Io spett-attrice
di Beatrice Chiantera

Sabato 14 giugno. Ore 21.30.
La luna è piena.
Il giardino dello “Spazio Itaca”, nel Quartiere Borgo Pace, è stracolmo fino all’inverosimile. Sta per accadere qualcosa di straordinario.
I 47 “attori”, dietro le quinte, trattengono a stento l’eccitazione. Il silenzio dei circa 300 spettatori, assiepati ovunque, ha del miracoloso.
Rita Bortone (Preside del “Galateo”, Scuola capofila nel Progetto INDIRE che si avvia alla conclusione, questa sera, con lo spettacolo Canto per le radici in fiore. Il lungo viaggio dell’integrazione) e Gino Santoro (responsabile dell’Università di Lecce per “le fasce deboli” e docente di Storia del Teatro e dello spettacolo) fanno gli onori di casa. Parlano, ma io non li ascolto. Il mio cuore e la mia testa sono altrove. Ripercorro anch’io “il lungo viaggio dell’integrazione”. Il “mio” viaggio. La “mia” integrazione.
Questa sera, io non sarò “attrice” sulla scena, insieme a loro. Sarò dentro di loro. Mi sono fatta spett-attrice. E li guardo, mentre si muovono, esitanti, sulla scena. Ognuno di loro racconta un pezzetto di vita. Non sono altro che storie. Le loro (le nostre) storie.
Camminano su di un filo immaginario, a braccia aperte, in cerca di un equilibrio precario. Ciascuno ha un desiderio, che grida, sussurra, balbetta, davanti a noi spett-attori, guardandoci fisso negli occhi.
Vorrei fare la ballerina.
Vorrei essere promosso.
Vorrei essere il Ministro della Pubblica Istruzione.
Vorrei che mio figlio diventasse cuoco.
Vorrei un castello.
Vorrei andare a vivere in città.
Vorrei che mia madre fosse più buona…
Angela, Damiano, Gabriella, Rita, Michael, Serena, Fabrizio…
Il quadro di Bruegel (Giochi di fanciulli) sullo sfondo. Vite vere, per una sera almeno, in primo piano. Vite vere, nello spazio della finzione, chiedono a noi spett-attori di guardare e, guardando, guardarci dentro, ri-flettere…
…la diversità, il rapporto genitori/figli, alunni/insegnanti, bambini/adulti. Uguali e diversi. Insieme.
“Questa sera mi sono sentita piccola e meschina - mi dice una mamma che ha assistito allo spettacolo. - mia figlia avrebbe potuto essere lì con gli altri, questa sera. Sarei potuta esserci anch’io con lei… ma come si fa?! Non c’è mai tempo! E questa sembrava una perdita di tempo! Forse non ci ho creduto abbastanza…”
Mi guardo attorno. Sono in tanti. Tanti genitori, tanti ragazzi, tanti insegnanti. Tante presenze.
Il mondo della scuola, quella con la esse minuscola, quella fatta giorno per giorno, con la professionalità e il lavoro di tanti insegnanti, in cambio di uno stipendio da fame. Il mondo del teatro, quello con la ti minuscola, il teatro che si fa fuori dai teatri. Il mondo dell’accademia, quella con la a minuscola, quella che si fa ricerca e stringe relazioni con il territorio.
E’ strano. Quello che mi colpisce, più delle presenze, questa sera, sono le assenze. E qui, questa sera, il mondo della sanità è assente. E scopro all’improvviso, questa sera, che sono felice di questa assenza.
La presenza del medico, dell’operatore sanitario, non si giustifica forse ed ha senso solo quando c’è un paziente, un malato? E qui, questa sera, è davvero accaduto un fatto straordinario. Qui, questa sera, non ci sono malati.
Qui, questa sera, si è realizzata, per davvero, l’integrazione partecipata.
Sabato 14 giugno. Ore 22.30.
La luna è piena.
Non ho mai visto attori come questi! Invece di inchinarsi agli applausi del pubblico, si abbracciano. E sorridono e piangono.
Non ho mai visto spettatori come questi! Battono le mani. E sorridono e piangono.
Sono davvero tutti matti!

 

La normalità resa struggente

Può essere la vita paragonata alle scene colorate di un carillon?
Probabilmente si, almeno questa è la percezione che ho avuto osservando la preparazione e lo spettacolo “ Canto per le radici in fiore. Il lungo viaggio dell’integrazione”, diretto da Antonio Viganò, col quale si è concluso, sabato 14 giugno, presso lo spazio ITACA, il progetto MPI – INDIRE dal titolo “Per una integrazione partecipata: quale teatro?”
Il progetto ITACA, ci ha detto Gino Santoro, delegato del Rettore per i problemi della disabilità, nasce dalla collaborazione fra il nostro Ateneo e il Comune di Lecce e utilizza il teatro sociale come strumento privilegiato nella realizzazione di attività formative che vedono insieme ‘normali’e ‘diversi’.
Il fatto che il Progetto INDIRE in cui erano coinvolte oltre all’Università di Lecce, la Scuola Media “Galateo”, la Scuola elementare “L. Tempesta”, l’Istituto superiore “G. Deledda” e la ASL Lecce 1 si sia concluso nello spazio “ITACA” è stato un forte segnale a favore dell’integrazione nell’Anno Europeo delle persone con disabilità.
Lo spazio “ITACA”, nel corso dell’intera settimana, ha visto la partecipazione attiva di centinaia di studenti dello STAMMS ( Il corso di laurea in Scienze Tecnologie Arti Moda Musica Spettacolo) e di tantissimi abitanti del quartiere leccese Borgo Pace, quasi a dimostrazione di come, attraverso un teatro di partecipazione, è possibile creare opportunità inedite di collaborazione fra persone diverse.
Vite che s’incontravano, apparentemente distanti le une dalle altre e prive di ogni denominatore comune, ma che s’intrecciavano formando la trama della storia di una piccola, ma straordinaria comunità.
Scene e immagini che si susseguivano e si rincorrevano, che si arricchivano man mano, grazie all’interazione tra le azioni degli attori professionisti che re – citavano e gli attori studenti – insegnanti – genitori che riattraversavano le loro esperienze di vita ‘vera’, raggiungendo più volte vertici di straordinaria emozione artistica.
Scene di vita quotidiana, della “normalità” del vivere, scandite dal tempo e dalla melodia di una musica a volte dolce, a volte struggente.
La realizzazione delle iniziative dell’intera settimana, e in particolare di questo spettacolo, è la prova di come i pregiudizi limitino soprattutto coloro che li sostengono, prima ancora che i soggetti verso cui sono rivolti.
Infatti tutto si è svolto in un clima sereno e di collaborazione reciproca, dove ognuno è stato partecipe dell’esperienza dell’altro; il tutto arricchito dalla creazione d’immagini fantastiche e colorate, tipiche del mondo infantile di oggi e messe a confronto con quelle del quadro di Bruegel, “Giochi di fanciulli”.
Giochi come “la cavallina” (qualche “brivido” è corso lungo la schiena di alcune mamme, vedendo i loro piccoli in equilibri precari), la “pignata” sono diventati dopo il lavoro di Viganò e di alcuni attori della compagnia “La ribalta” vere e proprie coreografie.
Sono rimasta molto colpita dalla coscienza della percezione del proprio corpo nello spazio e del ritmo da parte di soggetti anche gravemente handicappati.
Se questo modo di fare formazione, invece di costituire un fatto straordinario, diventerà una costante, almeno del nostro Corso di studio, io credo che occorrerà informare anche le altre università perché la possibilità di seguire percorsi come questo venga offerta ai giovani di tutta l’Europa.
Rossana F.

 

Come per magia

Un mondo nuovo, speciale, quello in cui siamo stati coinvolti. Una rappresentazione che sembrava nata dal nulla, messa in scena grazie alla tenacia del regista Antonio Viganò e dei suoi collaboratori, gli attori del gruppo teatrale “La Ribalta”; ma soprattutto grazie al lavoro di tanti bambini, insegnanti, genitori.
Un ambiente di totale integrazione, in cui non c’erano “diversi”, in cui ogni bambino valeva quanto il suo insegnante, in cui ogni esperienza era condivisa con gli altri.
Quando abbiamo iniziato, non c’era un testo già pronto, da imparare, ma solo un’idea, da cui pian piano doveva nascere qualcosa. E così, come per una grande magia, noi che non eravamo attori ma burattini vuoti, abbiamo preso vita sulla scena, guidati dalla forte energia dei nostri compagni. Pezzo dopo pezzo, come in un grande puzzle, lo spettacolo ha preso vita.
I bambini, coinvolti totalmente da questa esperienza, durante le prove hanno essi stessi proposto soluzioni o possibili spunti, accettati, spesso e volentieri, con molta modestia dal regista, che inserendoli nel suo lavoro ha reso tutti noi ancora più partecipi e coinvolti in quello che stavamo facendo.
Non sembrava (quasi) un ambiente di lavoro, ma piuttosto un ambiente di gioco, in cui un sorriso donato agli altri non mancava mai.
Non era un corso di teatro che aveva come risultato finale uno spettacolo, ma un’esperienza bellissima, un’esperienza di vita, in cui nessuno di noi aveva un ruolo preciso, se non quello di condividere con gli altri errori, problemi, soddisfazioni e soprattutto emozioni.
E tante sono state le emozioni che hanno attraversato il gruppo in questi giorni: sia durante le prove, che, naturalmente, la sera dello spettacolo. Non solo la classica tensione pre-spettacolo dietro le quinte, ma anche e soprattutto tanta energia, che spero abbiamo trasmesso anche al numeroso pubblico.
E. B.

 

La comunità in vita

si dice mettere in scena e se invece dicessimo "mettere in vita" per rilanciare una buona idea espressa tempo fa da Marco Martinelli del Teatro delle Albe? Si, il teatro può arrivare a doppiare la sua condizione originaria di simulazione per ritrovarsi a far accadere la vita di chi vive quell'opportunità per esprimere la propria condizione vitale. E' una questione di verità e di energia pura. E' quello che è accaduto quella sera ad Itaca: in quel gruppo che agiva nel giardino c'era la vita condivisa in quei giorni di prove febbrili ed eccitanti. C'era una comunità che si metteva in vita.
Carlo I.

 

Il sapore delle emozioni

Più passano i giorni e più ho consapevolezza di essermi “arricchita” e di aver avuto voglia di farlo. Vorrei poter trovare le parole giuste per raccontare le emozioni vissute!
Mi sembra di custodirne il “sapore”.
Non ho voglia di scrivere più, ho voglia di cantare un “Canto per le radici in fiore” che ora ho qui, nel mio cuore, mi appartiene… per sempre.
Dietro le quinte quanta trepidazione, ansia, complicità, condivisione, abbracci.
Poi con calma fredda, composta, si entra in scena con dentro un tumulto di sensazioni, percezioni, forti emozioni, grandi sentimenti.
La magia del “momento” è palpabile… mi sento un’unica cosa con gli altri.
E poi?! E poi l’esplosione di gioia e la voglia di “parteciparla” anche agli altri, con commozione.
Ad Antonio, Filippo, Micaela, Giulietta, Joseph, Giorgio, Fausto semplicemente Grazie!
Gabriella A.

 

Perchè non ridono?

Partono in missione, si staccano dal gruppo con delle piccole torce elettriche ed un cartello con un disegno al collo. E' il quadro di Bruegel (proiettato anche in macro sulla parete di pietra leccese) che ha ispirato l'intero progetto, "Jeux d'Enfants". C'è una piazza affollata di bambini che gioca decine di giochi diversi, una sorta di campionario dei giochi infantili. Ma i bambini in missione tra gli spettatori delle prime file pone una domanda rivelatrice ed inquietante: "perchè non ridono?"
Carlo I.

 

Catena esistenziale

“Catena esistenziale”, coinvolgimento emotivamente intenso, profondo, per averla vissuta visivamente. Assoluto è il bisogno che l’uomo ha dell’uomo. Ognuno deve mettere in campo il proprio bagaglio di ricchezza interiore e le proprie peculiarità per il superamento delle problematiche della vita.
Giuseppe M.

 

Come in un cerchio magico

Le luci si spengono, la musica si diffonde ed incomincia la magia. I personaggi che animano la scena, adulti e bambini, si muovono e parlano come fluttuando in un sogno. Emozioni profonde mi fanno sentire come racchiusa in un cerchio magico.
Celeste M.

 

La ronde

Come un girotondo (la ronde) non contro qualcosa ma per il desiderio d'esserci e di giocare. Lo spettacolo s'apre con uno straordinario piano sequenza, a decine (sono cinquanta in scena!) scorrono davanti alla parete di pietra leccese della palazzina di Itaca, vanno e rivanno (appena dietro l'angolo corrono per risbucare di nuovo). Per minuti e minuti sul suono di una bella ballata ci scorrono davanti con tutta la loro umanità, le loro facce, i loro tic, i passi incerti, i sorrisi, gli ammiccamenti. La ronde del teatro fatto di niente se non dei corpi e delle anime che lo abitano.
Carlo I.

 

Se si vuole, si può…

Sabato 14 giugno, uno spettacolo davvero insolito.
Canto per le radici in fiore
Le luci si accendono e… il viaggio della vita comincia .
È un ritmo frenetico, ciascuno procede, da solo o in compagnia.
Strade tracciate dove sembra che tutti debbano camminare con lo stesso passo, dove ciascuno porta con sé i propri sogni inespressi.
Poi i ritmi ripetuti in modo ossessivo esplodono in un entusiasmo di luci, movimenti, suoni, colori.
E la scena si accende.
È il momento in cui esplode irrefrenabile la fantasia, è il momento in cui ciascuno si abbandona e fa quello che vuole…
Un muro, alle spalle, si anima, anch’esso diviene partecipe, attivo, suggestiva “scenografia.”
Straordinari i piccoli attori.
Se sui visi di alcuni non fosse stata chiaramente scritta la loro diversità, gli spettatori sarebbero stati “ingannati”.
Come docente sono rimasta sbalordita nel constatare che cosa sono stati in grado di realizzare gli “attori”, con quale maestria sono riusciti a mantenere il ritmo di uno spettacolo che solo occhi inesperti possono giudicare semplice, uno spettacolo nel quale anche il silenzio parlava, sottolineato dai gesti di bambini e ragazzi che sembra non debbano mai reggere il passo con gli altri.
Eppure sono riusciti a mantenere i ritmi con gli adulti, con tutte le particolarità che ciascuno di essi rappresentava, con le luci , la musica e quant’altro.
E non c’è stato un solo momento di sbandamento, di incertezza da parte loro. Come attori provetti hanno calcato la scena in modo sicuro, disinvolto.
È come se avessero voluto dirci: “ Che cosa credevate, che non ce l’avremmo fatta? Eravate venuti qui timorosi di assistere alla nostra caduta? Ebbene godiamoci insieme il nostro trionfo!”
Perché proprio di un trionfo si tratta. Questo spettacolo è la dimostrazione lampante che se si vuole si può… si può rendere la scuola più vitale, più umana, più consapevole che, al di là delle parole, l’integrazione è possibile, basta saper scegliere la strada giusta.
Luciana S.

 

Riflettere, spontaneamente

Abbiamo trovato lo spettacolo intrigante e coinvolgente dal punto di vista emotivo.
Ha suscitato una sincera emozione in tutti gli spettatori.
Significativo è stato il coinvolgimento nello spettacolo di ragazze e ragazzi, insegnanti, attori, bambini disabili, che, in maniera del tutto spontanea, ci hanno fatto riflettere sul tema dell’educazione.
Arianna e Gianluca M.

 

Non è stata una “recita”

Ho accettato di assistere alla “recita” per far piacere ad un’amica; mi aspettavo il solito spettacolino di ragazzini che in realtà piace solamente ai genitori dei giovani attori.
Ho assistito invece ad uno spettacolo, fatto di suoni e di gesti, coinvolgente e interessante. Sconvolgente.
Molto intrigante la “partecipazione”all’azione teatrale della facciata dell’edificio (una vecchia scuola elementare) e, per me, particolarmente suggestiva la musica e la scena iniziale: quello scorrere delle persone e del tempo che, pur corrispondente alla realtà, mi è parsa rappresentata con grazia ed armonia.
… e questo senza entrare nel merito dei contenuti e dei simboli utilizzati per parlare di problematiche sociali e di relazioni.
Nicoletta C.

 

Far bene alla vista

Spettacolo di indubbio interesse, da cui risalta, con tutte le sue contraddizioni, una perfetta integrazione dei ruoli tra genitori e figli, insegnanti e alunni.
Sapiente regia, felice scelta dei tempi , simbolismi, danze, musiche ben amalgamate che rendono la rappresentazione molto gradevole, fa bene alla vista, consigliato ad occhi sensibili di grandi e piccini.
Sicuramente meritevole di un pubblico più vasto e di una rappresentazione scenografica più consona al livello dello spettacolo.
Tonino M.

 

Gesti e volti che raccontano

Ho visto uno spettacolo vissuto, non recitato.
Più delle parole hanno raccontato i gesti, i movimenti, le azioni, i volti, i vestiti leggeri e ondeggianti delle donne, i silenzi e… il fragore di una frase urlata da cinquanta voci.
Sulla scena… tante storie in una fila.
Tra il pubblico… tante emozioni in ciascuna persona.
Qualunque sia il nostro ruolo nella vita, genitore, insegnante, amico, fratello, spettatore, ci avete teso una mano e tirati con forza e con delicatezza.
Siamo ormai con tutti voi, dalla vostra parte.
Alba P.