Gambuh Pura Desa

SOVRA-LINGUAGGI IN DANZA
Propongo un confronto. E' l'unico particolare che sono riuscita a cogliere nella poca possibilità di seguire lo spettacolo che mi è stata data dalla sistemazione provvisoria, causa maltempo. Parto da un dato storico. (…)
La rappresentazione balinese a cui ho assistito, pur colorandosi dei suoi eccessi e momenti oltremodo "patetici", mi ha lasciato l'impressione di essere sempre rimasta uguale a sé stessa. Di avere raggiunto un livello di forza espressionistica tale da non superare mai quel livello di essenzialità comunicativa che tante volte il minimalismo ha cercato di proporre in occidente. In secondo luogo (non per importanza) c'è il tipo di rappresentazione teatrale occidentale influenzata dalla componente fisica di quella balinese. Ecco, ripensandola rispetto alla sua "antenata" mi si è presentata carica di sovra-messaggi, sovra-linguaggi, sovra-simbologie, insomma meno diretta ed essenziale di quello che trasmetteva con potenza e senza "didascalie" il teatro balinese. Un po' come confrontare la studiata e armonica perfezione di una "Pietà" michelangiolesca con una qualsiasi della tipologia nordico-tedesca del 1400. Quest'ultima potente di un espressionismo impressionantemente moderno e libero da conoscenze di supporto alla comprensione del messaggio. (Rosa D.S.)
"...sovra-messaggi, sovra-linguaggi, sovra-simbologie"
LA SUPERMARIONETTA DA GUERRA
Comprendo Artaud (ancora lui!) quando nell' Esposizione Universale del 1911 a Parigi rimase sconvolto dall'apparizione delle danze balinesi. Si trovò di fronte ad una tecnica di rappresentazione fondata esclusivamente sull' energia fisica e la sensorialità a differenza di un teatro europeo intriso di psicologismi e letteratura.
Ancora oggi i danzatori balinesi ci appaiono come degli alieni, affascinanti e lontane supermarionette da guerra che inesorabilmente procedono in uno sviluppo scenico sempre uguale a se stesso. In questo andamento è determinante la sonorità iterativa dell'orchestra gamelan, musica di non-tempo, che rende ipnotica l'esperienza. C'è però da considerare che il valore trasmesso dalla danza gambuh rimanda ad un'idea di teatro epico assolutamnte distante dalle condizioni emozionali. Uno spettacolo biomeccanico verrebbe da dire,secondo gli schemi del teatro occidentale, anche se nell'universo induista questa condizione del corpo alterato, posseduto, agito da forze esterne (proprio come una marionetta) scorre su un piano tutto metafisico. Non è questione di trance, anche se in altre forme di ritualità balinese (come il ketjak, ancora esiste, e come) ma di tutt'altra concezione della soggettività umana. In fondo si assiste attoniti ad uno spettacolo liturgico in cui la dimensione del sacro si declina con quella della favola proprio oer la capacità di questi attori di negarsi come soggetti per diventare oggetti di una grande pantomima mitologica. (Carlo I.)
"...ci appaiono come degli alieni"
"...spettacolo liturgico in cui la dimensione del sacro si declina con quella della favola"
UOMINI E DONNE
Rifletto su BALI, ma anche di nuovo su Morganti e ora su Punzo ed il suo laboratorio. Tre lontanissime realtà teatrali: la tradizione antica di Bali; la ricerca italiana d'attore di Morganti e l'altra ricerca di nuova regia di Punzo. Eppure sempre di Uomini e Donne si tratta. A BALI, in compenso, si cercano da secoli ! Il Principe, guarda caso, cerca una Principessa: e dai con la storia mimata, danzata e recitata con i risaputi splendidi vestiti cui ti abitui presto. Ma il vero segreto potrebbe stare nascosto nella musica, minima, non minimale, (e forse in tal caso anche un po' scadente rispetto alla media delle orchestre balinesi), basata su due suoni ritmici di metalli percossi da martelletti: un Din e un Don, due note precise, ripetute all'infinito noioso (Steve Reich è un genio perchè ha studiato le musiche africane e orientali e ne ha colto le potenzialità , senza riprodurle tal quali !!). Ebbene quelle due note metalliche, onnipresenti, che ossessionavano la scena e l'ascolto, sottolineavno proprio Lui e Lei in cerca: due note alternate, ora in lenta sequenza ora in frenetica ripetizione, che rendevano l'acustico dualismo maschile e femminile. Din, Don, Din, Don, Din, Don... Quante storie per una carezza! (Gianguido P.)
NELL'INNATURALE
Gambuh Pura Desa è un florilegio di innaturalità dalle unghie e dalle dita, dai fiori di stoffa ai broccati, di mantelli e strascichi, dal rilucere dei lustrini, alle spade e pugnali . Col trucco pesante e l'attenzione che cambia direzione, il fuoco che scifta, passano deformazione e squilibri, contrazioni e contorsioni di muscoli e corpo; smorfie sotto copricapo e parrucche, personaggi pupazzo che procedono grotteschi intorno allo spazio scenico al crescendo della musica. Le donne aggraziate ma sovrumane, gli uomini buffi e vocianti. Danzano di storie di paesi e governanti, re e colpi di stato, famiglie e dinastie, attentati e imprese epiche. I musicisti seguono le vicende percuotendo, soffiando, cantando, facendo vibrare i vetri e gli arazzi. (Laura K.)
LO STATO DI NATURA
Devo dire che questo spettacolo è stato anche una prova di resistenza, se non altro per il fatto di durare due ore e passa vissute da inginocchiata (a causa del maltempo la sistemazione non era proprio ottimale). Però non avrei mai voluto andare via. Difatti in uno spettacolo teatrale più "normale" per me, cioè più occidentale, credo sia inevitabile che si crei una sorta di tensione verso la conclusione e quindi verso la fine dello spettacolo stesso; mentre in questa rappresentazione-cerimonia non era affatto importante la fine. Né l'inizio d'altronde, né nulla se non uno splendido e magnetico rituale. Certo guardando uno spettacolo come questo è inevitabile rendersi conto dell'abissale lontananza che mi separa da Bali sul piano culturale, linguistico, religioso, geografico e chi più ne ha più ne metta, ma un qualcosa di più elementare mi ha colpito. Abbiamo sicuramente perso (o forse non abbiamo mai avuto) la chiave per penetrare in uno spettacolo come questo, ma credo che il desiderio di capire sempre ciò che incontriamo o di accettare solo le cose che noi capiamo sia non solo una nevrosi ma costituisca anche senza dubbio un ostacolo per la comprensione stessa.
Io non so se esista il famoso stato di natura di Rousseau che accomuna tutti gli uomini a prescindere dalla loro cultura, dalla loro provenienza, dalla loro stessa vita, però credo che questa esperienza si muova su un canale comunicativo che si può pensare simile. Può succedere a volte, quando si guarda un animale, di rimanere ad osservare rapiti i suoi movimenti, il suo sguardo, cercando di capire cosa abbiamo ancora da spartire con questo suo mondo che è stato (ed in parte è anche ora fatalmente) il nostro. E non è per dire: "eh, avremmo tante cose da imparare dagli animali" frase che può anche forse essere vera, ma non vuole andare oltre a sé stessa; intendo che essi ci comunicano più che un contenuto, uno stato. C'era qualcosa di questa strana sensazione che gli animali e la natura in genere ci ispirano negli sguardi, nei movimenti, nei suoni di questa sorta di danza teatrale. E come nella natura, la musica era un tutt'uno con i movimenti, la voce e le espressioni degli attori. Era tutto un unico qualcosa che finalmente non aveva bisogno di convincerci di nulla, ma era meraviglioso e basta. (Irene T.)
I CORPI E I VOLTI GRANDIOSI
Era soprattutto curiosità quella che mi spingeva ad aspettare che qualcosa accadesse, e mi rendevo conto in modo sempre più profondo della mia incapacità di comprendere, della mia distanza, della superficialità del mio sguardo; attrazione verso una diversità che non posso capire per mancanza di elementi, a cui posso solamente estendere un sorriso ingenuo.
Si tratta di sfumature troppo sottili che mi trascinano in una sensazione di monotonia, che non mi stimolano, non mi trasportano. Si tratta di sensibilità diverse. Posso dire che i colori dei tessuti, i corpi e i volti così grandiosi, queste danze nella complessità dei movimenti e la loro cultura di provenienza mi affascinano, ma sono ancora troppo distante dal capirle. (Marianita P.)
CONOSCERE IL RETROTERRA DI UNA TRADIZIONE
Suoni, strumenti, colori, tessuti e movimenti: ho trovato vari elementi in questo spettacolo molto affascinanti e particolari ma credo di non essere
riuscita a comprendere pienamente ciò che ho visto, cosa significava. Penso che il motivo stia nel fatto che si trattava di un rituale balinese, inserito in un determinato contesto storico-culturale e quindi, per uscire dalla semplice definizione di "bello o brutto", credo sia necessario prima conoscere il retroterra di questa tradizione. (Marta P.)
UN ATTEGGIAMENTO VERGINE
Purtroppo non sono riuscito a vedere questo spettacolo, che mi interessava tantissimo, perché ho passato i primi venti minuti a cercare un posto da cui riuscissi a vedere e non l'ho trovato: nervosismo. Comunque durante questi venti minuti, guardando il pubblico (era l'unica cosa che riuscivo a vedere bene), mi è venuto da pensare. La principessa stava ballando il suo ballo assurdo, macroscopicamente ordinato da un'armonia incredibile, e microscopicamente agitato da continui fremiti (le mani che si contorcevano, gli occhi che ballavano come pazzi, i piedi nervosi, i gesti di scatto); e mentre lei riusciva a mantenere questo perfetto e difficilissimo equilibrio, noi non riuscivano a rimanere fermi: e non perché fossimo nervosi. Semplicemente perché "da queste parti" non siamo proprio capaci di rimanere fermi neanche per due minuti nella stessa posizione. E così mi sono chiesto "come è possibile per Noi giudicare Loro?". (Michele D.)
LA GRAZIA CONTROLLATA
Base della danza giavanese è la musica dell'orchestra gamelan: i gong dal suono lungo e profondo, il ketuk, dal suono breve e cupo, il grande tamburo che scandisce il tempo, il cosiddetto kendang gending, i saron composti da verghe inarcate che debbono essere battute con piccoli martelli, una specie di violoncello, il rebab, il gender, uno strumento veramente complesso dal suono bellissimo, il gambang, uno xilofono caldo e vibrante il suling, un tipico flauto.
Come la musica, la danza giavanese è collettiva e condotta da gruppi di fanciulli e ragazze di nobile famiglia. (…) Il desa è il tipico villaggio balinese, ma non è soltanto un pittoresco insieme di palme, di templi e di capanne, dall'atmosfera poetica e raccolta: è una delle manifestazioni più chiare dello spirito sociale di questa civiltà. Alla base del desa sta la famiglia patriarcale, che vive unita sul medesimo suolo, adorando i medesimi dei e lavorando le terre all'intorno. Il pura desa non è altro quindi che il tempio del villaggio, simbolo della religione e centro indiscusso della città. (Eugenio D.)
COME LA REALTA' VIRTUALE
La musica è antica, ma mi sembra moderna con le sue percussioni e quelle sue ripetizioni e mi da quasi gli stessi effetti di un lavaggio del cervello. Al ritmo di questa musica, le figure degli attori si muovono come se fossero mosse da fili, nello sforzo di muovere seconde regole sconosciute ai profani, le parti più umane del corpo: le mani e gli occhi. Questo miscuglio di musica e danza produce un effetto simile all'ipnosi (o alla realtà virtuale?) e agguantando poco alla volta l'ignaro spettatore, portandolo verso il mondo della mitologia di Bali.
Gli attori, bellissimi d'aspetto e orgogliosi nel portamento, si muovono con movimenti che mi sembrano quasi impossibili e mi danno l'impressione, nella loro dinamica ricerca di posizioni fisse, di essere dei ballerini di break-dance così famosi ai giorni nostri. Ma, a differenza di questi ultimi riescono a far svolazzare le loro vesti come se imponessero ad esse la loro volontà. Uno spettacolo interessante, ma che ho apprezzato solo dopo un po' di tempo. (Jacopo P.)
RAPITO DALLA BELLEZZA
Questo spettacolo (benchè "spettacolo" proprio non mi sembri una definizione adatta) così affascinante per me ha rappresentato una vera novità: non è da poco la possibilità di poter assistere alla danza-teatro balinese gambuh, considerata una delle più antiche forma di ritualità teatrale. Sono rimasto completamente rapito dalla bellezza di queste donne e di questi uomini, dei loro abiti e trucchi, ammaliato dalle loro voci esotiche, dall'arcaica perfezione delle coreografie, dalle arcane funzioni coreutiche della musica transeatica. (Massimo D.)