theatron: luogo dello sguardo
 
26.03.01 "de profundis" una ballata
per oscar wilde

 

Sofri e Wilde. Dal pensiero in carcere ad un’operina da camera (da cella)

Serata densa ed intensa al teatro Perempruner, con un evento teatrale, una conversazione in video con Adriano Sofri e una tavola rotonda che gira intorno alle problematiche del carcere e delle relative “vite sospese”.

 

 

Sofri si misura con il testo di Wilde e lo traduce nella sua esperienza, rilevando quelle condizioni estreme del corpo che in carcere arrivano anche all’autoferimento per legittima difesa. “Ci si fa male - dice - per non farsi far male”.
L’immagine che suggerisce è terribile, rende l’idea di quell’abisso di violenza che spossessa un uomo del suo bene più prezioso, il proprio corpo. E il suo tempo, la sua vita. Parla dei chilometri che fa di notte andando su e giù nei pochi metri quadri della sua cella. Una vertigine nello spazio. Il suo annullamento (dello spazio) nella coazione a ripetere di passi che attraversano lo spazio, sognando quello negato. Confessa che nei sogni (quando si ha la fortuna di dormire) c’è la migliore risorsa in cui attingere, e in prossimità logica riconosce che anche nel teatro emerge in carcere la straordinaria opportunità di vivere vite che altrimenti sono sospese, negate. Riconosce finalmente quelle potenzialità del teatro come forza generatrice di vita, affermazione che mai avrebbe fatto anni fa.
Ricordo ancora, all’interno del giornale “Lotta Continua” (su cui scrivevo di teatro già dal 1978) certe discussioni sommarie sul teatro di ricerca che io mi ostinavo a segnalare, rilevandone proprio la potenzialità vitale in periodi (erano gli “anni di piombo”) in cui la tensione creativa, l’energia viva di una generazione di ventenni-trentenni sconfitti, sembrava naufragare “contro gli scogli della vita quotidiana “ (Majakovskij). Sofri nella sua solitarietà ci fa pensare. E’ la sua qualità, la sua vocazione.
E penso di nuovo allo spettacolo che abbiamo appena visto.
Il corpo di Oscar Wilde in quel carcere evoca le figure pittoriche e patologiche di Francis Bacon. E’ la cornice stilizzata di un cubo in acciaio a trasmettere l’idea della prigione e allo stesso tempo quella delle cornici in cui Bacon rinchiude le sue figure malate d’alterità (la stessa visione la rileva Francesco). Il De Profundis di Verdastro-Scarlini si presenta come un’opera algida, nonostante il dramma di un dandy piombato nel carcere per colpa delle “debolezze” del suo corpo, colpevolizzate dalla società vittoriana. Una figura danza e canta per contrappunto, in una combinazione di siparietti d’alta qualità che tendono però a rarefare qualsiasi tensione, azzerando ogni pathos possibile, componendo il tutto in un’operina da camera (da cella), assolutamente ben interpretata ma senza cuore, scissa, intellettuale. (carlo)

La perdita d’innocenza del Novecento

Non si può scrivere o parlare subito dopo lo spettacolo: tutto è troppo confuso, mescolato, indistinto,ingarbugliato. Scrivo con la lucidità malata delle otto del mattino, chiuso nello scatola plumbea del cielo.
Ho letto "De profundis" a diciotto anni, credo, e non ho mai dimenticato una frase: "tutto ciò che è compreso è giusto".
Mi ritornava in mente ieri sera: e se la vera giustizia fosse la comprensione e non la sanzione ? Se il giusto coincidesse davvero con la tensione intellettuale ?
Cambio punto di vista: Wilde nella gabbia esistenzialista di Francis Bacon.
Geniale.
Ma se in Wilde la degradazione del corpo coincide con la spiritualizzazione dell'anima, in Bacon non resta che il corpo, la sua deformazione, il suo orrore. Sulla scena appare, senza dirlo, la perdita d'innocenza del Novecento. (francesco)

Chiuso in un non-spazio

Sulla scena un cubo metallico che riproduce, stilizzandole, le fattezze di una cella. Wilde rinchiuso in un non-spazio si racconta interrotto solo da canti, vocalizzi, grida di una presenza femminile.
Dopo lo spettacolo la video intervista a Sofri mi ha gelato il sangue.
La concretezza del suo racconto rendeva visibile, quasi messa in scena, una serie di sensazioni, di azioni quotidiane: i chilometri percorsi (avanti, indietro, avanti, indietro...) nei pochi metri della cella, di notte. Il sogno come unica e vera fuga dall'opprimente reale circonstanziale, dall'obbligo di non vivere.
Il dibattito non sono riuscita a seguirlo, la testa pulsava di sensazioni e rumori. (Chiara)