Stagione in corso / Oltre il muro e Shota / 2
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Oltre il muro e Shota

/ genesi del lavoro teatrale

La storia delle recenti guerre balcaniche ci riporta direttamente al libro della Genesi ed in particolare all'episodio di Caino e Abele.
Abele era pastore di greggi. Caino era un agricoltore stanziale. Abele era prediletto da Dio, perché Yahvéh era un Dio della Via la cui irrequietezza escludeva altri dei. Tuttavia a Caino, che avrebbe costruito Enoch, la prima città, fu promesso il predominio. Nella divisione delle cose a Caino fu data la proprietà di tutta la terra, ad Abele di tutti gli esseri viventi: al che Caino accusò Abele di avere sconfinato.
Tutto questo ci sembrava tipico delle storie balcaniche, e non solo.

La politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all'uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà.
Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino, con un marchio che è anche protezione, lo condanna all'esilio dove questo fonda per appunto la città di Enoch.

Dalla campagna alla città, dal mondo semplice e normato del villaggio alla complessità della città, cosmopolita e mitteleuropea. La storia del conflitto balcanico dei sette anni precedenti il nostro arrivo in Kosovo l'avevamo letta anche a partire dai meccanismi proiettivi che il piccolo gruppo balcanico, sia esso famiglia, clan o villaggio, ha tradizionalmente dato di quello spazio aperto che si può anche chiamare città.

Lavorare sulle differenze ci sembrava quindi un punto di partenza fondamentale per il nostro lavoro. La semplice possibilità dell'ammettere la presenza di chi è diverso da noi, per religione, etnia, genere, memoria individuale, ci sembrava potesse essere il primo perno intorno al quale costruire il nostro lavoro.
Sostiene Devad Karahasan che la prova dell'esistenza di un essere umano non sta nel fatto che esso pensi: "La prova che esisti realmente te la da il fatto che qualcun altro pensa a te".
La relazione e la comunicazione, centrali nelle dinamiche teatrali e nella vita di tutti i giorni, sarebbero diventate l'altro aspetto essenziale del nostro intervento.
Il Kosovo, rurale ed etnico, ci sembrava rappresentare il pensiero opposto, il pensiero che non guarda dentro di sé, ma che identifica ed individua nell'altro da sé tutti i mali nascosti della propria anima. Cerchio rituale e non luogo fisico della convivenza, non lascia aperture verso l'esterno. O ci sei o non ci sei.

Quello che ci sembrava di vedere, nel dicembre del 1999, era una doppia occupazione di una città, Prishtina, da parte degli operatori internazionali e da parte di quei kosovari che ritornavano da tutto il mondo o che abbandonavano le campagne. Nel frattempo, e velocemente, i luoghi degli eccidi ed i cimiteri di guerra, si stavano trasformando nei luoghi della memoria e della nuova mitologia nazionale.
Notavamo che l'edificio della propaganda bellica si regge sul presupposto che il nemico va degradato, ridotto a una creatura animalesca, miscredente, malefica. E viceversa, o in alternativa, i propri combattenti devono trasformarsi metaforicamente in belve, nel qual caso gli uomini diventano la loro legittima preda. Non a caso il gruppo paramilitare più famoso del conflitto balcanico, le Tigri di Arkan, avevano preso il nome in prestito dal più temibile tra i predatori di uomini.
Come i miti familiari, anche i miti o i falsi miti collettivi contengono regole mascherate della relazione. Spesso sono così integrati nella vita quotidiana della comunità che non solo il gruppo di appartenenza, ma anche i gruppi esterni non pensano a rimetterli in discussione, difendendoli come verità assolute se li si contesta.
Se è vero che i miti diventano patologici nel momento in cui il gruppo tiene a loro sopra ogni cosa, la nostra impressione era che si potesse parlare di questo nel caso del Kosovo di quei mesi e di questi anni.


Oltre il muro e Shota

dalla caduta del muro di Berlino
alla Jugoslavia come paradigma delle guerre di inizio millennio

Le performances Oltre il Muro e Shota prendono forma nella mezzo della mostra fotografica e sono accompagnate da laboratori, libri, materiali didattici e video.

di e con:
Agnese Bocchi, Giulietta DeBernardi, Luca Cusani, Anna Fascendini, Michele Losi.

SHOTA di e con:
Soledad Nicolazzi.

 
               
 

 

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