La parte nel tutto, il tutto nella parte

Il cuore dei significati sta nelle relazioni, non nei singoli elementi.
Guardare alle relazioni piuttosto che ai singoli elementi comporta un capovolgimento culturale, una modalità diversa di approccio e di comprensione delle persone e delle cose, dei comportamenti e degli atteggiamenti, dei fenomeni e dei saperi.
La scuola cita Morin e recita parole di approcci sistemici e visioni solistiche della realtà, ma conserva sguardi molecolari, frammentati, angusti.
L’unità del sapere è obiettivo enunciato, ma non perseguito. Le discipline sono ancora enciclopedie di fatti, più che strumenti per interpretare la realtà, e “le idee fondamentali che stanno al cuore delle scienze” stentano ad emergere dalle pagine dei manuali e a fornire concrete chiavi di lettura di una realtà sempre più interconnessa e complessa. La lingua resta oggetto dell’insegnante di italiano, il problema è dell’insegnante di matematica, la tecnologia dell’insegnante di Tecnica. La fame di senso dei nostri ragazzi, la fame di relazione, le domande su sé e sul mondo, restano insoddisfatta dai saperi divisi. Il bisogno di partecipazione è svilito, non potenziato, dalla scuola. La voglia di partecipazione, d’integrazione, stanno nel sapere agito, che è sapere funzionale e integrato, non in grammatiche disciplinari autoreferenziali.
La scuola sembra ancora non aver chiaro che il sapere della scienza è diviso per comodità di studio e ricerca, ma la risoluzione dei problemi veri, teorici o pratici che siano, richiede l’integrazione, non la separazione dei saperi. Il sapere agito è unitario, e chi non sa trasferire, includere, legare, chi non sa guardare al frammento come a una parte del tutto e non sa scoprire il tutto che c’è nel frammento, resta con la sua fame di senso insoddisfatta. Le teste dei nostri ragazzi sono piene di dati, di regole, di eventi, ma nessuno gli insegna a connetterli per porre problemi e tentare risposte.
Eppure è questo che attiverebbe la loro motivazione, la loro partecipazione, il loro scambio.
Gli insegnanti possiedono ciascuno la sua materia, l’orario delle lezioni è organizzato per materie, i manuali contengono pezzi di materia. Il manuale della realtà e della vita non può esistere. “Tutta la vita è risolvere problemi”: la scuola magari li cita, i Popper e i Morin, ma gli steccati disciplinari le impediscono di muoversi in risposta alla consapevolezza che il sapere agito, il sapere funzionale sono unitari, che ciò che provoca la mente è il problema, che ciò che lo risolve è la capacità di connessioni. E si rifiuta ancora di capire, la scuola, che saper scrivere è molto di più che saper usare le strutture linguistiche, e va ben oltre l’insegnamento dell’italiano; che interpretare un quadro è un problema anche se non c’entra con la matematica, ed è operazione che va ben oltre la conoscenza delle tecniche di decodificazione; che un forum di discussione è prodotto tecnologico, ma nessuna disciplina può insegnare a parteciparvi.
La scuola parla parole di interdisciplinarità e trasversalità, di competenze e spendibilità, ma non riesce ancora a vedere i nodi che attraversano le discipline e i problemi che le inducono a connettersi. Recita le parole del sapere saper fare saper essere, ma non riesce a guardare a Pierino come parte di un tutto che lo include e lo determina dall’esterno, e come parte nella quale quel tutto si esprime significando la sua globalità interna.
La settorialità dei suoi saperi, la linearità dei suoi insegnamenti, la dominanza dell’interesse per i significati logici più che per quelli psicologici, la miopia e la molecolarità dei suoi sguardi ai mondi del sapere, dell’essere, del comunicare, la allontanano pericolosamente dai bisogni della società e delle persone.
Una scuola della partecipazione e dell’integrazione ha visioni culturali sistemiche e approcci olistici alle dimensioni scientifiche, sociali, personali.