Prototipo

UN MODO DIVERSO DI STARE A TEATRO
Importante il rapporto con gli spettatori lì a Interzona per Prototipo
in quasi tutti gli spettacoli si è compiuto un viaggio tutti assieme, un cammino tra le stanze, tra le varie sezioni di queste rappresentazioni.
Nel primo spettacolo di Fanny e Alexander, per esempio, ho trovato molto più suggestiva la condizione degli spettatori rispetto a quella degli attori, si era tutti seduti su piccoli sgabellini neri, in una condizione un po' orientale, con delle cuffie per ascoltare la voce narrante, e ,allo stesso tempo, non sentire i dialoghi, i rumori al di là dei mattoni.
Spazi immensi, altissimi. Entrare attraverso saracinesche o grandi portoni metallici dava l'impressione di oltrepassare un determinato limite, accedere ad un ambiente diverso. (Marta P.)

L'area che Interzona vuole difendere dalla demolizione

ZONE TEMPORANEAMENTE AUTONOME
Interzona è uno degli spazi fisici e culturali che rientrano perfettamente nell'idea lanciata da Hakim Bey (fantomatico psiconauta americano) tempo fa sulle TAZ, le Zone Temporaneamente Autonome. E va anche detto anzi ridetto, che in fondo il teatro, quando funziona, crea zone temporaneamente autonome.
Autonome da che? Dal senso comune in primo luogo. E va detto, ancora una volta che questa Biennale bella e coraggiosa ha fatto come proprio questo obiettivo. Dal blitz contagiante di Delbono attraverso le Corderie della Biennale Arte al barbaro Accampamento gallico.
E ancora di più con l'intervento a Interzona, fino a Verona, a sostegno di una delle politiche di programmazione teatrale più di frontiera. Interzona ha rilanciato, qualificando questo rapporto con la Biennale, offrendo per "Prototipo" alcuni degli spazi teatrali più belli immaginabili. Quella cella frigorifera monstre non si dimenticherà facilmente. Come neanche quella convivialità tanto calda quanto assediata da una città come Verona fredda e disattenta alle politiche giovanili. Non è un caso sia stata per anni la città italiana con il più alto tasso di tossicodipendenza. (Carlo I.)

 

"... quella cella frigorifera monstre..."
LUOGHI CHE SONO GIA' SCENOGRAFIA
Ore di stimoli continui: suoni immagini, anche odori. Tensione continua, aspettativa che mi fa rimanere protesa in avanti, affamata. Messaggi da decodificare e puro estetismo.Luoghi che sono già scenografia dove i ruoli si mescolano, riconosco accanto a me attori che un momento fa mi ingannavano da personaggi.
E la gente, mi chiedo, tutte le persone che trovo qui, normalmente dove sono? Sono felice e, rientrando nel padiglione principale, dove si mangia tuttinsieme, dopo il penultimo spettacolo, mi sembra di tornare a casa. (Anna B.)

 

LA CASA TEMPORANEA
"Trovi un senso chi può". Estenderò, per cominciare, questa frase a tutta la situazione Prototipo di Interzona. Scriverò il mio "senso". Dopo "l'accampamento", di nuovo in uno spazio comune, dove è concepito lo stare insieme tra uno spettacolo e l'altro, dove l'incontro e lo scambio alimentano la voglia di vedere, andare avanti, proseguire in questa esplorazione di mondi altrui. E la caffetteria diventa la zona neutra, l'interzona per eccellenza; ne facciamo la nostra casa temporanea, dove lasciamo sedimentare tutti quegli input nati durante le successive tappe del viaggio. Un risveglio ogni volta nuovo, quando abbandoniamo lo sguardo teatrale e i nostri sensi recuperano la loro forma quotidiana. Ma la rinascita non è completa, e mi sembra di conservare un'alterazione o piuttosto un incisività dello sguardo che mi guida nell'esplorare visi e corpi dei presenti, come se lo spettacolo più prezioso fosse proprio quello, di un quotidiano altro che comprende noi tutti e che ci mette alla prova in uno spazio a noi inconsueto. (Marianita P.)

 

 

L'OCCHIO E L'IDEA
In un libro di Ruggero Pierantoni, "L'occhio e l'idea", ho raccolto molte intuizioni utili per affrontare il grande gioco della percezione. E in "Prototipo" c'è da giocare proprio nello slittamento progressivo dell'approccio percettivo, mobile, serrato nello scambio sinaptico tra la sfera sensoriale e quella cognitiva. Tra l'occhio e l'idea, appunto.
In un dribbling continuo tra segni diversi che costringe, felicemente, ad un mix immaginario da un'esperienza come quella Cyber di Motus, centrata sulle posture algide, i tableaux vivants, l'evocazione futura, a quella Meccanica di Masque, prometeica ( materialmente, per il lavoro fisico, ingegneristico, effettuato eroicamente) e densa di teorie scientifiche che si avvitano su loro stesse. Dal Teatro d'Ascolto di Fanny&Alexander, in un'oratoria double-face (doppio teatro per doppio pubblico) che tra il retroscena cablato per cuffie e la scena elisabettiana segnata da luci inedite dà luogo ad un'acrobazia drammaturgica al Trompe l'Oeil (la rottura dello sguardo teatrale) del teatrino Clandestino che disseziona Ibsen su tre piani: quello teatrale, quello video e quello radiofonico, tutti rigorosamente autonomi, fuori sincrono, su tempi diversi. Ragazzi, Prototipo a Interzona ha dato una grande opportunità al teatro di nuova generazione, compresa quella degli spettatori. (Carlo I.)

Motus

UN EFFETTO CALAMITA
Lo spazio tripartito di Motus ti permetteva di osservare, o meglio intravedere altri ambienti oltre a quello che avevi davanti. Un forte contrasto di colori, una preponderante presenza di grigio spezzata però dalla presenza degli attori vestiti di nero, indistinguibili tra loro.
Un forte impatto iniziale, il vagare tra questi ambienti diversi era un attraversare, un immergersi in quelle realtà, caratterizzate da sedie a dondolo e altalene che oscillavano. Ripetere, ritornare.
Il tutto si attenua invece nella seconda parte, nella parte "statica" per il pubblico; movimenti, espressioni ed urla che non riescono a mantenere il ritmo, la tensione instauratosi inizialmente.
L'attrazione iniziale, un effetto calamita che legava nei primi momenti il pubblico agli attori, alla fine non era più percepibile. (Marta P.)
UN CIRCO DEL 3000
Motus è come un circo del 3000, dove l' "occhio belva" è di chi assiste e di chi muove. Tenda nera e poi spazio siderale, ma solamente accennato, intravisto, assaggiato e già la sua forza ipnotica mi comprende totalmente.
Corpi neri, appollaiati come corvi, e corpi bianchi, statue divine a cui strappare una benedizione mentre un'altalena le porta lontano; figure inserite e organizzate in un ambiente quasi trasparente; e sviluppo un senso di durata dello spazio, di sua necessaria estensione nel tempo. Vertigine orizzontale, per la dimensione e la profondità di quella cella frigorifera. Beckett : "ripartire da lì" dall'essenzialità del gesto; ed è un susseguirsi di accondiscendenza, rabbia, amore, sottomissione. Lasciatemi lì, non chiudete le luci, continuate, non fatemi uscire, non toccate niente, lasciate tutto così "Come è"Voglio anch'io un sasso sulla testa, voglio anch'io un percorso tracciato sotto i piedi: astrazione dal tempo è sicuramente ciò che ho provato. Vedevo persone lontane da loro stesse, adagiate su sedie a dondolo che sembravano sostenerli in questa costrizione d'essere. (Marianita P.)

 

IL SUONO RIPETUTO, IPNOTICO
Che bel gioco lo spazio vuoto di Interzona. Che bello quello spazio vuoto. Che bello accorgersi che il modo migliore per riempirlo MOTUS l'ha trovato nel rumore, nel suono ripetuto di un battito o di un perno mal oliato. Ipnotico, poi, il ruolo degli attori, oggetti più che soggetti in questo spazio che li muove secondo il suo ritmo; quello agonizzante nel poter respirare poco di fronte ad un movimento che si vede e non si vede, nascosto un po' dal buio un po' dalla superiore luminosità di altri elementi.
(Rosa D. S.)

 

LE PORTE DELL'IMMAGINAZIONE
Ore 17.30, inizia la full immersion nel teatro: ci troviamo in un quartiere fuori di Verona, nella Stazione frigorifera Specializzata, questo è il primo giorno, l'apertura di Prototipo ad Interzona. Dalla piccola sala d'entrata ci hanno fatto passare in una più piccola dove hanno controllato i nostri pass, tutte le zone erano divise da grandi porte scorrevoli, dalle quali, mentre ci facevano aspettare, tentavo di sbirciare qualcosa, un particolare, un suono, che mi potesse aprire per quei pochi momenti di aspettativa le porte dell'immaginazione: siamo entrati, nella prima stanza due donne sedute su una alta sedia a dondolo metallica su cui veniva proiettato un forte fascio di luce, una forte ed inspiegabile sensazione di angoscia e curiosità mi assale. Passiamo avanti, ed ecco, un'altra dimensione, il futuro, fasci di luce intermittenti rimbalzano sulle pareti metalliche di un'immensa sala, per lo più vuota. Bisogna ammettere che l'efficacia dei Motus è anche data dall'enorme spazio che hanno a disposizione che inevitabilmente suggestiona lo spettatore. Ma una domanda mi viene spontanea, concesso che uno spettacolo venga influenzato dall'ambiente in cui lo si vive, credo che il vero teatro bisogna essere capaci di viverlo ovunque, sfruttando lo spazio ma non risultando di essere dipendente da esso. (Patrick T.)

 

LA SPADA DAMOCLEA
Entro con attenzione animale allo spettacolo dei Motus," l'occhio belva", come animale libero che guarda personaggi imprigionati nella loro mobile/immobilità; Allegorie umane che non possono smettere la loro quotidianità.
Ipnotizzati dal dondolio incessante delle loro sedie e delle loro altalene, legati alla sterilità dei loro fardelli - pietre, vivono di circolarità e di schemi predefiniti (come i segni sul terreno dai quali non possono evadere), tristemente rassegnati ai loro incomprensibili doveri e alla telecamera che li scruta e li comanda.
Un uomo non può alzare la testa, ha una pietra oscillante sopra la testa, spada damoclea, memoria della sua limitata libertà, è immagine che mi impressiona , mi addomestica all'atmosfera dello spettacolo.
Colori e suoni , luci ritmiche e alienanti ormai mi appartengono. (Anna B)

 

 

Fanny & Alexander

TEATRO PER VOCE E LUCE
Di uno dei due spettacoli di Fanny & Alexander, " Storia infelice di due amanti, conferenza su W. S.", cosa dire?
La scena è quasi vuota. Tutta nera. Un cancello separa il pubblico dagli attori. Due luci per segnalazioni. Quattro piccoli fuochi bui. In alto, sospesi, dieci metronomi ticchettanti. Per tutto il tempo della conferenza gli attori si muovono in preparativo, oppure aspettano. Entrano ed escono dalla stanza."
Teatro e finzione, teatro e inganno.
Ci hanno ingannati, il dramma è altrove, non è ora cosa per noi;
Attraverso un enigmatico odore stiamo tutti concentrati, guardiamo gli attori che non dovremmo vedere perché il "palcoscenico" per noi è il "dietro le quinte" per loro, mentre la voce nella cuffia di ognuno dà disposizioni per una colossale scultura da realizzare, un sarcofago nuziale, duplice bara di duplice putredine.
Tutto è nel muro, quello che ha diviso i due amanti, creato dalle finzioni, forse da viltà, identico per Piramo e Tisbe, abbattuto unicamente dalla morte, abbattuto alla fine dell'evento.
Cade il muro e cade la finzione, al di là del cancello c'è il palco e al di là del palco c'è il pubblico. Tutto è risolto, tutto svelato tramite la morte; "La pietra non vi rimprovera di essere stati più pietra di lei ?"
L'altro di Fanny & Alexander., " Radiodrammi.Oggetto della luce non è mai il soggetto. Il soggetto è oggetto della fonica" m'ispira questo. Teatro e voce, teatro e luce.
Le figure arrivano allungate, le voci alterate, la luce spesso colpisce gli occhi e rende reale la forza delle parole. Giulietta e il padre e il frate, il dolore raggiunge l'unica soluzione possibile, la morte, e il muro cade.
Al di là del palco c'è il pubblico. (Anna B.)

 

 

IL PIENO E IL VUOTO
Due tempi, due sguardi, due punti di vista. Ecco il mio approccio ai due momenti spettacolari di Fanny ed Alexander.
Come focalizzare l'attenzione una volta sul bianco, l'altra volta sul nero di una fotografia, come sperimentare prima il pieno poi il vuoto, come poter toccare la parte del mondo sconosciuta, come morire e toccare la morte, come vivere la vita prima della vita, come concepire l'uscita come entrata, la nascita come la fine e la fine come l'inizio. Vivere gli opposti l'uno dopo l'altro cercando immaginando cosa sta succedendo intanto dall'altra parte. Siediti, fidati, non toglierti le cuffie, che poi vedrai, capirai, ascolterai.
Complementarietà, due parti di un insieme che la luce e il buio aiutano a comporre, scomporre, nella totale penombra di uno e nei flash di luce dell'altro. Come saper vedere dritto e rovescio di una trama, forse il dono più prezioso, perché parabola di una capacità da acquisire, in questi tempi, di questi giorni. . (Marianita P.)

 

 

Teatrino Clandestino

IL CROLLO DEL DIRE
Continuiamo il viaggio nel teatro, ci troviamo in una stanza circolare, un proiettore alle nostre spalle da' inizio ad un gioco, un duplice spettacolo, uno "virtuale" su un telo vicino, l'altro a decine di metri da noi: "vero". Un uomo ed una donna, il bisogno di distacco e l'impossibilità di sopravvivere l'uno senza l'altro, lei ricerca il proprio io e lui forse non lo ha mai trovato, affiorano le parole infantili dettate dalla paura di un futuro non delineato, l'insicurezza, il crollo del dire e non dire, il ricordo di emozioni passate. Ho quasi paura, o forse gioia, non è forse questo che si prova quando qualcosa ti colpisce dentro, ti guarda dentro, affiorano ricordi che speravo sepolti per sempre. (Patrick T.)

 

 

L'ATTORE E LO SCHERMO
Tre modi diversi per trasmetterci di un dialogo: un video, gli altoparlanti e i due attori che si intravedevano dietro lo schermo. Si alternavano, spesso la voce che proveniva dagli altoparlanti anticipava i movimenti della bocca nel video, o
viceversa. Stanchezza, paura, incertezza, ma alla fine, soffrendo, una certezza: di doversene andare, per tornare al suo paese, per trovarsi, per educarsi. …, "no deve farlo da sola".
Un dialogo, una scalinata di legno su cui sedersi, a pochi metri dallo schermo, la forza, l'intensità che i due attori sono riusciti a dare al dialogo, è rimasta. (Marta P.)

 

 

IL CORPO PARLANTE
Si prega di non discutere di casa di bambola. Dice già nel titolo Teatrino clandestino. E io ora come faccio? Non discuterò, trasmetterò soltanto il senso di compiutezza, di completezza, che mi ha trasmesso questa commistione di dimensioni, profondità, voci, sensi, corpi. Dialogo come struttura portante, in uno spazio in cui le parole arrivavano ogni volta in tempi diversi: stupendo il rapporto tra voce e corpo-parlante; questo continuo incontrarsi, coincidere e allontanarsi di sonoro e immagine. Allontanamento e ricongiungimento: di spazi, persone, affetti, in un gioco di livelli e piani differenti tutto congelato in questo rotondo ambiente frigorifero. (Marianita P.)

 

 

MASQUE

UN TEMPO SENZA RITMO
Leggendo la storia di M.A.S.Q.U.E. noto che nasce come Centro internazionale di Studi sulla natura e sulla misura dello Spazio e del Tempo e non come "semplice" gruppo teatrale; da un lato trovo interessante che un argomento di portata così elevata utilizzi il teatro per esprimersi, dall'altro dopo aver visto "improbabili previsioni del tempo", il loro spettacolo, penso a quanto si sarebbe potuto fare di più con tutti quei marchingegni che hanno realizzato.
Ero arrabbiata, durante e dopo l'evento, perché continuavo a pensare che questo gruppo aveva a disposizione uno spazio scenico magnifico, mezzi, attori e un tema veramente stimolante ma non riusciva in alcun modo a toccarmi.
Sembrava come se, pur avendo questa grande idea, si fossero accontentati di belle immagini sperando bastassero, senza preoccuparsi di trovare un ritmo e idee originali a sostegno delle immagini stesse. Uno spettacolo trascinato, impreciso e lento quindi, diametralmente opposto al suo protagonista Tempo. (Anna B)

 

 

ALTERITA' DALL'ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
Altro goal di Barberio Corsetti: una sezione decentrata veronese della Biennale con la collaborazione di INTERZONA nello straordinario spazio di archeologia industriale dell'Ex Magazzino frigorifero, con la partecipazione di quattro giovani gruppi teatrali italiani..
In quasi sette ore di condivisione dello spazio, del tempo, del cibo, del fumo, di suoni e visioni, sono state proposte le ricerche differenziate dei gruppi con relative caratterizzazioni: dalla immaginifica, potente ma irrisolta elaborazione dei Motus biondoossigenati, alle ossessioni filosofiche sul Tempo dei Masque (che valorizzano un altro grande spazio ma rimangono ancorati a suggestioni senza comunicazioni), dalla sintetica, efficace, acerba al punto giusto doppia proiezione video del Clandestino, fino alle speculari visioni notturne del teatro di Clausura neogotico di Fanny ed Alexander (tanto espressive da un lato dello specchio quanto noiose e insignificanti dall'altro lato).
Comunque molto positivo anche questo altro arcipelago teatrale italiano, in un mare al chiuso della città veneto agricola, dove trascorrere ore di piacevoli convivenze.
Ma il primo Arcipelago Teatrale di cui vorrei ribadire la preziosità e la forza è proprio quello francese dell'Accampamento lidense (sicuramente l'evento da ricordare di questa Biennale teatro)dove i tre gruppi ci hanno regalato ore di grande interesse, qualità, originalità, alterità, in una sequenza possibile e ideale da proporre per una prossima localizzazione: come preludio il delizioso eppur inquietante Teatrino circolare della Petite Baraque; a seguire la potente sinfonia dell'Orpheòn del Radeau, per concludere con la vitalità geniale della Grande Baraque.
Complimenti a chi li ha proposti . (Gianguido P.)