Machina spiritalis

Si è potuta recentemente ammirare nel foyer del "Giovanni da Udine" la mostra "Deus ex machina" che ripercorre la storia del teatro attraverso quella dei macchinari scenici: periatti, elevatori, argani ed altri ingegnosi ordigni. Con felice intuizione gli allestitori hanno affiancato agli congegni teatrali alcuni esempi di macchine letterarie: nell’ultimo settore dell’esposizione si sono potuti ammirare una ricostruzione del telaio combinatorio descritto da Swift nei Viaggi di Gulliver (se ne servono gli accademici di Laputa per produrre conoscenza in modo del tutto casuale), i Cent mille milliards de poèmes di Queneau (dieci sonetti dai versi intercambiabili, così da produrne dieci alla quattordicesima), due composizioni poetiche di Luc Etienne su nastri di Moebius (in questo caso è la distorsione topologica a produrre poetiche stranezze), e alcuni accenni alle sperimentazioni permutative dell’Oulipo (il celebre Ouvroire de Littérature Potentielle che ebbe tra i suoi membri anche Italo Calvino). Ottima l’idea, piuttosto povera e poco perspicua la realizzazione, che si riduceva alla semplice giustapposizione di due temi meritevoli d’essere indagati nelle loro interconnessioni.

Non pretendo certo di poter ricostruire la storia dei rapporti tra teatro, letteratura e macchine, e di una concezione meccanica delle arti, ma vorrei illustrarne un capitolo che oltretutto ci riguarda da vicino: un capitolo friulano. E’ stato Eugenio Battisti a segnalare come "il più antico disegno finora pervenuto di un modello, almeno, di teatro regolare con quinte, e con una piattaforma mobile centrale per trasformazioni" si debba a Giovanni Fontana, singolare figura di medico e scienziato (una sorta di Leonardo quattrocentesco) che nel suo Bellicorum instrumentorum liber schizzò il "templum sane factibile" qui accanto riprodotto (fig. 1). Ora, tra le opere del Fontana si conserva pure il Secretum de thesauro experimentorum ymaginationis hominum, nel quale compaiono diversi progetti di macchine combinatorie, dischi concentrici, cilindri, rotoli che permettono la permutazione degli elementi di scrittura (singole lettere o parole): una realizzazione ingegneristica del sogno lulliano. Ma il rapporto tra il teatro del primo trattato e i congegni del secondo non è di semplice contiguità: il Secretum infatti è un trattato di mnemotecnica o, per dirla con Battisti, "il progetto di un database compatto della conoscenza" nel quale per certi versi si prefigura l’edificio del friulano Giulio Camillo, che in forma appunto di "Teatro della memoria" concepì e in qualche misura realizzò intorno al 1530 il primo repertorio enciclopedico ipertestuale (e multimediale, e interattivo) della storia: una grande macchina combinatoria, in cui confluirono i sogni della pansofia rinascimentale, l’ermetismo ficiniano, i progetti lulliani, le pratiche cabalistiche pichiane (utilizzate anche per la produzione di testi poetici!) e - chissà? - qualche suggestione ricevuta da Giovanni Fontana, del quale sappiamo che intorno al 1438 fu assunto in Udine come medico condotto (il soggiorno gli fu sgradito, tra l’altro, per la mancanza di biblioteche). Circa settantacinque anni dopo, in Udine insegnò Giulio Camillo, e mi piace pensare che proprio nella nostra città siano maturati i progetti "teatrali" dell’uno e dell’altro, connessi magari per il ricordo che dell’attività del Fontana poteva esservisi conservato.

Ma a ben comprendere come nel "Teatro della memoria" per molti versi si identificano macchina teatrale (o, come meglio dirò, teatro-macchina) e macchina testuale saranno necessarie alcune notizie sul suo ideatore e sull’ambito culturale che lo espresse. Nato nel 1480 a Portogruaro (nel Friuli storico, dunque), dopo aver compiuto gli studi a Venezia e Padova, Giulio Camillo fu maestro di "umanità" a San Vito, Udine e Pordenone, per poi passare all’Università di Bologna come professore di retorica, e di qui in Francia, chiamatovi dal sovrano Francesco I che per assicurarsi il Teatro lo finanziò munificamente. Amico di Erasmo da Rotterdam, del Serlio, del Bembo, dell’Aretino, di Tiziano, fu presenza autorevole nelle più ragguardevoli cerchie culturali, accademie, circoli esoterici, cenacoli religiosi, elaborando un sistema concettuale sincretistico che si strutturò nell’impianto del suo Teatro.

Work in progress della sua intera vita, l’invenzione di Camillo ha radici nell’arte retorica e nelle tecniche memorative da essa utilizzate. Dal modesto progetto di fornire all’oratore un repertorio di citazioni (soprattutto ciceroniane) ordinato alfabeticamente, Camillo passò alla ricerca di una sistemazione svincolata dalle peculiarità linguistiche (e dunque di fruibilità universale) ricorrendo all’anatomia e all’astrologia per catalogare i diversi argomenti in corrispondenza delle varie parti del micro e del macrocosmo (membra umane, segni zodiacali) secondo criteri analogici. Sin qui nulla di particolarmente originale: l’enciclopedismo antico e medievale conobbe numerosi esempi simili.

Ma poi, ecco l’idea geniale: la realizzazione di un hardware mnemotecnico. L’arte della memoria classica prescrive la costruzione di un edificio mentale in cui distribuire le parti del discorso da memorizzare; ripercorrendo idealmente i luoghi cui sono affidate, si potrà recuperarle alla memoria nell’ordine desiderato. L’efficacia del metodo può essere rafforzata con espedienti di associazione: i loci vengono contraddistinti da imagines agentes, figure di forte carica emotivo-evocativa (orripilanti, erotiche, bizzarre) tali da imprimersi indelebilmente nella memoria. Camillo pensò il suo Teatro come realizzazione materiale degli immaginari edifici della mnemotecnica: un teatro, appunto, in cui lo scibile universale fosse distribuito su una settuplice gradinata suddivisa in sette settori: quarantanove luoghi di memoria (che un’ulteriore scansione settenaria portava a trecentoquarantatre) contrassegnati da immagini. Per esse Camillo fece ricorso a Francesco Salviati e a Tiziano: di quest’ultimo ben duecentouno acquarelli conservati all’Escurial assieme a una copia dell’ Idea del Theatro (l’operetta dettata poco prima della morte al Muzio, che descrive purtroppo sommariamente l’edificio camilliano) andarono perduti nell’incendio del 1671 (praticamente nulla ci resta del Teatro, che era giunto, come dirò, ad una fase avanzata di costruzione).

L’impianto del Teatro risponde a esigenze classificatorie e magico-numerologiche a un tempo; la sequenza delle gradinate rispecchia una cosmologia emanazionistica di tipo neoplatonico, i settori sono posti sotto il segno (e l’influsso) degli dei planetari, cui corrispondono sette angeli e le sette sephirot inferiori della Cabala ebraica. Neoplatonismo, ermetismo, cabalismo e alchimia si fondono in un sistema pansofico che fa dell’enciclopedia camilliama, come hanno dimostrato Yates, Walker e Bolzoni, anche un grande talismano e uno strumento di "deificazione" per chi ne usa.

Ma gli aspetti esoterici del Teatro (per cui la figura di Camillo assume i tratti del "mago" rinascimentale, non senza sospetti di ciarlataneria) per quanto suggestivi sono qui di scarsa pertinenza. Dal punto di vista adottato, ancora non siamo di fronte che a un singolare archivio, ordinato secondo un originale sistema classificatorio, con chiavi di natura iconico-simbolica. Ciò che mi induce a credere che il Teatro fosse una vera e propria macchina, un elaboratore capace di operazioni combinatorie, è non solo l’esplicito accenno, negli scritti di Camillo, a un’ "artificiosa rota" che fa pensare alle ruote dell’ars magna di Lullo e a quelle che la Cabala utilizza per le permutazioni alfabetiche (temurah), ma anche lo spirito delle sue teorizzazioni retoriche e di qualche sua performance letteraria: nel mio saggio La Lucrezia anagrammata e il cosmo programmato, confluito con altri in Anima artificiale. Il Teatro magico di Giulio Camillo (editore Aviani 1993) ho messo in luce come Camillo adattasse a meccanismo poetico le operazioni anagrammatiche messe in atto da Pico cabalista cristiano.

Sono insomma convinto che a Camillo, e non a Giordano Bruno, come vorrebbe Frances Yates, spetti il primo innesto del lullismo sull’ars memorativa classica. La grande storica inglese non potè avvedersene per aver voluto ricostruire il Teatro di Camillo secondo un modello vitruviano-palladiano (semicircolare, con inversione dei rapporti spaziali: lo spettatore contempla dalla scena quanto disposto sulle gradinate); esso dovette, invece, avere forma circolare ed essere fornito di elementi rotanti suscettibili di combinazioni radiali (Barbieri pensa addirittura a una meccanica tridimensionale, alla cubo di Rubik). Molte testimonianze parlano di un anfiteatro: tra esse quella decisiva di Viglio Zwichem, corrispondente di Erasmo, che nel 1532, a Venezia, fu ammesso da Camillo in un edificio ligneo presentatogli come una "mente e anima artificiale". Della sua struttura penso si conservi il ricordo nel "tempio della pittura" del Lomazzo, che si richiama esplicitamente a Camillo.

Certo può sembrare azzardato pensare alla meccanizzazione di un simile ordigno, ma si ricordi che già la Domus aurea di Nerone era fornita di una cupola zodiacale girevole, si pensi agli orologi di Lorenzo della Volpaia, che fecero concepire a Marsilio Ficino l’idea di realizzare un grande talismano cosmico, si pensi ai robot attribuiti a Leonardo. E quantomeno dei modelli in scala ridotta avrebbero senz’altro potuto simulare gli schemi combinatori del Teatro.

Trova quindi piena conferma ciò che con acume straordinario già aveva intuito Giuseppe Marchetti che, in Friuli. Uomini e tempi (1959!) scriveva che il Teatro "non era un libro e non era un semplice ordigno: doveva essere un complesso di repertori o schedari contenenti una specie di enciclopedia universale, ordinata secondo rapporti astronomici o cabalistici o mistici o magici. Le singole parti dovevano essere disposte sulla parete circolare d’un locale in forma d’anfiteatro, e collegate tra loro mediante specchi o altri espedienti meccanici. L’apparecchio doveva offrire prontamente a chi lo usava tutto ciò che si sapesse o si potesse dire sopra un argomento qualsiasi (cioè quanto ne avessero detto gli scrittori d’ogni tempo), esprimendosi a piacere in una lingua qualsifosse delle più evolute, e secondo lo stile e la fraseologia d’un’epoca o d’un autore a scelta, e con tutti i sussidii di immagini, tropi, aggettivazioni, sinonimie che può offrire un nomenclatore: qualche cosa, per intenderci, che precorresse in certo modo quei "cervelli elettronici" di cui si occupa talora la stampa periodica di oggi".

Guardando alle nuove frontiere dell’informatica e della telematica, possiamo ora essere più precisi: col suo Teatro Camillo creò una macchina ipertestuale ante litteram, enciclopedia totale e macchina noetica (e poetica) combinatoria, potenziale generatrice della biblioteca di Babele. Ho messo in luce questi aspetti nel saggio su L’organizzazione del sapere dalla mnemotecnica rinascimentale all’informatica e, con l’apporto di Daniele Cortolezzis, in quello su Il Teatro della memoria come ipertesto (anch’essi raccolti in Anima artificiale) sostenendo che il sistema camilliano, facendo corrispondere la struttura gnoseologica allo schema cosmologico (ontologico ed assiologico ad un tempo) premoderno merita considerazione come possibile modello per una organizzazione gerarchica del sapere che ovvii agli inconvenienti della presunta libertà "anarchica" del Web rizomatico e nello stesso tempo mantenga la dinamicità combinatoria del vero ipertesto. Mi sono anche spinto a vagheggiare un teatro virtuale nel quale il sistema delle conoscenze organizzate nel cyberspazio avesse una sua evidenza "topica". E con soddisfazione vedo apparire in Internet siti camilliani, e la storia dell’informatica risalire sempre più convintamente a radici ben più remote di quelle leibniziane e pascaliane solitamente indicate.

Ma per non discostarmi troppo dallo spunto iniziale, vorrei concludere sottolineando i nessi tra l’edificio camilliano e il teatro vero e proprio. Ho già detto e motivato come all’opinione della Yates, che immagina per il Teatro della memoria la classica struttura vitruviana ripresa da Palladio - che dell’opera di Camillo ebbe certamente conoscenza - io preferisca quella dell’anfiteatro. In ogni caso, un suo influsso è stato di volta in volta ravvisato nel teatro di Sabbioneta, nei teatri del mondo galleggianti della Compagnia della Calza, nell’Odeo di corte Cornaro in Padova. Sostenitore dell’idea del congegno combinatorio, il già citato Barbieri immagina però il Teatro come una macchina scenica, una sorta di grande periatto simile alla machina spiritalis di Robert Fludd: una piramide composta di sette pedane ettagonali sovrapposte e girevoli, sulle quali avrebbero potuto aver luogo vere e proprie azioni teatrali. Spostata la scena (è il caso di dirlo!) in Inghilterra, ricorderò ancora che la Yates attribuisce debiti camilliani al Globe Theatre di Shakespeare per giungere, con un balzo di secoli, ai nostri giorni e mostrare come, per una sorta di giustizia storica, accanto all’informatica, anche il teatro partecipi alla riscoperta di Giulio Camillo. Su iniziativa del CUT, si è tenuta un paio d’anni fa a Trieste una tavola rotonda su Memoria del teatro e teatri della memoria: venne in tale occasione presentato un CD di Carlo Infante che presentava, ancora in fase di elaborazione, una enciclopedia multimediale del teatro organizzata secondo i luoghi di memoria del Globe Theatre! Pure a Trieste, per il mese di febbraio, il teatro Miela ha in programma Fluidi magici, una serie di manifestazioni (conferenze, concerti, proiezioni di film e video, rappresentazioni) ispirate alla figura di Giulio Camillo. E Giulio Camillo s’intitola il lavoro teatrale che Emil Hrwatin, un giovane brillante regista di Lubiana, metterà in scena per il Piccolo Teatro di Milano. Auspico che anche Udine voglia e sappia rendere omaggio a Camillo, magari in quel teatro cui il suo nome converrebbe assai meglio di quello di Giovanni da Udine.