Il laboratorio teatrale tra mente, corpo e cervello
di L. A. Santoro, sta in: "In corso d'opera 3" Adriatica Editrice Salentina - 2003

Il testo di Simonov, come il lettore potrà verificare, non è rivolto, almeno in prima istanza, a operatori o studiosi di teatro. E’ lo studio di un neurofisiologo che ha come obiettivo dichiarato quello di verificare fino a che punto il sistema di Stanislavskij possa essere utilizzato in protocolli terapeutici di alcune patologie psichiche. Ma forse proprio per questo può costituire un utile materiale di riflessione sui fondamenti biologici del lavoro del grande maestro russo e, comunque, contribuire a chiarire alcuni interrogativi connessi alle fonti della cultura stanislavskiana.

Ancora una quindicina di anni fa, Fausto Malcovati, nell’introduzione a Il lavoro dell’attore sul personaggio, notava che "il discorso sulle fonti della cultura stanislavskiana è fondamentale e andrebbe fatto con estrema serietà: un lavoro che aspettiamo dai colleghi sovietici, che hanno sotto mano, per esempio, la biblioteca del regista, e, negli archivi, grandi quantità di citazioni, stralci da letture ecc.".

Il lavoro di Simonov, in ordine a questo problema non ci è di molto aiuto.

Il suo taglio è perentorio:

"Per Stanislavskij è scontato il predominio del conscio sull’inconscio. Per molti psicologi idealisti occidentali (per esempio S. Freud), l’inconscio emerge come principale forza motrice delle azioni umane.

Sebbene la coscienza, condizionata dalla vita sociale dell’uomo, reprima in modo artificioso le attitudini istintive inconsce, queste si insinuano attraverso gli ostacoli ad esse contrapposti e si manifestano in tutta la loro potenza primordiale.

L’inconscio, nei lavori di questo tipo di psicologi, è una cosa disorganica, indipendente dall’uomo, inconoscibile. La tendenza di Stanislavskij a ‘pilotare’ l’involontario, a ‘innescare e disinnescare’ di proposito i meccanismi fisiologici involontari (inconsci), dimostra in modo lampante la posizione ideologica e metodologica dell’autore del ‘sistema’. Lo slogan di Stanislavskij : <<Dal conscio al controllo dell’inconscio>> è nettamente contrapposto all’interpretazione dell’inconscio che troviamo nelle opere degli psicologi idealisti.".

Non si pone, pertanto, alcuna questione relativa alla necessità di "una revisione e una uniformazione dei termini più correnti […] a tutto vantaggio della comprensione e della attualità dei testi.", per Simonov, l’uso di termini senza troppa preoccupazione per la loro pertinenza da parte di Stanislavskij, si potrebbe giustificare semplicemente con quanto lo stesso Stanislavskij scrisse ad Angarov, membro della Ceka, nel febbraio del 1937 e che lo stesso Malcovati riporta nella citata introduzione:

"Il mio libro — aveva scritto Stanislavskij - non ha pretese scientifiche. Il mio scopo è esclusivamente pratico. Voglio insegnare agli attori principianti un corretto approccio all’arte […]La terminologia da me adottata in questo libro non è inventata da me, bensì presa dalla pratica, dal linguaggio degli allievi e principianti [La loro terminologia è valida in quanto comprensibile a tutti coloro che si avvicinano all’arte. […] E’ vero utilizziamo anche termini scientifici (incoscio, intuizione) ma li utilizziamo nel senso più semplice, corrente. […] Io non amo gli attori che per mostrarsi intelligenti si occupano di cose di cui non sanno nulla, e si mettono a sentenziare su questioni scientifiche da dilettanti. Che ciascuno si occupi del proprio campo.".

Ma Stanislavskij non si limita a dire soltanto questo. Le altre cose che afferma e gl’interrogativi che pone ci spingono all’interno di un irriducibile paradosso: se la creazione artistica sfugge al dominio della coscienza, come può l’attore procedere <<dal conscio al controllo dell’incoscio>>?

Tutta la lettera del regista ad Angarov è pervasa da due preoccupazioni. Da una parte mira a circoscrivere tutta l’attività teatrale, compreso il percorso di reviviscenza dell’attore, nell’ambito dell’arte. E’ un territorio che autorizza e legittima la convinzione che il processo creativo avvenga anche al di fuori, o indipendentemente, dal controllo della coscienza: "Quando qualche cosa di interiore (l’inconscio) si impossessa di noi, non ci rendiamo conto di ciò che succede. E’ dagli altri che l’attore viene a sapere che cosa ha fatto in scena in quei momenti. Sono i migliori momenti del nostro lavoro. Se ci rendessimo conto delle nostre azioni in quei momenti, non le compiremmo nel modo in cui le compiamo.".

Di passata, possiamo notare che alle stesse conclusioni era giunto Jung in un saggio del 1922, La psicologia analitica e l’arte poetica, pubblicato nel dicembre del 1930 in una raccolta dal titolo Seelenprobleme der Gegenwart: "Fintanto che noi siamo presi dalla forza creatrice, non vediamo e non conosciamo nulla, non ci è concesso neppure di conoscere, poiché nulla è più pernicioso e pericoloso, in quel momento della conoscenza. Per poter conoscere, bisogna uscire dal processo creatore e considerarlo dal di fuori; solo allora esso diviene un’immagine che esprime significati.".

Parrebbe quasi che Stanislavskij abbia utilizzato le affermazioni di Jung riferite all’arte per definire la natura dell’arte teatrale e, in particolare, alla creatività dell’attore.

L’altra preoccupazione riguarda l’accusa di misticismo. "Sono d’accordo con Lei — scrive — che nel processo creativo non c’è nulla di misterioso o mistico e che bisogna parlar chiaro.", tuttavia, conclude "Devo parlare di queste cose agli attori e agli allievi, ma come fare per non essere accusato di misticismo?".

Naturalmente il paradosso non risiede nella pratica teatrale. Stanislavskij sa bene che qualsiasi percorso che si spinge oltre i limiti concessi ad un’attività artigianale — artistica, com’è quella teatrale, rischia d’incappare in un campo minato; sia che entri nel territorio evanescente delle ricerche sulla psiche, che allora appariva saldamente presidiato dagli psicologi idealisti, sia che si sporga nel territorio della psico — fisiologia in cui, proprio l’anno prima la stesura della lettera, era stata scavata la tomba per gli studi di Vygotskij e Lurija sulla relazione fra linguaggio e comportamento.

In realtà la zona della psico — fisiologia dopo qualche anno sarebbe stata meno a rischio poiché molte delle intuizioni e delle ipotesi di Vygotskij saranno riprese da Pavlov nel suo lavoro sul ‘secondo sistema di segnalazione’ e il lavoro dello scienziato dei riflessi condizionati non sarà toccato dalle purghe staliniane.

Al momento in cui scrive la lettera era assai più prudente stare alla larga dalla scienza dell’anima come da quella del corpo e mettersi al riparo della pratica e del buon senso. Per questo, probabilmente, dopo aver riconosciuto che nel processo creativo non c’era nulla di misterioso o mistico e che l’attore doveva sapere che era opportuno parlar chiaro, chiedeva al suo interlocutore di convenire sul fatto che: "nel momento della creazione, di fronte alla ribalta illuminata e alla folla di migliaia di spettatori, penso se lo possa anche dimenticare.". In altre parole, quello che emerge dagli scritti, ma soprattutto dai comportamenti di Stanislavskij, è una grande pignoleria nel lavoro con gli attori sullo sfondo di un totale eclettismo per gli strumenti e i risultati delle ricerche più disparate nella scienza come nell’arte.

Il testo di Simonov, almeno i due capitoli che possiamo leggere per intero, rovesciano il punto di vista: sono i risultati del lavoro di ricerca del regista che vengono assorbiti all’interno della pratica terapeutica e del campo delle ricerche di neurofisiologia "il metodo di Stanislavskij — afferma con forza Simonov - è di eccezionale interesse per i neurofisiologi moderni. Un’analisi psicologica approfondita delle tecniche elaborate da K. S. Stanislavskij agevolerà lo studio dei meccanismi delle reazioni emotive dell’uomo, la corretta valutazione del problema della "spontaneità" e delle questioni relative alla regolazione corticale delle funzioni vegetative. Dagli straordinari espedienti di un grande artista alla conoscenza dei meccanismi neurofisiologici, alla loro considerazione dal punto di vista della teoria generale della regolazione e, infine, alle "equazioni matematiche delle emozioni" - questo il cammino che si apre davanti ai ricercatori d’oggi.". E che questo programma sia stato portato avanti anche col supporto delle nuove tecnologie, lo possiamo rilevare dai lavori dello stesso Simonov, e dai contributi di altri neurofisiologi russi.

Le conclusioni del neurofisiologo si collocano all’opposto di quelle di Jung e, per altri versi, di Stanislavskij. L’autonomia del campo artistico rispetto a quello scientifico si dissolve: "La mente umana conserva numerosi esempi di come l’occhio acuto di un artista abbia notato nei fatti della realtà circostante nessi e relazioni che solo in seguito sono divenuti patrimonio della scienza. Le basi matematiche delle proporzioni nel corpo umano e nelle opere degli scultori e degli architetti dell’antica Grecia, l’intuizione di Honoré de Balzac sulla circolazione nel sangue di particolari sostanze sinergiche (ormoni), le leggi della percezione del suono e del colore sfruttate empiricamente in musica e in pittura ne sono una conferma convincente. Non ci troviamo forse sulla soglia di un’epoca in cui la scienza e l’arte, sempre più spesso, congiungono volutamente i loro sforzi nella grande opera di utilizzazione di una Natura inesauribile?".

Quello che prima della nostra epoca era separato da un lasso temporale più o meno lungo — l’arte ha anticipato "nessi e relazioni che solo in seguito sono divenuti patrimonio della scienza" — nel XX° secolo si ricongiunge, l’intuizione si condensa immediatamente nell’equazione, le emozioni sono traducibili nello scambio elettrochimico fra le cellule nervose, la reviviscenza è simile all’ipnosi:

"La ricerca sperimentale della reviviscenza scenica ci avvicina alla conoscenza dei meccanismi degli stati nevrotici, mentre il metodo delle azioni fisiche è davvero in grado di arricchire l’arsenale della psicoterapia. Lo studio del metodo di Stanislavskij fa apprezzare in modo nuovo il ruolo motore nei meccanismi di ipnosi. Per sua natura lo stato ipnotico è di gran lunga più simile alla reviviscenza scenica che non al sonno naturale. Poiché le componenti motorie sono assolutamente vincolanti per la realizzazione della reviviscenza scenica, ci preme chiarire il ruolo degli elementi motori nel meccanismo della suggestione ipnotica.".

L’approccio di Simonov sembra dunque orientato a rileggere tutta l’opera di Stanislavskij sullo sfondo della materialismo e della dottrina di I. P. Pavlov e ci sarebbe più di una ragione per giustificare questa scelta. Simonov è uno scienziato che si occupa di neurofisiologia e, nel periodo in cui scrive il suo saggio, nell’Unione Sovietica le idee di Pavlov costituiscono ancora l’ortodossia.

Gli stessi risultati delle ricerche condotte sul rapporto tra cervello e comportamento sembrano suffragare l’ipotesi che il pensiero e le emozioni non esistono se non in stretto rapporto con la dimensione biologica e, pertanto, i meccanismi che li producono sono governati dalle leggi oggettive che governano i fenomeni fisici e biologici. Non ci sono le condizioni di apertura ideologica e nemmeno strumenti adeguati di critica allo scientismo totalizzante per rendere accettabile l’idea che nessuna massa di dati messa a punto dai neuroscienziati può essere sufficiente a spiegare la natura del pensiero e delle emozioni.

D’altra parte, occorre attendere gli anni ’90 per incontrare uno scienziato che propone di "reintegrare la mente nella natura" e si prefigge di trovare "i fondamenti biologici della psicologia", ma riconosce anche che "Forse ciò che caratterizza nel modo più straordinario gli esseri umani coscienti è l’arte — la capacità di esprimere sensazioni e sentimenti in modo simbolico e formale, di convogliarli in oggetti esterni quali una poesia, un dipinto, una sinfonia. I metodi di analisi scientifica non si applicano a quella sintesi di stati coscienti, vincolata dalla storia, dalla cultura, dalla preparazione specifica e dall’abilità, che si concretizza nelle opere d’arte. Di nuovo, questo rifiuto non è mistificatorio, poiché per interpretare questi oggetti e per reagire ad essi è necessario fare riferimento a noi stessi in modo simbolico e sociale. Non c’è analisi esterna, oggettiva — ammesso che sia fattibile — che possa sostituire le reazioni di un individuo e le relazioni di scambio tra individui che hanno luogo entro una data tradizione e cultura..".

A Simonov rimane allora una sola soluzione per salvaguardare le zone eterodosse del lavoro di Stanislavskij (e suo): appellarsi al buon senso e alle effettive necessità dell’attore. Ricorre, cioè, esattamente agli stessi ‘artifici’che aveva utilizzato Stanislavskij nella lettera ad Angarov: "L’attore reciterà meglio e in maniera più convincente se conoscerà i meccanismi fisiologici delle emozioni? Noi crediamo di no. L’attore deve studiare la fisiologia del sistema nervoso centrale? Magari per un ampliamento del suo orizzonte. Ma la moderna fisiologia può e deve dimostrarsi utile per la giustificazione scientifica del programma formativo dei futuri attori, per l’analisi profonda dei fondamenti teorici del mestiere d’attore, per l’elaborazione di una serie di problemi critici e attuali sulla gestione del teatro sovietico.".

E’ una conclusione basata sul compromesso. Da una parte rimane indiscutibile l’idea che il comportamento dell’uomo è il risultato (quindi è determinato) da una sequenza complessa di meccanismi fisiologici che agiscono a diversi livelli del sistema nervoso periferico e centrale. Dall’altra non si esclude (e non si spiega) la possibilità d’innescare e, in certa misura, governare questi meccanismi attraverso stimoli organizzati e finalizzati. In questa prospettiva il testo drammatico costituirebbe per l’attore un progetto di azioni sostenute e motivate da una trama di emozioni tessuta coi materiali della sua esperienza. Ma perché l’attore sia in grado di realizzare quel progetto, è sufficiente che conosca il funzionamento del sistema nervoso centrale? Che cosa comporta il fatto che sappia che le facoltà riflessive e logiche trovano posto a livello di corteccia, mentre emozioni e sentimenti si concentrano nel sistema limbico e gli istinti nella parte più antica del cervello, nell’ipotalamo? Più in dettaglio: che tipo di aiuto può avere se si crea un’immagine mentale di un istinto che migra dal prosencefalo, attraverso l’ipotalamo e il talamo, verso i sei strati di cellule della neocorteccia, mentre il locus ceruleus informa la corteccia, utilizzando come neurotrasmettitore la noradrenalina, dell’arrivo di uno stimolo nuovo e il nucleo peduncolo - pontino del tegmento (PPT), di concerto col telencefalo basale, utilizzando l’acetilcolina, segnalano la rilevanza dello stimolo?

Almeno fino agli anni ‘70 "Sembrava dunque possibile — soprattutto nell’ipotalamo — localizzare centri precisi in corrispondenza di comportamenti determinati", sembrava cioè che le "equazioni matematiche delle emozioni" di cui parlava Simonov fossero a portata di mano. Meglio, a portata di strumenti che promettevano la possibilità di guardare dentro un cervello in vita, in attività. Ma, come abbiamo accennato, le cose sono andate diversamente: lo studio del funzionamento della mente umana ha evidenziato aspetti talmente complessi che né la via psicologica, né quella fisiologica sembrano in grado di esplorare. Basti pensare a nozioni come quelle di memoria, inconscio, coscienza. Ogni tentativo di riduzione topologica, di localizzazione e determinazione di aree e strutture neuronali e comportamentali si è rivelato approssimativo, inadeguato, vano tanto da legittimare il sospetto che oltre le due vie, quella della fisiologia e quella della psicologia, si possa intravedere una terza via, o almeno un sentiero che comincia a prendere forma in mezzo alle pratiche artigianali ‘improvvisate’ da Stanislavskij. Ma su questo ci riserviamo di ritornare.