Il suono del teatro

Il programma, prodotto da Adriana Foti, ideato e realizzato da Carlo Infante e Luciano Meldolesi, rispettivamente autore dei testi e regista, attraversa, in 13 puntate di 30' ciascuna, una zona d'arte poco esplorata, a confini tra musica e teatro.
Un territorio vago, indeterminato, franco da riferimenti al melodramma, all'Opera, all'accezione ampia di "teatro musicale".

Il punto cardinale di questa indagine sarà infatti Wagner e il suo "Wort-ton Drama" (Dramma di parole e musica) che rivoluzionò tutto ciò che fino ad allora ara stato concepito come "scena musicale".

Il programma si svilupperà nello spirito di una ricognizione, un vero e proprio viaggio.

La 1^ PUNTATA presenterà quindi le mappe di questo viaggio. le coordinate, i punti cardinali individuati oltre che in Wagner, in Satie, Cage, Glass.

In ERIK SATIE si evidenzierà la qualità creativa dì un musicista teso a liberarsi delle convenzioni del concerto per sperimentare nuove situazioni artistiche (con Cocteau, con Picabia, con Picasso).

In JOHN CAGE questa linea progressiva tracciata da Satie raggiungerà il suo sviluppo dirompente con gli “happening” che negli anni sessanta aprirono la frontiera dell’interdisciplinarietà.

In PHILIP GLASS si è colto poi un esempio emblematico dì musicista in consonanza con il progetto scenico di protagonisti del teatro contemporaneo quali i Mabou Mines e Bob Wilson in particolare.

Le altre PUNTATE toccheranno volta per volta le esperienze soggettive di musicisti, compositori e manipolatori del suono (gli artefici di colonne sonore costruite per cesello e per montaggio sottile), coinvolti direttamente nel piccolo grande Gioco del Teatro.
Ritratti radiofonici di artisti che spesso contribuiscono con le loro musiche, con le loro evocazioni sonore, a determinare le tensioni drammatiche portanti degli spettacoli teatrali a cui collaborano.
Qualche nome?

PAOLO MODUGNO
ARTURO ANNECHINO
PIERLUIGI CASTELLANO
ROBERTO BARBANTI
PAOLO TERNI
STEFANO MARCUCCI
MICHELE SAMBIN
MASSIMO TERRACINI
ALVIN CURRAN
LEO DE BERARDINIS

Artisti "freelance" alcuni, liberi professionisti della "musica di scena", fedeli partner di autori teatrali altri; veri coautori di progetti scenici fondati sulla musicalità e infine protaginisti teatrale che sanno dove trovare il suono nel proprio teatro, a partiure dalla vocalità.

Ma il SUONO DEL TEATRO dentro cui si viaggerà, si rivelerà anche attraverso forme di rarefatta sperimentazione come le installazioni sonore, veri e propri teatri dell'ascolto. Si pensi alle opere di Brian
Eno, ai vari esperimenti presentati da "Sonorità prospettiche", alla "cupola sonora" di Leo Kupper alla Biennale-musica di Venezia.

Protagonisti del programma non saranno solo i musicisti ma anche alcuni spettatori-ascoltatori che sottolineeranno la particolare connotazione che il "viaggio" intrapreso nel SUONO DEL TEATRO assumerà alla fine come viaggio nella percezione e nell'immaginario del teatro del nostro tempo.


Testo della 1 ^ puntata

"L'ascolto è in fondo come un piccolo teatro"
E' una frase tratta dal testo che Roland Barthes ha scritto per l'Enciclopedia Einaudi a proposito dell'ascolto.
L'ascolto. Quell'insieme di operazioni mentali che trasformano i suoni e i rumori in qualcosa di psicologicamente significativo.

In questo ciclo di trasmissioni affronteremo l'idea del teatro e del suo suono fondamentalmente attraverso il formarsi delle nostre percezioni, il nostro sentire, la nostra attitudine sensoriale all'ascolto. Tratteremo di musica ovviamente, ma sulla soglia di quel campo di forze artistiche che è il teatro. Un campo magnetico secondo la definizione di Kandiskj che vede nel teatro una calamita nascosta.
Ci attesteremo sul confine di una “terra di nessuno”, un terreno vago forse indeterminato, attratti dal Grande Gioco della sperimentazione dei linguaggi.
Un viaggio, quindi, un percorso di ricognizione che ci permetta dì esplorare i confini di questi territori non ancora topografati. Luoghi inediti ed incerti, ancora in assestamento. Scossi continuamente dagli smottamenti del divenire, dal moto vitale delle trasformazioni culturali.
La musica come il teatro è un'arte del tempo.
Si sviluppa nel tempo del divenire e nello spazio che l'accoglie. E' infatti la massa d'aria in movimento con le sue onde vibrazionali a produrre i suoni che ascoltiamo. Noi spettatori, testimoni, ascoltatori - abitando lo stesso spazio invaso da un volume sonoro - ne rileveremo automaticamente le caratteristiche, andremo quindi oltre il semplice dato fisiologico dell'udire. Ascolteremo.

"La musica vive se stessa in me. Io mi ascolto attraverso di essa".
Imparare ad ascoltare un suono può quindi diventare un modo esclusivo per ascoltare se stessi: un concetto intrigante, di fronte al quale ci pone questa frase di Levi-Strauss. Ma qui non intendiamo misurarci con l'idea complessiva dell'ascolto musicale. Vogliamo investigare quelle condizioni, quei particolari stati di tensione che la musica induce all'interno di operazioni più complesse, tese verso un progetto di rappresentazione.
Vogliamo analizzare i suoi rapporti col teatro, con la parola e l'azione scenica. Un'intesa, questa, stretta da sempre tra musica e teatro, dai tempi della tragedia greca, ai misteri medioevali, ma che dal XVI secolo, con il fenomeno del Melodramma e dell'Opera lirica,. ha trovato un suo destino fondamentalmente musicale. Una tendenza che viene rilanciata e posta in nuovi termini dalla rivoluzione wagneríana.
Ed è su Wagner infatti che apriremo la prima finestra, una prima messa a fuoco del nostro viaggio di ricognizione.

WAGNER
"L'uomo che non è stato dotato, fin dalla nascita, dello spirito di insoddisfazione per tutto ciò che esiste. non arriverà mai alla scoperta del nuovo"
Richard Wagner, o del genio in musica. E' lui che ha scardinato tutto un sistema di convenzioni musicali, quelle del melodramma in particolare, per affermare una musicalità densa di valori, complessa ed evocativa.
Una struttura più emozionale che formale, che trova i suoi elementi fondamentali nell'uso regolare del leitmotiv, nell'ebbro cromatismo, nel respiro immaginario e mitologico delle sue opere.
L'uso costante, iterativo, del leitmotiv determinerà, all'interno del fluire sonoro, una chiara funzione di rappresentazione drammatica, articolata sulla base dell'insorgere di situazioni culminanti e della riconoscibilità dei ruoli drammatici. Il "cromatismo" in un'opera come il Tristano e Isotta arriva ad espandere la tonalità fino alle frontiere della sua comprensione d'ascolto per quel tempo, un secolo diciannovesimo imbevuto di melodie estetizzanti.
E' nel profetico respiro immaginario che Wagner s'impone come genio del "pensiero musicale".
Il recupero del mito coniugato con una ricerca musicale concentrata sulla propria natura di espressione primigenia. La grande, affascinante, forza ideologica della sua filosofia, della sua "poesia" in musica. Pensiamo alla sua esperienza rivoluzionaria, quando nel 1849 partecipo alla rivolta di Dresda a fianco di Bakunin, un'intemperanza tradotta in teorie su testi come L'arte e la rivoluzione o come L'opera d'arte dell’avvenire.E pensiamo poi alla complessità mitica della sua tetralogia (L'oro del Reno, Le Valchirie, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei) realizzata per intero , in un progetto d'altissimo disegno, nel 1876, nel suo teatro, il Festpielhaus di Bayreuth, costruito a sua misura da Luigi II di Baviera.
Ma quello che forse è più importante è il fatto che Wagner abbia inventato una nuova forma di dramma. In tedesco si definisce con il termine: Wort-Tondrama, dramma della parola e del suono. Una sintesi tra il dramma musicale e il dramma in parole, cioè parlato, cioè scritto, cioè pensato in poesia.

Una nuova figura di artista si presenta quindi con Wagner, quella del poeta musicista.

Con la musica si arriva ad esprimere un dramma interiore, mentre le parole lo fanno solo intendere.

Nella resa simultanea dei movimenti dell'anima e dello spirito l'intensità drammatica vivrà quindi
dell'intensità musicale.

Questa dimensione del musicista poeta di se stesso teso a determinare teatro con la messa in scena della sua musica, ci conduce così nel vivo del nostro percorso. Abbiamo stabilito un punto cardinale per orizzontarci, prima traccia di questa mappa del viaggio che intendiamo delineare in questa prima e un po' anomala puntata di introduzione, per indicare le coordinate di massima della nostra ricognizione all'interno del "suono del teatro".
Viaggeremo anche attraverso la storia per rilevare le punte alte, le esperienze che in questo ultimo secolo hanno lasciato importanti segni di sé.

Cercando dì non partire da troppo lontano, potremmo citare come esempi emblematici dì una tensione creativa rivolta alla scena, l'esperienza di musicisti come Erik Satie, un personaggio chiave dì tutta la sperimentazione artistica del Novecento, e come Alberto Savinio, il poliedrico artista autore di "Les chant de la mi mort".

Ma su Satie dobbiamo fermarci con particolare attenzione.

SATIE

"Sono venuto al mondo molto giovane in un tempo molto vecchio"
Erik Satie, l'irriverente. Il suo spirito bizzarro, il suo amore per le soluzioni immaginarie più spregiudicate, il suo ascetismo lo hanno configurato come uno dei musicisti più enigmatici, più geniali di questo secolo di cui ha anticipato le grandi intuizioni. Satie, con Duchamp, va considerato come il padre spirituale di tutte le avanguardie del nostro tempo. In lui batteva un cuore esoterico: da giovane si legò al movimento dei Rosacroce e tutta la sua esperienza artistica, e non, è stata sempre segnata da un’eccentricità profonda.
I suoi pezzi per pianoforte, le Gimnopédies, le Gnossienes, hanno influenzato notevolmente l'impressione musicale e lo stesso Debussy.
Ma Satie non si ferma alla ricerca timbrica e armonica; sposta la sua attenzione, la sua intrigante curiosità nel mondo dei café-concert, scrive una pantomima (Iack in the box, nel 1899), un'operina per marionette, divertente e divertita parodia del teatro d'Opera. Entra in una dimensione dì vivissima interazione artistica cori personaggi come Diaghílev, Cocteau, Picasso, entrando poi a far parte, nel 1918, del Gruppo dei Sei. Con loro realizza Parade, con Picabia e René Clair (che realizzò come l'intermezzo cinematografico" il famoso Entr'acte) compone Relache, un "ballet instantanéíste".

E' il 1924, Satíe è ormai illustre, circondato da una schiera di discepoli in ammirazione, ma morirà un nno più tardi in una desolata povertà nella sua stanza di Arcueil affollata da migliaia di bigliettini
calligrafati, le sue famose “didascalie”, le sue folli istruzioni per l'uso delle sue musiche.

"Satíe ci è indispensabile" ha affermato John Cage.

Basti pensare alle sue straordinarie intuizioni su la "musique d'ameublement" (musica d'arredamento: "la musique d'ameublement crea una vibrazione; non ha altro scopo. Ha la stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme".

Non possiamo che riconoscerne l'assoluta importanza.

Fondamenti di una nuova cognizione del fatto musicale, diffuso nell'ambiente e determinato proprio da un ascolto privato, esterno alle sale da concerto, fuori, nei luoghi della vita quotidiana.

Una delle grandi intuizioni di Satie fu quella di portare la musica fuori dai luoghi tradizionali, fuori dalla ritualità convenzionale dell'ascolto da concerto.
E' questa un'idea forte che apre a tutto un nuovo settore di esperienze, quello della "musica messa in scena" che ridefinisce, secondo criteri inediti, i modi dell'ascolto.
E' il caso delle installazioni sonore, un'area che va dalle "musiche per ambienti" alle cosiddette “architetture sensoriali".
Un altro piano, quello delle musiche di scena, raccoglierà poi tutto quell'arco di esperienze, parallele al lavoro proprio del teatro, del suo farsi.
Per indicare qualche esempio storico, potremmo citare Andrea Gabrieli che nel 1585 scrisse un oratorio per “l'Edipo Tiranno” che inaugurò il Teatro Olimpico di Vicenza, o Edvard Gríeg che lavorò con Ibsen per il Peer Gynt, o Robert Schumann per il Manfred di Byron, o ancora il famosissimo sodalizio tra Kurt Weill e Bertolt Brecht.
Ma il cuore del problema lo toccheremo con le gesta delle avanguardie degli anni ‘60, quelle segnate dal glorioso Gruppo Fluxus e da John Cage in particolare, altro punto cardinale di questa nostra ricerca.

CAGE

"Voglio aprire la mente per accettare, non rifiutare, il resto del mondo"

John Cage è uno dei padri della sperimentazione del nostro tempo. Un sardonico settantasettenne
sempre vestito in jeans, un ponte vivente tra le avanguardie storiche e i movimenti di ricerca
contemporanea. Allievo di Arnold Scoemberg con cui ha studiato Armonia, non ha poi seguito la via
dodecafonica. S'incontra anche con Edgar Varese, ma una vera affinità elettiva la trova con Marcel
Duchamp, il faro del movimento Dada, un personaggio con cui allaccerà un solidale rapporto di
amicizia. Risalgono agli anni trenta le sue prime opere per piano preparato, eseguite da pianoforti
manipolati, ingombri di vari oggetti incastrati nelle corde. Il suo viaggio, la sua ricerca, la sua
esplorazione nell’imprevedibile sonoro, sulla scia delle anticipazioni del futurista Luigi Russolo, autore
del manifesto L'arte dei Rumori.

Oltre i confini del fatto musicale Cage arriva nel '52 al Black Mountain College ad inventare l'happening : un evento diffuso di travolgente contagio artistico. Un evento eccezionale a cui partecipano pittori, musicisti, danzatori, poeti, come Rauschemberg,
Cunningham, Tudor, De Koonig, Olesen, Warhol, Richards. Un momento importante nello sviluppo
della sensibilità artistica del nostro tempo.

Cage, figlio di un inventore, inventa circostanze sonore, segue il lavoro di danza di Merce Cunningham

contribuendo in modo decisivo all’ideazione dei suoi spettacoli. Tra le sue opere ricordiamo poi Music Walk, composto con frammenti di notiziari radiofonici; Sixty-two mesostics per Merce Cunníngham, frammenti vocali composti da parole scelte con gli I-Ching; Alla ricerca del silenzio perduto, un insolito viaggio su un treno sonoro, realizzato nel compartimento ferroviario di Bologna nel 1978.
(>>>NdA. E' un evento a cui partecipai e di cui scrissi sul quotidiano Lotta Continua. Articolo che sto cercando nel mio archivio senza fondo.)

Emblematica fu la sua apparizione, nel '58, al gioco televisivo condotto da Míke Bongiorno, Lascia o
Raddoppia, dove si presentò e vinse come esperto in "micologia", il ramo della botanica che studia ì
funghi. Tra i funghi e gli I-Ching, tra il dada e lo zen, Cage ci appare così come un maestro di ironia e di pura soggettività.

E' da queste esperienze che nasce un nuovo mondo dì teatralità. Il mondo del Living Theatre di Julian Beck e dì Judith Malína fondato sul "corpo glorioso" dell'attore, unica sorgente del suono della scena.
Il mondo di Meredith Monk, rarefatto e struggente nei suoi oratori monodici. Il mondo di Bob Wílson che con "Einstein on the beach" sposa il suo "teatro del non tempo" con il "suono trance" di Philip Glass.

Un capitolo fondamentale questo, per tutta la sperimentazione; un mondo in cui Glass emerge come uno dei riferimenti musicali più amati.


GLASS

"Quello che faccio in realtà è prendere una gran massa d'aria e muoverla intorno in modo regolare. Se guardo uno spazio lo vedo come un ambiente in cui far muovere l'aria e produrre suoni"

Philip Glass è uno di quei musicisti che muovendosi nell'area newyorkese più tendenziosa. quella proiettata in avanti nel gioco dell'avanguardia, ha trovato un equilibrio tra musica colta e nuovi linguaggi. Coniugando il patrimonio della cultura musicale tonale con le tendenze più radicali del suono traducono la sperimentazione sonora nel piacere dell'ascolto.

Insieme a Terry Riley, La Monte Young e Steve Reich è il gran maestro di quella musica ripetitiva
famosa per i massaggi al cervello dei suoi suoni ipnotici, iterati, di trance.

Una musica che partendo da presupposti estremamente razionali, secondo una vera e propria architettura del suono, tende ad espandersi in quanto fenomeno psicoacustico, luogo di non tempo e di assorbimento meditativo. Una musica fondata sia sulle coordinate del “minimalismo" che su quelle spiritualistiche d'ascendenza orientale. Glass ha collaborato infatti con Ravi Shankar, il maestro indiano di sitar, e in particolare, con Alla Rahka, il maestro di tabla che lo ha iniziato ai ritmi additivi dei raga.
Ma le sue collaborazioni hanno spaziato nel panorama della ricerca newyorkese, con Sol Lewitt, uno dei protagonisti della “minimal art”; con i Polirock, una delle bande più intelligenti del corso new wave; con il gruppo teatrale Mabou Mines e fondamentalmente con Bob Wilson.

E' con Wilson, uno dei registi più geniali della scena contemporanea, che nel ‘76 realizza Einstein on
the beach, un capolavoro di teatro visionario sospeso nel tempo. Un evento spettacolare firmato insieme da regista e musicista data la stretta combinazione di assoluta interazione performativa tra le due partiture, quella scenica e quella musicale.

Con Wilson ha poi recentemente realizzato una sezione di Civil Wars, un'operazione che lo ha visto avvicinarsi molto alle convenzioni operistiche.

A conferma di questo Glass compone nel '85 Satyagraha., una vera e propria Opera lirica, un omaggio alla memoria del Mahatma Gandhi. Ricordiamo inoltre la colonna sonora del film di sole immagini Koyaanisqatsi: evento di una tensione musicale portante data la totale assenza di parola. Una tensione che induce ora, dopo le stagioni del rigoroso minimalismo, ad atmosfere di grande lirismo, addirittura struggenti, su un onda romantica post-brahmsiana.


Quella di Glass e Wilson è un’esperienza in cui il suono giunge a svolgere una funzione determinante, drammaturgia addirittura, di principale tensione portante del gioco della scena. Basti pensare alle esperienze di "nuova spettacolarità" dei gruppi delle ultime generazioni teatrali.
(>>> NdA. il riferimento è rivolto qui a quelle degli anni Ottanta)

In questi casi il lavoro sulle colonne sonore viene a iscriversi pienamente nel progetto teatrale: una strategia di contemporaneità che i suoni citano splendidamente. In questi casi un nuovo pubblico, in parte estraneo ai consueti consumi teatrali, è giunto a scoprire, attraverso momenti di vivo transfert immaginario, l'universo di una arte inedita, straniera alle convenzioni teatrali vigenti.

Un’arte fondata su una nuova sensibilità: l'attitudine percettiva affinata al gioco sottile delle percezioni.

Le nostre considerazioni in questa prima puntata, prima tappa della nostra ricognizione attraverso il
suono del teatro, hanno voluto semplicemente tracciare delle coordinate, le mappe di un percorso da seguire.

Non ci interessa infatti riflettere certezze teoriche ma indagare, viaggiare in territori poco esplorati.

Siamo partiti.

Dopo questa mappa, questa sorta di “istruzioni per l'uso" entreremo nel viaggio vero e proprio.

Torneremo a parlare di quei grandi protagonisti di cui abbiamo dato oggi dei brevi cenni.

Dalla prossima tappa avremo con noi dei "compagni di strada": musicisti, artisti della scena, spettatori-ascoltatori con cui parleremo, con cui viaggeremo in questo mare, in questo suono del teatro.