| Quando il teatro nasce a scuola   Lo spazio è quello dei Cantieri 
          Teatrali Koreja, a Lecce. Questa sera, alle 19,30, il laboratorio teatrale 
          della scuola media “Antonio Galateo porterà in scena “Piccoli 
          profughi”, uno spettacolo prodotto dagli alunni, con la collaborazione 
          dell’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo della 
          Facoltà di Beni Culturali dell’Università di Lecce. Un’esperienza singolare nel 
          panorama generale delle manifestazioni di fine anno scolastico, periodo 
          in cui nelle nostre scuole si moltiplicano le iniziative teatrali, sorta 
          di saggi, come si faceva una volta, che le scuole vogliono offrire al 
          pubblico, a dimostrazione dell’efficienza e della bravura raggiunte 
          dai discenti. Queste manifestazioni sono anche 
          un’occasione di divertimento, un modo per chiudere l’anno 
          in bellezza e in allegria, da condividere, una volta tanto, con le famiglie 
          degli alunni e le autorità scolastiche. Che cosa rappresentino i  ragazzi in queste occasioni è presto detto: un po’ 
          di Goldoni, Pirandello, qualcuno si spinge fino a Shakespeare, altri 
          ripiegano sul teatro dialettale o sul repertorio classico. Un paio d’anni fa ci gustammo 
          un Plauto tradotto in dialetto leccese, dagli alunni di un liceo scientifico. 
          Non male.  Giorni fa, un racconto di Tommaso Fiore, 
          “Il cafone all’inferno” adattato per le scene da una 
          scuola media di Taurisano. Un’operazione ardita, a pensarci o 
          quanto meno originale. Ognuno sceglie il suo testo e lo 
          inventa come può. Ma il fatto è che non si esce dall’ambito 
          della filodrammatica. Il teatro nelle scuole leccesi, salvo rare eccezioni 
          è filodrammatica. Non è ancora maturata una concezione 
          del teatro come ricerca, come conoscenza di sé e degli altri, 
          come scoperta dei propri limiti corporei e psicologici, come superamento 
          dei pregiudizi, schemi, chiusure mentali, stereotipi, come liberazione 
          delle proprie potenzialità nascoste. Quello che è stato 
          una conquista della ricerca teatrale del ‘900, da Stanislavskij 
          a Grotowski, a Barba, a Bene, non è ancora entrato nella nostra 
          scuola.. peccato, perché è soprattutto in questa accezione 
          che il teatro può assolvere a una funzione altamente formativa. Eppure sono anni che nel nostro 
          territorio agiscono forze teatrali d’avanguardia, molto attrezzate. 
          Ci sono cose che una scuola ormai vecchia non può fare e che 
          invece riesce a fare il teatro. Poco tempo fa venne a Lecce Richard 
          Olivier, figlio del grande Lawrence, e tenne un work shop con studenti 
          e insegnanti di varie scuole. Fu prodotto un video. “Teatramando” 
          che spiega come il teatro sia un percorso individuale e collettivo, 
          liberatorio e affascinante, prima ancora di diventare spettacolo; come 
          vadano superati i pregiudizi riguardo allo spazio scenico, non più 
          e solo all’italiana, bensì suscettibile di espansione e 
          inediti coinvolgimenti degli spettatori. Promosso dagli insegnamenti 
          di Storia del teatro e dello spettacolo e di Storia e critica del cinema, 
          della locale Università, in primo luogo, “Teatramando” 
          è uno dei tanti interventi che il responsabile, Luigi A. Santoro 
          va compiendo da anni in direzione del rinnovamento delle attività 
          teatrali soprattutto nelle nostre scuole. Fu anche stilato un protocollo 
          d’intesa tra Provveditorato agli Studi e Facoltà di Beni 
          Culturali, per un’iniziativa a largo raggio, cui avevano aderito 
          i tanti gruppi teatrali presenti sul territorio. Ma è rimasto 
          lettera morta. Eppure esiste una circolare del Ministero della Pubblica 
          Istruzione che raccomanda l’inserimento delle attività 
          teatrali nelle scuole italiane. “Piccoli profughi” 
          è uno dei pochi esempi di spettacolo costruito su questi presupposti: 
          c’è la collaborazione esterna di una studentessa e di una 
          laureata della Facoltà di Beni Culturali, insegnamento di Storia 
          del teatro, Titti Dollorenzo e Benedica Giulio; c’è la 
          scelta consapevole della preside della scuola “Antonio Galateo”, 
          Rita Bortone, di creare un laboratorio teatrale, la professionalità 
          dei docenti di sostegno, Beatrice Chiantera, Francesca Pantaleo, Rosa 
          Favilla, na c’è anche di più. “Piccoli profughi” 
          è un montaggio di materiali multimediali, frutto del lavoro scolastico 
          svolto con gli alunni, tra i quali sono presenti soggetti disabili e 
          in vario modo “disagiati” chi per impedimenti fisici, chi 
          per turbe emotive o conseguenti ad alterazioni del nucleo familiare, 
          infine ragazzi albanesi, giunti anche loro, come i genitori, sui gommoni. Sono le storie raccontate da questi 
          soggetti a dare lo spunto per uno spettacolo, di sicuro impatto emotivo. Storie che opportunamente sono 
          state raccolte in un volumetto ciclostilato, che si spera possa interessare 
          quanto prima un buon editore. L’iniziativa organizzata 
          presso la scuola media “Antonio Galateo” ha avuto anche 
          l’adesione del Distretto scolastico provinciale n.36 e quella 
          di Quotidiano.     Scrivere e recitare per crescere 
          insieme   “Teatro a scuola? Credo che 
          nella nostra scuola esistano vari elementi che hanno consentito la realizzazione 
          di un Laboratorio teatrale”,  
          spiega la preside della scuola “Galateo” di Lecce, 
          istituto che ha organizzato la messinscena di “Piccoli profughi”, 
          “si tratta di elementi relativi alla vocazione e agli obiettivi 
          della scuola stessa e alla presenza di persone con interessi specifici 
          e professionalità adeguate. Il nostro alunno è una persona 
          globale, che si nutre contemporaneamente di cognitività e affettività, 
          di saperi e di relazioni. Siamo consapevoli che l’apprendere e 
          lo stare bene non sono momenti diversi dello sviluppo, ma viaggiano 
          in sintonia.  Accanto al 
          sapere formale, ci sono le attività espressive, ludiche, integrative, 
          che promuovono la scoperta e la liberazione del sé, la dimensione 
          relazionale e affettiva, il piacere dello stare e del crescere insieme, 
          con gli altri e attraverso gli altri”. Come nasce “Piccoli profughi”? 
           “Nasce sulla base di un’idea 
          iniziale di Beatrice Chiantera, il viaggio come metafora della vita 
          e della ricerca di sé, un’idea che si è andata articolando 
          e si è arricchita delle esperienze raccontate dai ragazzi, dal 
          confronto fra gli insegnanti che hanno condiviso l’esperienza 
          della formazione e della animazione, delle letture scelte, e dei testi 
          scritti dai ragazzi e via via messi insieme, a volte spontanei, a volte 
          guidati. E poi c’era l’intenzione di offrire percorsi di 
          crescita a ragazzi che le circostanze della vita hanno reso meno uguali 
          degli altri, ma che dagli altri e con gli altri hanno potuto raccogliere 
          pezzi di gioia, di emozione, di conoscenza.” E’ stato facile lavorare 
          in questo modo? “Un elemento favorevole credo 
          sia stato il clima di lavoro nel quale ci troviamo ad operare: un clima 
          esigente e libero insieme, dove il rigore dei metodi e dei risultati 
          attesi è vincolo professionale del singolo o del gruppo, ma senza 
          mai burocratizzarsi. Un clima di riconoscimento delle competenze individuali 
          da parte del gruppo e di crescente abitudine al lavoro in team.  
          Un cl,ima che consente a ciascuno di spendere le proprie competenze 
          col massimo di impegno e insieme col massimo di piacere e di gratificazione. 
          E’ chiaro che attività come queste richiedono una cultura 
          della flessibilità: di tempi e di spazi, di utilizzo congiunto 
          di risorse interne ed esterne, di relazioni positive co territorio per 
          un utilizzo efficace delle diverse risorse in esso presenti, come l’università, 
          il distretto scolastico, Koreja…”. Il teatro a scuola… “Il senso del teatro nella scuola dell’obbligo è quello che richiama un teatro inteso come costruzione e ricerca di sé, come elaborazione di un copione tratto dalla propria vita, più che improbabile, e spesso mediocre, recitazione di copioni d’altri. Perché iniziative simili abbiano un senso e un risultato, occorrono docenti non solo in possesso di competenze specifiche, ma anche capaci di mettersi in discussione e di giocare essi stessi sul proprio ruolo.” | ||