protagonisti, per dar voce a questi uomini che hanno letteralmente scritto un pezzo della nostra storia. Un'altra cosa che mi ha colpito è stata la definizione che Clara Sereni ha dato della scrittura: un grande atto di arroganza perchè nasce con l'idea di immaginarsi che qualcuno userà una parte non indifferente del suo tempo per leggere quello che l'autore pensa. Questa frase apparentemente cinica mi ha colpito perchè non ho mai pensato alla scrittura in questi termini. Eppure non posso negare che contenga del vero. Anche se spero di avere conferma che così non è, che, invece, la scrittura è un condividere, un lasciarsi "sbirciare" un pochino dentro, anche se attraverso mille lenti deformanti, un regalare un pezzetto di noi agli altri, uno svelarsi quel poco che basta a creare un confronto, a far sorgere un dubbio.

ingegneria del legame sociale ed ebraismo

mirko - 3-10-2002 at 23:24

in questo periodo sto leggendo, anzi rileggendo, "L'intelligenza collettiva" di Pierre Levy,e mi imbatto in una frase che mi fa pensare.

il contesto in cui compare e' l'inizio del libro, in cui Levy cita ad esempio delle sue argomentazioni l'episodio biblico di Sodoma e Gomorra, le citta' del peccato che Dio, prima di distruggere, decide di far "scandagliare" da Abramo alla ricerca di 50 giusti che con la loro semplice presenza, le risparmierebbero dalla catastrofe. 50 giusti salverebbero Sodoma e Gomorra. "Mercanteggiando" con Dio Abramo riesce a portare la soglia a soli 10 giusti.
Ebbene Levy in coda al suo ragionamento piazza questa frase, semplice ma forte:

La trattativa di Abramo con Dio rappresenta la prima tecnologia di ottimizzazione degli effetti, di massima valorizzazione delle piu' piccole qualita' positive insite in un collettivo umano.
Abramo inventa l'ingegneria del legame sociale.

Mi tornano allora in mente i discorsi di questi primi giorni all'interno del gruppo di lavoro del diario di bordo: la sensazione di una compattezza assoluta della comunita' ebraica al proprio interno, compattezza che pero' non sfocia nel monolitismo, quanto piuttosto in una Rete chiusa.
Assistendo alla passeggiata letteraria di qualche giorno fa, era tangibile la percezione di un substrato di legami (parentela, amicizia, conoscenza) fra i partecipanti e chi invece aveva scritto i passi citati. Assistendo alla conversazione con Israel De Benedetti, anche qui, una rete sotterranea di esperienze comuni, interlacciate fra loro.
Allora mi chiedo se non sia questa consapevolezza estrema del legame sociale a rendere la cultura ebraica - per come si e' presentata in questi giorni ad ebraicafestival ad un gentile come me - compatta ma non monolitica, forte nell'affermarsi. Se non sia questa consapevolezza dell'importanza del legame sociale minimo fra due punti a renderla cosi' affascinante e carismatica.
E, in negativo, se non sia questa consapevolezza del legame sociale a renderla non abbastanza aperta alla divulgazione verso l'esterno delle proprie peculiarita'.

Gli integralismi che annullano

carlo - 3-10-2002 at 23:54


Il velo bianco di Caterina da Siena mi appare come un burka.
E’ il velo degli integralismi che annullano. Mussulmani o cattolici o ebraici.
E’ sotto il segno dell’integralismo subito dalle donne che si svolge la serata al teatro Gobetti, dopo la lettura di “Ripudiata” di Elette Abécassis
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/ripudiata.htm
un dialogo tra Elena Bartolini e Dacia Maraini di cui viene messo in scena infine “I digiuni di Santa Catarina”.
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/digiuni.htm
Si parla di donne che scelgono la morte, una, Rachele perché ripudiata dal marito per via di figli che non arrivano, l’altra perché ha scelto di sposarsi con il Cristo che ambisce raggiungere in un’estasi senza fine.
Catarina poteva ottenere ciò che voleva, ambasciatrice della chiesa, autorevole, colta e raffinata, ma si lascia morire di fame. “Fare la mistica può essere una cosa conveniente” dice, caustica, Elena Bartolini. E ripenso a quella teoria sulla “teodemagogia” di cui si parlava qualche giorno fa.
Di come si possa investire troppo sulla "politica" del miracolo o del misticismo, per altri versi,
Di come si possa negare la vita e l’etica per un’integralismo. Insostenibile.

giovedì 3 ottobre: Dall'Etica all'Integralismo

carlo - 4-10-2002 at 00:37

In questa full immersion nella cultura ebraica il prisma del nostro diario di bordo può arrivare a riflettere, in una stessa giornata, un arco di contraddizioni spaesanti che dalla coscienza etica ci porta all'integralismo induttore di morte, in una deriva, mistica o ortodossa , che nega il senso vitale delle cose.
Dalla lezione magistrale della mattina ispirata da Levinas
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/atenegerusalemme.htm
alla serata sugli integralismi con Dacia Maraini http://www.teatron.org/ebraica/eventi/integralismi.htm
passando per un pomeriggio di riflessione su autobiografia e letteratura con Clara Sereni
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/gioco%20dei%20regni.htm .
Le nostre scritture iniziano a liberare le potenzialità della rete, con i link ipertestuali, sia interni al sito per le informazioni di contesto, che fuori per approfondimenti ulteriuori.
Prende così forma la scrittura connettiva
http://www.teatron.org/prima/connettiva.html
di cui si parlerà domenica nell'incontro finale su La Scrittura, la Memoria e la Rete
http://www.teatron.org/ebraica/scrittura.htm
prima del "reading", la lettura di questo diario di bordo on line.

frammenti e tentativi gentili di interpretazione

morgana - 4-10-2002 at 14:02

Forse, il fatto che Clara Sereni concepisca la scrittura come atto di arroganza, perchè presuppone che qualcuno dedicherà del tempo ai tuoi pensieri, l'ha spinta a iniziare la sua trattazione dei libri senza prima una contestualizzazione definita..forse non voleva rubare troppo tempo, ma io ammetto di aver faticato parecchio prima di riuscire a trovare le fila da seguire..in ogni caso persiste in me questa sensazione di introflessione dei partecipanti ebrei agli incontri: talvolta mi sento esclusa da questo mondo così profondamente incorniciato nella ritualità che sembra pensare essere forse troppo scontato che un "gentile" non sia perfettamente al corrente di cosa si sta parlando e abbia bisogno di qualche delucidazione in più.. Ancora una volta, come il giorno precedente, Clara Sereni ha commistionato la sua esperienza a invenzione romanzesca, ma, a differenza delle volte precedenti, l'esperienzariportata non è sua personale ma della sua famiglia, in particolare dei suoi zii. Un libro, e forse una fetta di vita, scritta a più mani, che riporta impressioni vissute diversamente, da persone diverse ma accomunate tutte dallo stesso destino e dallo stesso sangue. L'unità nella molteplicità, l'elemento singolo nel mosaico da cui deriva, fatti reali che scioccano a talvolta possono scandalizzare i bempensanti, come l'ultima lettera scritta dallo zio Emilio al P.C.I.che chiede di curare la moglie, ma che, in realtà, vengono assorbiti dalla perturbante esperienza vera che i protagonisti hanno vissuto e trasposto, giustificando anche questi particolari insoliti. Ancora una volta la collettività crea il testo, reale e letterale, ancora una volta è la memoria, in questo caso addirittura di una discendente, a essere protagonista, ad animare il ricordo che vive, nei testimoni di quel tempo, presenti ieri all'incontro. Io, estranea, giovane e "gentile" mi avvicino, affino l'udito e tante emozioni, così come tante voci e situazioni prendono forma nella mia mente. Ma è come se mancasse un pezzo al mio mosaico fatto di un flusso imprecisato, indefinito, mi manca uno spiraglio che forse loro non riescono ad aprire o, molto più probabilmente, io non riesco a trovare.

Un valzer che alza alto nel cielo

luisa - 5-10-2002 at 00:04


Una sciarpa rossa e giri di perle, i dettagli che raccolgo dagli incontri con Lia Levi e Clara Sereni.

Ritorna,emergendo dallo strato spesso di tante altre parole, l'immagine di una grande porta. il senso dell'essere dentro o dello stare fuori, del voler entrare e dell'essere cacciati.
Peter Pan ... il bussare per farsi aprire ... i bambini cacciati da scuola (evoca Lia)
E Clara "...cancelli che si aprono e si chiudono con clangore ...

E intanto, dietro la grande tenda nera, si celebra, forse,un qualche rito arcano (Gulliver o Polifemo?...) Entra un omino che porta un enorme lampada, esce un altro con una scala interminabile, si levano a intermittenza brusii, ronzii, colpi di martello...La tenda chiude un altro mondo e ci lascia fuori.
"La scrittura, ha detto Clara, e un grande atto di arroganza" O forse anche la voce della timidezza, se scriviamo non dobbiamo guardare in faccia l'altro, nessuno ci puo interrompere o chiedere perche...
"Un valzer di Chopin si alza alto nel cielo che va imbrunendo"

la vera storia di falso

giacomo - 5-10-2002 at 00:07

questa è la vera storia di vero falso e inesistente
vero da piccolo era buono ed innocente scriveva poesie
poi un giorno incontra falso
falso gli dice qualche piccola bugia
vero qualche piccola verita ed in breve tempo diventano amici ed in seguito amanti
falso dice a vero un giorno di aver incontrato un certo inesistente che dice lui é l'esatto contrario di vero : bello bravo e intelligente
vero non ci crede o non ci vuole credere anche perche falso non è molto affidabile
falso dice che vero lo ha creato solo per essere lui l'unico vero mentre vero dice di aver incontrato falso quasi per caso un giorno che aveva fatto qualche cazzata
la storia tra i due continua a stento ora sono impegnati a fare quiz per entrare ad un inutile universita o per prendere una pericolosa patente
forse sarebbe meglio che andassero a chiarirsi un po le idee da inesistente


giacomo


venerdì 4: il talmud e internet

carlo - 5-10-2002 at 00:29

Ultimo giorno del laboratorio di scrittura on line e siamo già proiettati sul reading di domenica alla Miniera.
Una delle buone idee emerse all'inizio era fare del preludio
http://www.teatron.org/ebraica/preludio.htm
una sorta di "gran vocio", tipo messaggi in segreteria telefonica, per mandarlo in sottofondo alla lettura finale del diario.
Ok, fatto.
Andiamo a RadioFlash e grazie alla splendida disponibilità di Fabio e Dario
registriamo ( con le voci di Giorgio, Chiara, Mirko e Giulia) i messaggi, inventandoci il bip della segreteria con il tono di un cellulare.
Cotta e mangiata: registrata al volo e messa in onda. Splendida presenza di spirito di tutti.
In trasmissione parliamo della nostra esperienza del diario di bordo on line ed emerge l'affermazione di quanto questo sia "commentario", il prisma di sguardi di cui abbiamo parlato più volte, un modo per coniugare pensiero ed azione.
Nel web il linguaggio agisce,come nell'oralità. Interviene sulle modalità della comunicazione, dinamica ed empatica.
Diviene un atto culturale che può incidere sui comportamenti di chi condivide quel luogo di confronto.
E in più, attraverso i link ipertestuali (come è stato gia rilevato), espande la coscienza dei percorsi paralleli e intersecanti.
E ci viene in mente il Talmud, il grande commentario in cui il pensiero è concepito per ricrearne altro.
E questa citazione ci conforta

"...quando guardo le pagine del Talmud vedo tutti questi testi uno vicino
all'altro, intimi e invadenti, come bambini di immigrati che devono dormire
nello stesso letto, mi viene in mente la cultura frammentaria e
caleidoscopica di Internet.
Per centinaia d'anni, norme relative a quasi tutti gli aspetti della vita
ebraica si sono spostate in volo avanti e dietro, da ebrei dispersi in un
angolo remoto del mondo ad altrettanti centri di studi talmudici.
Anche Internet è un universo pervaso da un illimitato desiderio di sapere,
fatto di informazioni e dispute, in cui chiunque sia dotato di modem può
girovagare per un pò e , lasciandosi alle spalle il caos del mondo, fare
domande e ricevere risposte."

Jonathan Rosen, "Il Talmud e Internet", Einaudi


walt - 5-10-2002 at 11:52

abécassis e maraini ci colpiscono con la brutta fine di due donne vittime dell'integralismo... insostenibile, ha giustamente scritto carlo... ma si è anche parlato della forza di questa catarina, come donna... a me, infedele, è sembrata invece debole, molto debole per doversi autodistruggere nel raggiungimento dell'estasi... e quindi il tutto ancora più sconvolgente, come in certi film giapponesi di erotismo estremo e definitivo.
il gobetti era così semivuoto, nonostante la presenza della più 'famosa' tra le presenze della rassegna... forse dacia non è ebrea?

qualche ora prima... nel corso dell'incontro che mi sembra fino ad ora il più 'letterario', clara sereni presenta il suo interessante mélange di scrittura romanzesca e documenti presi dalla vita vera... e anche qui, in una lettera autentica scritta dallo zio ebreo ortodosso poi comunista ortodosso, una donna moglie la cui salute e sopravvivenza sono sottoposte al vaglio della Storia.
non mi scandalizza chi antepone l'interesse comune a quello privato, dice clara sereni, sopratutto ora che l'interesse privato si fa governo.
una frase bellissima.
... ma nel buio del teatro il volto, illuminato dal faro, dell'attrice rachele e catarina, si è rivelato anche quello sconosciuto della zia malata.



non camuffarsi più per non dimenticare mai

morgana - 5-10-2002 at 14:17

Ieri è stato l'ultimo giorno degli incontri, oggi è il sabato, il giorno del riposo e io mi ritrovo qui a raccogliere i miei pensieri che affastellandosi mi sussurrano diversi momenti di questa settimana. Sono giorni tristi, questi, per me, coincidono con l'anniversario della morte di mio papà e, solo ora, mi rendo conto di quanto l'essermi avvicinata a questa cultura e alle sue narrazioni mi abbia costantemente riportata a quei momenti. Passati che si inseguono e rincorrono in una danza ora felice, ora spaventosa, ora semplicemente triste, storie che si narrano e tramandano per rinsaldare un contatto che sembra sempre messo in pericolo, sempre sul punto di sfilacciarsi, lasciando soli e desolati animi destinati a vagabondare. Colori, forme e disegni nei quadri di Luzzati che suggeriscono una visione adulta ma infantile della rappresentazione della Fede e della vita, sempre inevitabilmente connesse, graziosa per le sue forme divertenti ma melanconica per i colori bruni che le animano, reali ma sospese nel tempo nell'attimo che dura per sempre. L'ultimo incontro della settimana è stato con Helena Janeczek, autrice di "Lezioni di tenebra" e di "Cibo". Lei, figlia della Shoah, parla di una trasmissione quasi a livello amniotico, sentendo dentro di lei l'eredità dell'adattamento, del camuffamento e quasi dell'annullamento dell'identità ebrea a cui sono stati costretti ad arrivare i genitori per riuscire a vivere in un'apparente normalità:il tentativo, forse inutile, di annullare qualcosa perchè doloroso sebbene parte integrante del Sè.Ieri la sensazione che aleggiava nei miei pensieri si è a poco a poco concretizzata: ho letto e sentito il tentativo dolcissimo e forse infantile di questi giovani grandi vecchi di consolidare il pensiero, l'identità, la memoria, difesa nei secoli dalla frammentazione e dall'abbandono, conservata nel dolore e nell'umiliazione, incorniciata dentro una Promessa di Fede che tutto comprende e giustifica. Certo la mia esperienza non è la Shoah, ma anch'io ho vissuto la morte per cause ingiuste e sbagliate e, ammetto, la mia Fede in Dio è crollata. Mi sono sempre sentita sicura con me stessa ma ora, che ho percepito questa compattezza di spirito, questa forza d'animo e soprattutto questa fede che tutto include mi sono sentita piccola e sola. Li ho ammirati. Poi mi sono guardata intorno e per l'ennesima volta ho constatato che non c'erano giovani nè ebrei nè gentili. Vada per i gentili ma gli ebrei..perchè? Dopo questa settimana credo che una Fede così incrollabile sia possibile solo se sia parte della cultura nella quale si vive e si è cresciuti. La nostra cultura , quella dei gentili è sempre stata bighellona, inquadrata in una religione che, a parte agli inizi, e parlo di quasi duemila anni fa, non ha dato grandi esempi e si è più rifugiata più nell'apparenza che non nella profondità, costringendo chi realmente vi credeva ad avere con Dio un rapporto individuale, fino a quando l'individualità non è bastata più e i punti fermi sono spariti e la divinità si fa sempre più offuscata ed estranea. Ma gli ebrei invece, i giovani ebrei, che hanno ancora la possibilità di credere realmente e intimamente in un mondo con un perchè e un fine, dove sono? dov'erano? non avevano tempo? o non avevano voglia?O magari erano solo indaffarati e allora si perdonino..in ogni caso posso dire loro, dopo questa settimana e dopo la mia esperienza, che non vi devono rinunciare, non devono smettere di credere, loro che, forse possono ancora farlo.

the believer e gli altri

chiara - 5-10-2002 at 16:21

Guido Fink ha tratteggiato abilmente un'ampia panoramica sul cinema americano rispetto alle tematiche ebraiche (il cinema italiano ha dimostrato un tardivo interesse nei confronti di quest'argomento). In particolar modo ha analizzato il film "The Believer", un film duro, crudo ma davvero interessante (consiglio la visione a tutti). Onestamente mi è spiaciuto un pò che sia stato sacrificato il dibattito sui due film proposti dal programma, ma la conferenza è risultata lo stesso interessante. La frase che mi è rimasta più impressa è una citazione da Pavese che ha definito il cinema americano come un gigantesco teatro in cui si rappresenta in maniera spettacolare il dramma della vita di tutti. Una definizione non sempre calzante ma di sicuro affascinante.

domenica 6: shalom

carlo - 6-10-2002 at 18:17

Dopo il sacrosanto, in tutti sensi (per lo shabbath e per prendere un pò di respiro nel vorticoso ritmo della rassegna), intervallo di sabato, rieccoci in pista.
Domenica fuori porta, nel Canavese, alla Miniera di Roberta e la sua geniale cucina kasher.
Un ottimo pranzo esperienziale (ai confini dell'agrodolce) intervallato dalle letture a tema di Paola Corti.
Purtroppo i posti prenotabili si esauriscono e l'equipaggio del diario di bordo rimane fuori.
Arrivano alla fine, qualcosa per loro esce dalle cucine e si presenta il diario: Giulia, Giorgio, Chiara, Walter e Luisa leggono alcuni frammenti delle loro scritture.
Con l'aiuto di Roberto si mixa una base sonora con Stravinski e squilli di telefono con il "gran vocìo" registrato da RadioFlash con i messaggi e-mail del Preludio
http://www.teatron.org/ebraica/preludio.htm
come se fossero messaggi di segreteria telefonica.
E poi il breve reading, non c'è tempo, a Ivrea inizia "Il Primo Levi raccontato"
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/primo%20levi.htm
di Marina Bassani.
In questa ultima pagina di diario si raccolgono le ultime riflessioni del prisma-diario-commentario di Arcastella, di questa intensa rassegna che si conclude al Teatro Gobetti con un dibattito su "Ebrei italiani e Israele"
http://www.teatron.org/ebraica/eventi/ebreiitaliaisraele.htm
e lo shalom, il saluto di pace, rappresentato dalle letture di Valter Malosti delle poesie di Paul Celan e delle lettere dei frattelli Sereni.
Siamo in attesa che anche altri lascino le proprie riflessioni.
Intervenendo nel forum (ricordatevi di fare, dopo esservi iscritti, solo NEW REPLY) che rimane sempre aperto e accogliente.

Attenti alla difesa cieca

luca - 6-10-2002 at 23:09

Nel dibattito s'incrociano posizioni con diverse sfumature ma nessuna contraddizione acuta.
Emanuele Fiano, consigliere delal comunità ebraica di Milano e anche capogruppo dei Democratici di Sinistra al Comune, ammette che dopo l'assassinio di Rabin ha sentito una distanza verso la politica d'Israele e invita ad essere attenti alla difesa cieca di strategie che non trovano pace.
Rileva poi un pericolo: le comunità ebraiche in Italia rischiano d'estinguersi: nella scuola ebraica milanese le presenze si sono dimezzate negli ultimi anni.
Eddy Jamous, libanese di nascita e autore di un libro dal titolo "L'arabo ebreo" (dove arabo viene prima di ebreo), sostiene che bisogna intervenire nelle scuole per sciogliere i nodi dell'ignoranza sulla questione ebraica e per affrontare il tema delle differenze con il mondo arabo.
E' un esperto di sociologia infantile, attenzione che traspare nel suo intervento che individua proprio nell'approccio pedagogico la cifra delle strategie future.
Dobbiamo sapere parlare alle prossime generazioni. Da subito.

Il suk e l'ipermercato

carlo - 6-10-2002 at 23:17

C'è una frase che mi rimane in tasca, dopo questa serata al Gobetti.
E' di Eddy, l'arabo-ebreo.
"Chi arriva da fuori sente di più l'odore di chi è dentro".
E' un modo per capire come gli ebrei della diaspora che arrivano in Israele, possano rilevare le contraddizioni più di coloro che immersi quotidianamente nelle problematiche possono sottovalutarle.
E' delicatissimo il punto critico del rapporto con il mondo arabo.
Eppure un arabo-ebreo come lui riesce a cogliere più gli aspetti di vicinanza che quelli di lontananza. E' uno che riesce stare a proprio agio più nel suk che in un ipermercato.
Rispetto alla violenza assurda dei conflitti può apparire come insignificante ma è indicativo di una ricerca di contatto che può e deve esistere.

La stretta di mano e la poesia

carlo - 6-10-2002 at 23:23

Valter Malosti legge ma non solo.
Riesce a fare delle due lettere dei due fratelli Sereni, ingarbugliati in una polemica sui valori d'adesione al marxismo-leninismo (il carteggio è del 1927!), un asincronico dialogo teatrale.
E' bravissimo, nonostante quelle lettere che in questa fine serata-fine rassegna aprono un fronte di riflessione (il rapporto tra ebraismo e impegno comunista) che spiazza.
Con Celan pacifica tutto. L'ascolto della poesia evocativa conforta e lancia dal palco parole che incidono, come...
"Non c'è differenza tra una stretta di mano e una poesia".
C'è la risposta che cercavamo per questa chiusura.
Pace:Shalom.

su kibbutz e su dio

giacomo - 11-10-2002 at 17:13

Mi interessa molto la questione dei Kibbutz,anche perchè ho vissuto 4 anni in una comunità terapeutica che cura problemi di tossicodipendenza e psicologici.Io sono entrato in comunita' per problemi psicologici ed ho trovato persone che mi hanno molto aiutato e con le quali ho vissuto come se fossero la mia famiglia.
L'altro giorno ho visto la trasmissione di Marzullo(gia citato in un altro articolo)dove c'era un prete cattolico che diceva di litigare spesso con Dio,e della difficoltà di accettare l'allocentrismo,di dover accettare la volontà dell'altro,in questo caso quella di Dio,consapevoli di non poter contare solo sulla propria.
Mi fa riflettere sull'essenza e sull'esistenza di Dio vista come irrinunciabile presenza dell'altro,indispensabile per il compimento della nostra volontà
Giacomo

rete di persone

mirko - 11-10-2002 at 23:52

reduce da una cena alcolica e micotica assecondo l'idea di fare una specie di bilancio del diario di bordo, di arcastella, dell'esperienza che e' stata.

non amo particolarmente i bilanci, ragiono meglio a frammenti, ma credo che in questo caso uno strappo si possa fare.

ecco appunto, frammenti. questo diario di bordo inviterei a considerarlo un frammento di arcastella, strutturato quanto si vuole, ma frammento. non e' stato, per esplicita volonta' di chi lo ha progettato e di chi lo ha curato, un tentativo di abbracciare la rassegna in toto, e questo ha determinato - per me - il suo successo.

e' un frammento che suggerisce, spinge a scoprire il velo, spinge ad andare oltre. e' un frammento che ha saputo creare una tensione di sguardi nei confronti di arcastella e ha saputo alimentarla, giorno per giorno.
varie inquadrature, con camere differenti: il cortometraggio che ne e' uscito mantiene vivida la forza di una cultura affascinante e problematica quale quella ebraica, suggerendo, alimentando curiosita'. che poi, in ultima analisi, e' il miglior risultato che si potesse ottenere.

alla rete di sguardi si e' sovrapposta una rete di persone, stasera concetrata attorno ad un nodo fisico e alimentare, che non e' detto che si disperda. l'intenzione anzi e' di rimetterla alla prova quanto prima dopo aver sintonizzato e conosciuto le diverse "tecniche di ripresa".
del resto, e' nel secondo film che un vero regista si mette davvero in discussione:)