La Baraque

RILASSATI E PRONTI A TUTTO
Uscito dal magazzino ammuffito di Orpheon mi ritrovo immerso in un altro locale dell'accampamento dove mi accoglie la piacevolissima sorpresa di uno spazio di vita reale: una vera locanda, possibile e auspicabile in qualsiasi città italiana o europea, fatta di luci soffuse, di bancone per le bibite, di pedana per i musicisti, di tavolacci e sedie, di gabbie per uccelli, di soffitti pieni di sorprese, di decine di clienti che bevono birra o vino rilassati e pronti a tutto.
Da quel momento per ben due ore e mezza un susseguirsi di piaceri visivi, sonori, gustativi, in un alternarsi di musiche ben eseguite da fisarmoniche violini, chitarre, contrabbassi, arpe, voci, e poi burattini, e marionette giganti e minuscole,
e apparizioni di animali veri, di cani, gatti, uccelli, e giochi di prestigio, e proiezioni di film e ancora vino e birra e poi zuppe calde e pane, e ancora recitazioni in due lingue tradotte come gioco, e gemelli camerieri esilaranti, e ancora musiche, e balli e via e via in un perfetto ritmo di accelerazioni e pause, delicate esecuzioni e travolgenti gags.
Un locale notturno, una locanda lungo il bosco, un misto di balcanico e di medioevale, di ottocento francese e novecento tedesco, comunque il tutto molto poco italiano.
Eccellente proposta di teatro-circo-festa-party-cabaret-cafèchantant: un piccolo capolavoro che colpiva egualmente, pur con diverse caratteristiche percettive e interpretative, la famiglia casuale del Lido di Venezia e l'intellettuale ipercritico e perennemente insoddisfatto.
E ancor più "perfetto" ed efficace dopo quel Primo Tempo straniante e inquietante dell'Orpheus.
Dopo Pippo del Bono all'Arsenale, o accanto a lui, questo accampamento è la proposta più originale e interessante della Biennale teatro cui va dato atto di aver portato a Venezia Teatro Vivo. (Gianguido P.)
ALL'ERTA I SENSI
Uno spettacolo straordinario: una baracca nella quale si beveva, mangiava, mentre marionette a grandezza umana, animali tropicali veri, cabarettisti, maghi eccezionali, giravano fra i tavoli e noi tutti a ballare scatenati musiche stile Bregovic, o canzoncine popolari francesi. Inebriati dal riso, eccitati dal contesto, si conversava con volti e corpi estranei, nella piacevole consapevolezza dell'attimo condiviso, dell'attimo consumato.
E' la qualità delle presenze attive ad essere determinante: il teatro non è più solo luogo dello sguardo, ma luogo della presenza: della presenza di uno spettatore che è centro dell'avvenimento.
Questa è la portata eccezionale dello spettacolo: aver messo all'erta i sensi dei presenti, aver suscitato in loro una partecipata attenzione. Aver creato così un "non luogo", una zona neutra dove una poetica follia si esprime secondo un continuo mutamento… (Marianita P.)
LA FESTA BARBARA
Ero dentro, non fuori o di fronte, lo spettacolo. Ero dentro La Baraque, la loro baracca e la loro idea realizzata di teatro.
Lo ripeto, scusami, se teatro va cercato va trovato in te, nella risoluzione psicologica della tua percezione. E nella tua capacità di stare, abitare lo spazio-tempo di un teatro, appunto. "theatron" è onm è il 2luogo dello sguardo".
Nella baracca-osteria zingara de La Baraque, bevendo e ridendo, condividendo lo spirito di quel luogo tutto questo acquista un valore inequivocabile. E godi di quel godimento fatto di cose semplici, fatto di agio e convivialità.
E loro lì, sanno esserne registi oltre che protagonisti: determinano l'andamento di una sera, passata in osteria con gli amici. Una serata calda e allo stesso tempo ricca di picchi di una qualità teatrale altissima, come quella superdonna spogliata da un merlo, le marionette dei gemelli Forman, le magie del falso prete, o l'entrata in scena di quell'uccello che sembra arrivare dalla Preistoria.
E' quel clima zingaro, circense, conturbante come una festa barbara, a determinare la densità dell'intero progetto dell'Accampamento che va riconosciuto come una delle migliori idee circolanti per il pianeta.
Un dato che concerne fondamentalmente anche il lavoro del Radeau, proprio per contrasto, per via della loro contraddizione teatrale tra raffinatezza drammaturgica e grezzezza scenica. Una contraddizione che mi appare anch'esso come un valore "barbaro" nel rigetto orgoglioso di quelle sovrastrutture culturali che spesso diluiscono il pensiero umanista. Nel passaggio dal caldo zingaro de La Baraque al freddo poetico-concettuale del Radeau c'è di per sè un valore che una riflessione come quella di Attisani ("Il pensiero pensato con la scena") rileva con lucidità magistrale, cogliendo però un dato sul quale fare perno.
La diversità degli sguardi degli spettatori esprime come lui stesso afferma "persone e personalità" è da qui che vale la pena procedere costruendo ambienti di relazione tra queste differenze, creando connessioni, empatiche e simpatiche, lavorandoci e giocandoci su. (Carlo I.)
IL TRENO DI UNA ZUPPA CALDA
"Tutto ebbe inizio così: con un uccello che volava nelle gallerie della metropolitana come una mosca intrappolata in un sottomarino. Non se ne accorse nessuno. A parte me. Prima si alzò il vento- quel vento denso di fumo, intriso di odore di petrolio, che preannuncia l'arrivo del treno- poi le luci gemelle trafissero l'oscurità, ed eccolo lì, l'uccello, bianco e grigio, una colomba, credo, inseguita dal terrore fumante del convoglio. Per un attimo planò sopra la mia testa svolazzando, quasi cercasse di capire dov'era il cielo, poi s'involò su per la scala di uscita e scomparve. (…)"
E' un passo di Leavitt che combacia esattamente con quello che ho visto della Baraque. Uccelli, persone, fumo e luci… tutto "intrappolato" in un odore di chiuso. Come in una metropolitana, ad aspettare in compagnia di una folla di sconosciuti, il proprio treno. Nel caso della Baraque, il treno di una zuppa calda e di una musica gitana che accompagna.(Rosa D. S.)
IL GUSTO DEL VINO
La sera, dopo una giornata passata a lavorare nei campi, sotto il sole cocente, attorno agli anni cinquanta nella campagna francese, ci si raduna tutti in una baracca di legno al caldo, il gusto del molto vino in bocca e il dolce profumo di zuppa che pervade, la gioia e la complicità nel trovarsi tutti nella medesima situazione, se tutto ciò non fosse stato spezzato da un geniale illusionista, probabilmente avrei iniziato a parlare francese. Il ricordo de Le Baraque mi riempie di gioia, al solo odore di lenticchie affiorano nella mia mente sensazioni, un intreccio di immagini legate tra loro dalle note del contrabbasso, violino, uno strumento simile ad un'arpa percossa ed una fisarmonica, che sembra colpire direttamente ricordi di esperienze lontane mai passate, forse lette da libri e fatte proprie. Il teatro si è fatto esperienza, è diventato pura vita, vita vissuta e non, come spesso succede vita raccontata. (Patrick T.)
SENZA FRETTA
Una serata tra amici. Questa è la prima impressione che si a entrando nella Baraque, taverna/palcoscenico di uno tra i più particolari spettacoli da me visti lungo questa Biennale. All'apparenza un locale come tanti altri forse un po' più spartano rispetto a quelli di tutti i giorni ma sicuramente più vicino alle baraque originali di Francia. Lo spettacolo cresce negli spettatori piano senza farsi sentire come se nulla stesse accadendo in realtà come se anzi ogni singolo attore
(spesso perfettamente mimetizzati fra gli spettatori) si ritrovasse in una situazione mai affrontata prima. (…)
Questo è stata per me la baraque, non solo uno spettacolo teatrale ma anche una lezione da cui imparare ad essere più sinceri con se stessi, da cui imparare che è avvolte e bello scendere da quel treno in corsa che è la vita per fermarci nella nostra baraque a parlare finalmente senza fretta con gli altri e con noi stessi. (Fabio S.)
A BOCCA APERTA
Entrare nella baraque ti lascia perplesso, da subito. Una fiera o una festa, persone sconosciute perplesse come te cominciano piano piano con il passare del tempo e con il passare del vino e delle sigarette a rilassarsi, a sorridere a parlare tra di loro. L'atmosfera diventa sempre più piacevole, in un climax ascendente di ilarità. Gli artisti (a mio parere molto convincenti) ti rapiscono, ti estasiano, ti stupiscono. Quasi dentro ad una canzone di Guccini, o forse di Battiato, o forse di Kusturica mi sono ritrovata a bocca aperta, occhi sbarrati, ancora bambina. (Anna B)
LA SERATA "BUCA"
La sera in cui avremmo dovuto vedere la "Baraque" al galoppatoio di Lido, a causa di una serie di malintesi, s'è trasformata in una serata "buca", in quanto erano finiti i biglietti.
Quindi, l'équipe di "Teatron" formata da Carlo, me, Fabio S. e Massimo e Luisa (che era un'ospite), s'è diretta verso la vicina tenda-taverna gestita dagli attori francesi.
Tra la minestra di non-so-cosa di Carlo ed il fumo di sigaretti, comunque, ci siamo divertiti e da estranei, siamo divenuti affiatatissimi collaboratori.
Durante la sera ho composto alcuni limerik; Carlo ha proposto di inserire quelli più leggeri in questo breve spazio. (Jacopo P).