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I fili e i nodi

Tutti insieme, appassionatamente, nell'aula magna dell'istituto tecnico Deganutti che ci ha ospitato in questi quattro giorni d'intenso master di "educazione al teatro". Si cerca di recuperare i diversi fili dell'esperienza e legarli tra loro, fare rete, proprio secondo il principio pedagogico dei "fili e dei nodi" di cui parlava Freinet.
Un bel modo di ricostruire l'esperienza generale è quella che esprime Claudia con il suo piccolo e intenso diario personale che rilancia un'affermazione di Loredana: "sognamo:facciamo". Sognare, immaginare, giocare con la fantasia significa sapere giocare con la realtà della nostra evoluzione psicologica, quella che alla fine dei conti mette in relazione i tre piani della nostra esperienza vitale: quello della realtà, quello dell'immaginario e quello del virtuale.
Da Renata arriva uno scritto che conclude il ciclo del laboratorio teatrale con Maria Mazzei centrato sul "riconquistare lo sguardo e l’ascolto" mentre si iniziano a raccogliere i contributi inerenti il convegno che vede tutti trasferiti all’Università di Udine. Non sono solo le insegnanti del master, tra cui Mia con il suo eccellente intervento su "la lingua come fonè" ma anche studenti universitari, come Michele, o relatori, come Roberto Cuppone a far crescere il nostro diario di bordo.
(carlo)

 

Ci ragiono e Fo. Manuale minimo dell’attore-autore

Fo non è attore "da manuale", eppure ne ha scritti due nella sua maturità. a breve distanza l’uno dall’altro: Manuale minimo dell’attore e Totò.Manuale dell’attor comico
Dal confronto di questi due "manuali"(parola già derivata dalla esperienza), dal distillato delle loro somiglianze(aneddoti digressivi e trasgressivi) a diversità (lingua, tono, obbiettivi) emerge la lezione di Fo: il percorso creativo dell’attore è quello che lo porta ad essere autore, la "scrittura" è quella, e solo quella, che procede dal corpo dell’attore, dai suoi gesti; dalla sua sonora, "indignata" affermazione di esistenza.
(roberto cuppone)

 

Riconquistare lo sguardo

Alle tracce inerenti il laboratorio teatrale di Marinuzzi centrato sul "personaggio" e meglio ancora su struttura scenica e racconto, emergono altre sul laboratorio di Maria Mazzei sui "corpi in movimento e le voci narranti".
Si rilanciano le parole chiave già individuate all’inizio: sogno, gioco, festa, rito.
Riconquistare lo sguardo e l’ascolto
Sono le radici antropologiche e del fare teatro. Perciò mettiamoci in cerchio e riconquistiamoci lo sguardo e l’ascolto. E poi partiamo dal grado zero del teatro la narrazione ed isoliamo la parola che si fa corpo. Lavoriamo per coppie assortite da caso o dal destino e ritroviamo i gesti che hanno e danno senso, occupiamo lo spazio, ci prendiamo il tempo. Viviamo sequenze.
IL GRUPPO E’ IL NOSTRO GARANTE.
(renata)

 

La lingua come "fonè"

Il convegno sul "Teatro delle lingue — le lingue del teatro" si apre con un intervento di Jo Farrell sui rapporti tra Dario Fo e la tradizione. Nella scia della memoria del giullare, Fo commenta i fatti socio-politici nella chiave del comico con la sua pregnante presenza scenica. Più generale e in parte fondante, l’intervento di Mario Porro rileva la pressoché infinita traducibilità del testo teatrale in linguaggio scenico. Il teatro, inteso come spettacolo è una rete polisemica di arti: un insieme di linguaggi che mutano il testo, anche quando si impongono il rispetto. La poliedrica gamma delle interpretazioni va dal tradimento alla ricreazione non solo del testo, ma anche delle suggestioni di messainscena suggerite dall’autore. Conclude Roberto Cuppone entrando nel vivo del dibattito su Fo. Non importa "capire" secondo criteri di pura logica, Fo è tanto più "comprensibile" quando "finge" sulla scena antichi dialetti fino al grammelot. La mirabile gestualità e la lingua usata come "fonè", esercitano sullo spettatore un fascino ed una partecipazione che danno la misura dell’eccezionalità dell’attore.
(mia)

 

 

Approdare in nuovi porti

Il teatro... aiuta a crescere, valorizza e completa il compito "educativo" della Scuola perché conduce i giovani attraverso un viaggio con la mente, col cuore e col corpo nel mondo dei nostri padri e li accosta ai loro valori.
Il teatro... è un viaggio immaginario in nuove terre per approdare in nuovi porti, anche senza strumenti culturali.
(donata)

 

LA TRADIZIONE DI INNOVARE

"La tradizione è tutt’altro che un’abitudine, è un’accettazione cosciente e deliberata. Una vera tradizione non è testimonianza di un passato remoto, è una forza viva che anima ed alimenta il presente." Così diceva Stravinskij nella Poetique musicale, ma può valere benissimo anche per quel che riguarda il caso particolare di Dario Fo. Nella sua produzione (ora che ha vinto il Nobel si può dire "letteraria"?) egli usa "canti, balli e un linguaggio reinventato tra onomatopea e grammelot" che rimanda esplicitamente a "origini culturali diverse" (Fo, Introduzione a Il diavolo con le zinne) riuscendo dunque a conciliare tendenze opposte, ma che risultano essere intime necessità dell’artista: innovazione e tradizione. Ed è per questo credo che Joe Farrell al convegno Il teatro delle lingue-le lingue del teatro abbia utilizzato nei confronti di Fo termini quali "inattuale" e "tradizionalista" volendo appositamente tralasciare l’aspetto prettamente politico del suo "fare" teatro (anche proprio come poiein). Nel personalissimo pantheon di questo "arlecchino marxista" (come lo definisce sempre Farrell) l’ara principale è esplicitamente dedicata a Ruzzante (si ricordi il discorso alla consegna del premio Nobel), l’autore-attore villano che con la sua lingua padovana, ma anche latineggiante, spagnoleggiante… ha saputo creare una parola teatrale, una parola che è gesto. Tra Fo e il Beolco si può veramente parlare di totale identificazione, cosicché questa scelta poetica diventa anche politica in quanto permette di ribaltare la tragedia nel grottesco, di fondere rabbia e riso in uno sghignazzo minaccioso per l’establishment politico.
(michele)

 

Si, sognamo: facciamo

Tutto è cominciato qualche giorno fa quando Carlo mi ha detto/raccontato di questo corso. Mi sono chiesta, ma io cosa ci faccio, non sono un'insegnante, lavoro sì nelle scuole, ma sono la controparte, che partecipa a un convegno dedicato agli insegnanti.
Ovviamente poi, arrivando qui a Udine, mi è bastato poco per capire che era importante esserci. Parlare, confrontarsi, ascoltare. Ecco sì, ascoltare perché davanti all'esperienza di quaranta insegnanti, la mia, che per il momento ha un valore ancora troppo personale (come quella di tutti gli altri, credo), è più difficile da articolare e strutturare in "moduli", "griglie", momenti curricolari o extra-curricolari, formazioni congiunte, partecipazioni alle rassegne, con premi o senza, a tema o a progetto, ecc. ecc. Tutte parole o concetti per me totalmente nuovi.
La mia esperienza a Ravenna, insieme con i mie compagni della "non-scuola" del Teatro delle Albe, è stata fino adesso molto libera, nel senso che la scuola non ci ha mai imposto troppe regole, forse quindi per certi aspetti, di fronte alle esperienze di certi altri è un'esperienza che ho sentito, per noi che la facciamo e per i ragazzi anche, più ricca. Ma di questo non so, se ne potrebbe parlare...
Ho ascoltato tanto dicevo, ho preso parte con entusiasmo al gruppo di Loredana, ho spiato quello di Maria, curiosato in quello di Carlo. Ho partecipato a discussioni infinite, a tavola a scuola in autobus... e quello che mi è piaciuto è stato scoprire che esistono, in giro per l'Italia centinaia di persone che si battono per rendere la vita nelle scuole più viva, più creativa, più interessante, più formativa sotto tutti i profili. Cosa che prima non mi era così chiara. Ho scoperto ancora, in questi giorni grigi e piovosi, che esistono persone (insieme a quelle che ho citato sopra) come Angela e Mario, e Claudio, che si dedicano con un impegno disumano a portare avanti progetti che, a master concluso, si possono quasi definire assurdi, utopici, impossibili e frustranti (come sono a volte i progetti che riguardano la scuola), solo per il gusto di credere nei propri sogni o per il gusto di aver creduto in quelli di un altro. Tutto questo innescando dinamiche che privilegiano l'incontro e quindi il confronto.
Si diceva in questi giorni quando le parole cominciavano a farci sprofondare, "voliamo alto", sì, appunto, ancora sognamo... facciamo.
(claudia)