| Dissolvenza incrociata Una banda di ragazzi 
        napoletani fa finta di fare la rivoluzione allAuditorium Zanon. | |
| E' forse l'autore 
        più irriverente e dolente della nuova scena teatrale partenopea, 
        l'erede più trasgressivo della grande scuola di Edoardo e Viviani, 
        eppure Enzo Moscato, protagonista l'altra sera allo Zanon di Udine di 
        un suo lancinante e applauditissimo monologo -Compleanno - per 
        il convegno della Lingue del Teatro, sembra riassumere nella sensibilità 
        dell'oggi tutto quel patrimonio di arte e di espressività: uniche, 
        come unica è Napoli e la sua naturale, congenita teatralità. 
        E su quel palcoscenico straordinario di umanità e passionalità 
        Moscato mette in scena i suoi fantasmi, il suo immaginario intriso di 
        napoletanità cui però convergono, spesso stravolti, gli 
        echi strazianti e dolorosi della contemporaneità. Così, 
        per questo suo Compleanno, è la nenia querula e infantile di Susan 
        Vega a fare da dispettoso contrappunto a una festa immaginata e raccontata, 
        vissuta nelle parole e nelle immagini, dove i gesti della quotidianità 
        (le cadeline, il brindisi, il trucco) si caricano di enfasi drammatica, 
        plateale, dietro la quale nascondere il vuoto e il silenzio di una solitudine 
        sin troppo rumorosa di sogni e fantasie, di passioni dirompenti ed emozioni 
        incontenibli. Riso e pianto, farsa e tragedia si mescolano nei racconti 
        con i quali Moscato riempie questa festa di compleanno, rivolgendosi a 
        un festeggiato sconosciuto, che una sedia ricoperta di tulle rosso -povero 
        trono da teatro guittesco- evoca ma non definisce. Non sapremo mai chi 
        è il destinatario di tanto amore, di tanta attenzione (certo Moscato 
        lo ha dedicato a un altro vivacissimo interprete della reinassance del 
        teatro napoletano, Annibale Ruccello morto anni fa in un incidente di 
        macchina), quello però che ci rimarrà nella mente e nel 
        cuore è la travolgente umanità che sgorga, barocca e impetuosa, 
        sboccata e disperata, dai racconti di Moscato. E sono personaggi femminili, 
        di una femminilità lacerante e lacerata: c'è la protagonista 
        cartesiana di una fantomatica telenovela, la cui figlia, Spinoza, si inguappa 
        e si perde in trame oscure e melodrammatiche ( irresistibile e ironica 
        presa in giro di tanto narrare televisivo odierno), ma c'è anche 
        il racconto, come in altri spettacoli di Moscato (Luparella, soprattutto), 
        di una femminilità perduta, nei bordelli di Toledo o dei quartieri 
        spagnuoli; e ancora la femminilità repressa che esplode in fantasiosi 
        incontri con umini turpi e depravati. E poi c'è il rituale del 
        canto e del ballo, la musica caciarona di un tango spagnolo, citazione 
        appropriata del primo trasgressivo Almodovar, o la musica avvolgente di 
        una melodia popolare o di una canzone francese. E su tutto lui, Moscato, 
        la sua voce che è strazio e malinconia, continuamente rimossi in 
        un gioco di finzione teatrale, che è senso e coazione a ripetere, 
        quasi non ci fosse realtà più vera e giusta di quella della 
        scena. | |
| Pensare e parlare del presente Napoli: città della 
        monarchia, mai della repubblica. Che i re di turno si chiamino Borboni 
        o Achille Lauro. Città sventurata e immobile di "lazzaroni", su cui è 
        quasi fisiologico mettere le mani, perché lì le rivoluzioni scoppiano 
        come fiammate, ma solo per spegnersi senza lasciare traccia e coscienza. 
        Come nel "1799", appunto, data simbolica di fallimento popolare e titolo 
        inoltre di un bel testo del 1989 di Manlio Santanelli, che è autore partenopeo 
        tra i più rappresentativi, ancorché meno noti, del dopo Eduardo. In questa 
        lettura amara del destino partenopeo, sotteso alla vernice eroicomica, 
        si sono cimentati i 23 studenti 23 ‹quasi due squadre di calcio, arbitro 
        incluso- del Liceo Classico Scientifico "V. Imbriani" di Pomigliano D¹Arco, 
        a suggello della ricca kermesse del Convegno udinese "Il teatro delle 
        lingue", in una finestra conclusiva aperta all¹Auditorium Zanon sul teatro 
        di provenienza scolastica. E infatti, al di là dei gradevoli esiti scenici, 
        garantiti dalla consulenza artistica di Nello Mascia, l¹aspetto più pregevole 
        della proposta è consistito nell¹adozione del napoletano, lingua quante 
        altre mai sonora e capace di calarsi anche in immediata fisica gestualità. 
        Anche per giovani attori in erba, accattivanti perciò soprattutto nei 
        momenti corali, tutti in scena a ballare, cantare, suonare in concertato 
        con la rotondità della parola dialettale. Da essi, allora, una ventata 
        di energia, che la platea, pur non nutritissima, ha dimostrato di gradire 
        con affettuosi applausi. E un esempio, inoltre, del mondo giovanile di 
        oggi, che spesso ai "piercing" o alle mode varie della attuale globalizzazione 
        sa intrecciare la ricerca non nostalgica della tradizione, in stuzzicante 
        meticciato ‹tutto dei nostri tempi di transizione- tra modernità e passato. 
        In Friuli come a Napoli, città-laboratorio, dunque, e metafora forte del 
        pensare e del parlare del presente. | |
| Spiacentissimo di 
        non poter essere presente a questo "omaggio" che mi avete dedicato, ma 
        sto recitando a Roma, al teatro Quirino "Lu Santo Jullare Francesco". Con affetto Dario Fo 
 Nell' impossibilità 
        di essere presente per impegni di lavoro alla Vostra giornata dedicata 
        a Eduardo Vi auguro la felice riuscita della manifestazione. Cordiali saluti Luca de Filippo | |
| AREE DI LIVELLO: LATTORE  LO SPETTATORE 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 TEATRO E CURRICOLO 
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