|  | Il Salento. La penisola 
      del teatro (invisibile) Nella presentazione al Repertorio teatrale pugliese a cura di Pasquale 
        Sorrenti e pubblicatone numero speciale de La Rassegna Pugliese 
        nellaprile del 1971, il compianto Aldo Vallone scriveva: la 
        Puglia, ricca sì di grandi musicisti, fu ed è priva di adeguati 
        teatri, di sale o luoghi di rappresentazione. Mancò, quindi, il 
        teatro come palestra. E vi dominò, se mai, il teatro come lettura 
        o accademia di recitazione.. NellAvvertenza, il direttore 
        della rivista, Agostino Cajati, prende atto di questa mancanza, ma, invece 
        di togliersi gli occhiali emettersi alla ricerca di un teatro che abbia 
        radici profonde nella cultura del territorio pugliese, auspica la costituzione 
        di un organismo teatrale stabile in grado di portare sul palcoscenico 
        i testi di volta in volta prescelti, collocandoli nella loro più 
        autentica dimensione culturale e rilanciando così un teatro popolare 
        nato dalla fervida fantasia dei nostri conterranei, al di fuori delle 
        correnti, delle scuole elitarie e velleitarie, delle pseudo avanguardie 
        e dei protezionismi di varia estrazione..
 Difficile non meravigliarsi della miopia, se non della cecità che 
        impedivano di vedere che a Milano, da ventanni, il pugliese Paolo 
        Grassi, insieme a Giorgio Strehler, costruiva la proposta dei teatri stabili, 
        che il salentino Carmelo Bene era a buon punto nellopera di devastazione 
        del teatro di rappresentazione e in Danimarca, un altro salentino, Eugenio 
        Barba, aveva realizzato una delle proposte più importanti del teatro 
        del secondo Novecento.
 Ma se limitiamo il nostro interesse al Salento e lasciamo da parte Barba 
        e Bene, lo stesso Vallone che pure aveva scritto E gioverà 
        il lavoro del Sorrenti, oggi che si istituiscono in varie sedi universitarie 
        insegnamenti di Storia del teatro e dello spettacolo (dopo la cattedra 
         pilota voluta e tenuta da Giovanni Macchia, pugliese pure lui, 
        nella Facoltà di Lettere dellUniversità di Roma), 
        gioverà, dicevo, a fare della Puglia una compartecipante della 
        storia del teatro italiano. e che pure insegnava nellUniversità 
        di Lecce, non nota che linsegnamento di teatro a Lecce era stato 
        affidato ad Alessandro DAmico, colui che, dopo la morte del padre 
        Silvio, aveva portato a termine l Enciclopedia dello Spettacolo, 
        più volte citata nella bibliografia riportata dal Sorrenti. Di 
        passata, dobbiamo ricordare che le voci sul teatro spagnolo dellEnciclopedia 
        erano state affidate ad un altro Salentino, Vittorio Bodini. Col senno 
        di poi sarebbe facile fare dellironia sui misconoscimenti clamorosi, 
        ma cè la nota bibliografica di Sorrenti, riferita a Carmelo 
        Bene, che ci obbliga a riflettere. Scrive Sorrenti: su B. esiste 
        unampia letteratura, tutta a livello giornalistico, essendo egli 
        un personaggio tipico dei nostri tempi. Attore, autore, regista, egli 
        fa parlare più la cronaca che la critica letteraria. Ora, 
        è sufficiente collegare le parole di Sorrenti con quelle di Cajati 
        per capire quale tipo di teatro cercassero costoro.
 Da allora sono trascorsi trentanni, è stato costituito e 
        ricostituito lorganismo auspicato da Cajati, il Consorzio Teatro 
        Pubblico Pugliese, Carmelo Bene è morto sommerso da riconoscimenti 
        italiani e internazionali, Eugenio Barba , invitato da Koreja e dal Corso 
        di Laurea in Scienze e tecnologie delle arti figurative, della musica, 
        dello spettacolo e della moda, è ritornato nel Salento da maestro 
        indiscusso del teatro del Novecento e, tuttavia, quelli che contano, 
        ancora oggi, hanno occhi per vedere soltanto il teatro di rappresentazione. 
        Ma dove sarà mai questo teatro di rappresentazione che dovrebbe, 
        al di fuori delle correnti, delle scuole elitarie e velleitarie 
        al di là delle pseudoavanguardie incarnare lanima del 
        teatro popolare della Puglia e del Salento? Questo teatro di sicuro nel 
        Salento non esiste e non è mai esistito. Non cè stato 
        nel mondo classico. Qualcuno ha notizia di edifici teatrali greci nel 
        Salento? Non si hanno notizie di spettacoli nellOdeon romano e il 
        poeta e drammaturgo Ennio svolse tutta la sua attività lontano 
        dal Salento. Il teatro moderno segnato dalledificio allitaliana 
        e dalla compagnia di professionisti è totalmente assente. Gli edifici 
        vengono costruiti tra il XVIII e il XIX secolo e servono per ospitare 
        compagnie che vengono da altre parti dItalia, in prevalenza da Napoli. 
        Nessuna meraviglia, dunque, per il fatto che, ancora oggi, il teatro che 
        si produce nel Salento si collochi direttamente o indirettamente fuori 
        dal teatro di rappresentazione. Spesso in antitesi.
 I gruppi più significativi, infatti, dal vecchio Oistros, ad Astragali, 
        al Teatro Infantile, agli Impraticabili di De Carlo, a Mediterranea Teatro, 
        a Prosarte, al Teatro dei veleni, al Teatro Anteo, a Koreja hanno avuto 
        e continuano ad avere come punti di riferimento e di confronto i grandi 
        maestri dellaltro teatro: da Eugenio Barba a Jerzj Grotowski, da 
        Alessandro Fersen a Julian Beck, da Carmelo Bene a Tadeus Kantor. E quando 
        citiamo Koreja, parliamo di una realtà creativa, produttiva e organizzativa 
        rispettata e apprezzata in Italia e allestero che però, invece 
        di costituire il fiore allocchiello di chi a vari livelli governa 
        il Salento, deve combattere ogni giorno contro la supponenza e lignoranza 
        che irrorano le rendite di potere ammantate da ideologie.
 La cosa che davvero sconcerta è che mentre tutti i gruppi teatrali 
        salentini hanno maturato da tempo la coscienza di appartenere ad un altro 
        universo teatrale; che mentre persino listituzione accademica, che 
        pure qualche anno fa si bloccò di fronte alla proposta della laurea 
        honoris causa a Carmelo Bene, ha impostato il corso di laurea in 
        Scienze e tecnologie delle arti figurative, della musica, dello spettacolo 
        e della moda prendendo atto di questa specificità del territorio 
        salentino, le istanze politiche e gli enti territoriali, con tutto lesercito 
        di sindaci ed assessori, si ostinano a sperperare energie e risorse in 
        direzione del teatro di rappresentazione inventando rassegne e stagioni 
        in funzione di unidea ed una pratica di teatro che qui non ha radici.
 Eppure non dovrebbe essere difficile capire che se una delle radici profonde 
        della identità salentina è il tarantismo, la forma moderna 
        del tarantismo non può che essere il teatro di partecipazione, 
        il teatro, cioè, che nasce dal rito e si sviluppa nellalveo 
        ossimorico della ritualità laica. Lincaponirsi nel folclorismo 
        patetico della riproposta filologica della pizzica, come nel 
        ridicolo e provinciale modernismo della contaminazione programmata del 
        concerto può trovare una qualche spiegazione nellidea (sbagliata) 
        che i prodotti culturali utilizzabili per sostenere il settore nobile 
        (economicamente) del turismo non possono che essere frattaglie realizzate 
        verniciando il locale con una passata di globale, 
        o il globale con una spruzzatina di locale.
 Forse deve trascorrere altro tempo perché la dimensione culturale 
        e quella politica trovino un punto dincontro dove risulti chiaro 
        che lenergia eversiva del teatro di partecipazione, connessa alle 
        antichissime pratiche di possessione e di trance, è lunica 
        energia sulla quale il Salento può contare se vuole tessere sul 
        telaio del futuro la complessa tela dellinnovazione.
 Oppure, bisogna smetterla con gli appelli alla sensibilità degli 
        esponenti della classe dirigente e affrontare direttamente il nodo della 
        rappresentanza politica.
 Si, perché qui non si tratta di gestire qualche poltrona di una 
        fondazione o i posti di un consorzio; si tratta di costruire una società 
        nella quale le parole di Carmelo Bene:
 NellOccidente dellindustria spettacolarizzata, lesercizio 
        della ricerca teatrale è, quanto meno, istituzionalmente sospetta, 
        soprattutto se (omologazione censoria) addirittura sollecitata 
        dalla maldestra (intollerabile) tolleranza di uno Stato partitocratrico 
        civilizzato che, sulla scorta quotidiana della sua propria rappresentazione 
        politica, non può (e non deve) concepire lo spreco (non 
        è in questione il denaro pubblico) duna produzione-laboratorio 
        a porte chiuse che si nega al consumo. E con laggravante 
        della vocazione, non creino scandalo.
 Daltra parte oggi possiamo affermare che lesperienza del 1974, 
        realizzata dallOdin Teatret e dallOistros a Carpignano non 
        può rimanere confinata nel ristretto ambito del teatro. Il cosiddetto 
        baratto, sperimentando lo scambio alla pari di prodotti culturali, 
        libera il cittadino dalla condizione di spettatore e lo spinge verso la 
        responsabilità connessa alla condizione di attore. Allo stesso 
        tempo spinge lattore fuori dal recinto dellestetica e lo costringe 
        a continuare la sua ricerca nel territorio delletica. Fare teatro, 
        allora, non significa più rappresentare, ma vivere 
        e sperimentare, sottoponendole a tensioni diverse, le relazioni più 
        critiche che si sviluppano tra i membri della polis. Il progetto sotteso 
        allinvenzione della Festa te lu mieru, che, come ha ricordato Barba 
        nellincontro nellaula magna dellUniversità di 
        Lecce, fu interamente ideata e organizzata dai salentini dellOistros, 
        mirava ben oltre lutopia rousseauviana della festa. Attraverso la 
        partecipazione attiva dei cittadini di Carpignano nella fase organizzativa 
        e gestionale e la trovata del palco libero creava una specie 
        di grande laboratorio dove era possibile manipolare il meccanismo 
        della festa, sperimentando percorsi capaci di operare sulla memoria culturale.
 La fondazione Limmemoriale voluta da Carmelo Bene, il 
        corso di laurea in Arte, musica, spettacolo e moda, il fondo DAmico, 
        il Consorzio teatrale pugliese, lattività di teatro stabile 
        dinnovazione di Koreja, il complesso lavoro che si svolge nelle 
        scuole di ogni ordine e grado richiedono capacità organizzative 
        e di gestione, competenze specifiche in grado però di coordinarsi 
        , se non trovano una coerente e convinta rappresentanza sul piano politico, 
        rischiano di costituire lennesima occasione perduta..
 
 
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