theatron: luogo dello sguardo
 
13.02.01. Su “Acido Fenico”

 

Massimo rispetto

C’è un modo di dire proprio della cultura hip-hop (si, cultura, c’è qualcuno che ancora pensa che la cultura riguardi più le estetiche che le antropologie?); è quasi un saluto, un codice che esprimeva qualcosa di preciso: “massimo rispetto”.

 

 

Un modo di dire che può far venire in mente a qualcuno quei comportamenti vagamente mafiosi che provengono da arcaiche forme di cortesia barocca se non esplicitamenhte gerarchica. Il “massimo rispetto” hip-hop si sgancia da quell’origine, si inscrive in un linguaggio-comportamento che negli ultimi vent’anni ha segnato le nuove generazioni che esprimono antagonismi senza più ideologismi. Si ammanta di una sorta di “etica guerriera” che di fatto sdrammatizza l’aggressività, come sostiene Eibensfeldt all’interno della mia ricognizione teorica su “la lingua della violenza”. Tutto questo trova uno sviluppo ancora più interessante quando si da’ maggior (miglior) forma all’informale energia ribelle che le nuove generazioni si portano dentro. Questa miglior forma è generalmente la musica ma in questo caso riguarda il teatro. Quel massimo rispetto è quindi per Koreja che ha trovato il modo di coinvolgere il Sud Sound System in un vero e proprio ruolo teatrale e uno scrittore autorevole, nonchè magistrato simpatico, Giancarlo De Cataldo, per uno spettacolo capace di far pensare. Non a caso a partire da questo spettacolo si svolgerà anche una tavola rotonda all’Università di Torino che sta raccogliendo anche buone attenzioni. Finalmente si entra nel vivo di quella complessità culturale che sta alla base di questo progetto, si sviscera l’idea stessa di “teatro e impegno civile”, partendo da “Acido Fenico” per arrivare a parlare di ciò che Motor definisce il “gangsta style”, di ciò che riguarda l’informazione biochimica del nostro essere spettatori in tensione, ovvero l’adrenalina, come ci fa notare Pat, o di quel “recinto di indifferenza” che di fatto genera la violenza come ha colto Alessandra. (Carlo)

Edutainment e hip hop

Una delle buone cose che accadono quando si ragiona con gli altri, quando ci si scambia un pò di quell’energia bella, mentale e amicale, è che puoi trovare le conferme di idee che ti ronzano da tempo per la testa. E’ successo all’incontro su la lingua della violenza che abbiamo fatto all’Università di Torino, in un’aula magna di Lettere affollata (più di trecento ragazzi!). E’ successo che Pierfrancesco Pacoda vi ha rilanciato quel concetto di “edutainment” (di cui parla anche nel suo “Hip Hop italiano” uscito per Einaudi) sul quale ruolo da tempo (cristo! ci ho fatto anche un libro... ). E’ una parola strana, nuova, per cui s’intende che dietro l’esperienza ludica e creativa si rivela una tensione educativa che può formare: dare forma a ciò che informale e involuto. L’hip hop è infatti quel codice, quella forma, quel comportamento, quella lingua che riesce ad emancipare una condizione giovanile che usa la violenza per comunicare con il mondo. Sparare parole come proiettili: colpendo i bersagli giusti. Il senso comune. Nello spettacolo “Acido Fenico”, l’hip hop-ragamuffin del Sud Sound System si colloca alla perfezione nella storia che ha scritto Giancarlo de Cataldo, altro straordinario esempio di come un atto creativo, drammaturgico, possa far pensare, riflettere, educare giocando, partecipando al teatro. Un grande evento, importante. Lo avevo capito subito quando lo vidi questa estate a Polverigi. E pensai a quanto, uno spettacolo come questo, possa combinare di buono se fosse visto dai ragazzi delle scuole, in particolare quelli che non pensano minimamente al teatro. Oggi ho saputo che “Acido fenico” è tra le nomination per il Premio Stregagatto, l’oscar del teatro per ragazzi in Italia. Wow. Un altro nodo arriva al pettine. (carlo)

Una voce calda tra voci calde

Sono andata a vedere Acido Fenico. Distratta.
Lo spettatore conserva il diritto di essere distratto, no?
Allora descriverò quello che uno spettatore distratto seduto lontano dal palco ha visto e sentito.
Visto poco.
Sentito qc di più.
Ho sentito la voce del protagonista, la voce di un uomo caldo che ha parlato di sé.
Quello che mi è piaciuto di più è stato il racconto dei “troioni impellicciati”, le dame di carità che isteriche cercano un bambino povero nella classe a tutti i costi e lo trovano nel bimbo “fuori dla gruppo” che puzza di acido fenico.
“Mi creda .. io ALLORA sono diventato camorrista” dice il protagonista, ormai nella versione del pentito, ai giudici.
Dice anche ai giudici “mi faccia raccontare (sott. di me) … poi le faccio i nomi”: Non è solo una soluzione scenica, ma è il bisogno dell’uomo di parlare prima di tutto di sé. Dei nomi, del processo, di quel che ha fatto non gli importa nulla.
Una voce calda in mezzo a voci calde (il coro/l’ambiente). (Daniela)

E' l'ignoranza che crea la violenza

Sangue rosso su lapidi bianche. Una poltrona. Un uomo zoppica, si muovo nasconde il volto in grossi occhiali scuri, poggiati su un grosso naso. E' lui, il nemico pubblico numero uno, è Mimmo Carunchio, l'ultimo dei riconoscibili. Guardatelo bene, perchè dopo di lui non riconoscerete più nessuno. L'ignoranza produce violenza, ma mimmo studia. Va sempre di più somigliandoci, non puzza più di Acido Fenico o per lo meno nessuno si permette più di dirglielo. Ippolito dopo lo spettacolo mi ha chiesto: secondo te come finisce Mimmo? Chiuso non ci sta gli ho risposto. Alla fine lui è sempre un uomo libero. (Cirano)

Quando i santi cammineranno sulla terra

Ho visto la performance e mi sono divertito. Non è vero.

Il linguaggio

Forse è solo il suono della lingua. Forse l'averla sentita nello zio di Brooklin o di Tano da morire. E' una lingua che suona bene, un ritmo.Fino a dimenticarsi forse che è una lingua. I motti di spirito non erano battute, erano lingua. Non c'è molto da ridere in verità. Per noi bianchi però suonavano molto divertenti.

La musica e l'equivoco

C'è da sempre un equivoco sull'hip hop in Italia. Sembra che l'hip hop sia la musica dei poveri, degli sfruttati, degli altri. Sembra che i poveri neri nei ghetti attendano il giorno in cui l'agnello dormirà con il leone. Non è così. Il Gangsta style non predica certo la pace sociale. Chiede soldi. Chiede potere. Chiede vendetta. I poliziotti che pestavano Rodney King probabilmente amano le regine del country, ma l'anonimo camionista americano è stato linciato al suono del rap. Che poi siano i giovani bianchi a comprare i cd e a guardare MTV non è strano. Gli stessi vanno a guardare Acido Fenico. Avrei voluto che fossero cantate le ragioni di Mimmo Carunchio, non altro. Forse toccava a Nino D'Angelo questa parte.

La distanza

Non conosco gli scopi della compagnia. Forse volevano porre una distanza tra noi e loro. Tra me e loro. Forse la distanza è fisica in questo caso. Forse è temporale. Il ponte, curiosamente, sembrava essere la musica stessa, che appunto è musica nata altrove ed emigrata.

L'assenza

Sembra sempre che conti di più chi non c'è. Mimmo parla di chi non c'è, non c'è stato o non ci sarà mai

La sconfitta

Mimmo Carunchio perde perchè sbaglia obiettivo, vorrebbe diventare un uomo comune, ma esagera e diventa a suo modo un superuomo. La sua sconfitta nasce dalla sua non mediocrità. Mi ricorda qualcosa. Fortuna che per il pubblico c'erano i cori a dare una via d'uscita. Quando i Santi cammineranno sulla terra.
Ho visto, mi è piaciuto molto, ma non mi sono divertito. (Motor)

A sud delle regole

Carunchio Mimmo è piantato su una poltrona e su un soliloquio - meglio: “dentro” la sua biografia narrata come un film - che evoca l’intenso interrogatorio con un magistrato a cui porta rispetto , m’immagino Giancarlo De Cataldo, lo scrittore del testo, nonchè magistrato, uno di quelli, rari, che per simpatia e autorevolezza (non solo autorità) si sa conquistare il rispetto anche da un malavitoso. Ed è con Carunchio, grazie a lui (all’eccellente misura interpretativa di Ippolito Chiarello) che come spettatore entro nel mondo balordo di un giovane camorrista e della sua “resistibile” ascesa, come quella di un antieroe brechtiano. Semplice, netto, un monologo dopotutto, farcito però dalla presenza del Sud Sound System che svolge la funzione del coro a tutti gli effetti come nella tragedia greca, lo sguardo collettivo che va oltre la vicenda per consegnarla all’epica. E’ così, proprio così, anche se in fondo loro sono, fanno, quello che sono: una delle posse più amate dell’hip hop italiano. Non hanno bisogno d’interpretare nulla, cantano sulle basi dub quelle loro “ballate salentine” che sono da sempre inscritte nell’immaginario di un meridione a sud delle regole e, in alcuni casi, anche della legalità. ( Carlo)

Dai banchi di scuola ai vicoli insanguinati

Cinque tavolinetti illuminati da una bianca luce fluorescente ed un po' di vernice rossa ,abilmente rigirati, sono banchi di scuola e vicoli insanguinati: scenario della crescita di un'ambizione che sfocia nel sedersi su di un'alta poltrona in broccato rosso, la poltrona del potere, sulla quale non si arriva nemmeno a toccare con i piedi perterra, dalla quale il protagonista urla il suo orgoglio, la soddisfazione dei traguardi raggiunti, anche a gioco svelato. Abile e vivace comunicativa di un mondo che ci appartiene ma non vogliamo vedere.Figlio di tutti noi....SIAMO CATTIVI!!!! (Zelda)

Dipende dalla adrenalina

Può succedere che vai a vedere uno spettacolo di teatro sulla violenza e ti rilassi. Dipende da quanta adrenalina hai prodotto nelle ore precedenti per reggere in prima persona la violenza di qualcuno che si rivolge a te con fare educato ma ti dice cose terribili. E mentre lo ascolti devi respirare a lungo e sbuffare per dare di nuovo un ritmo regolare al flusso di pensieri e a quello che vuoi dire. Poi tocca a te parlare e dici cose forti, dure, all’attacco perché non vuoi soccombere e sai che hai una tua ragione da far sentire. E la dici senza misurare i toni ma senza alzare il tono della voce. E’ già un urlo quello che stai dicendo e finisci lasciando tutti senza parole per controbattere. Poi vai ad ascoltare chi doveva star zitto perché puzzava di acido fenico, il colpevole di turno che poi ha trovato la sua ragion d’essere. Ti ci identifichi. Non ti senti sola di fronte a chi cerca di metterti la museruola e farti star zitta. (Pat)

Il branco dentro il recinto culturale

“Ero cattivo”. “Non esistono bambini cattivi”. “Eravamo tanti, tutti avevano paura di noi. Eravamo cattivi”. Un ragazzino con un coltello in mano che ti chiede il portafoglio. Un bambino strafatto di colla con una pistola che vuole i tuoi soldi. Scene di violenza quotidiana si susseguono da Palermo a San Paolo. Noi non le vediamo, restano miraggi lontani, restano immagini mediate dal tubo catodico. Forme vuote, spogliate dalla loro storia. Non fa più impressione a nessuno, un bambino muore di fame in Africa, un adolescente assoldato dalla mafia spara a Palermo. Un susseguirsi di fotogrammi in uno dei tanti Tg. La nostra è una società basata sull’oblio, saturi d’immagini ripetute, annoiati fino allo spasimo, bombardati, inesorabilmente anestetizzati. Storie sul video che non hanno storia. Vedere su un palco una vita che prende forma “Sono Mimmo è ho una storia da raccontarvi”. Vedere, sul palco, violenza e prevaricazione prendere forma. Sul palcoscenico c’è una poltrona, il riflettore illumina un uomo, l’entità è fatta di carne e ossa: una persona. Materialità. Sul palco c’è una persona che racconta una storia. Un copione teatrale, lui parla e narra. Magicamente il bambino che soffre lo vedi come vedi il suo recinto. Incredibilmente non ti sembra tutto lontano. Tu spettatore sei all’interno del recinto. E quando ridi, del bambino diventato uomo violento, lo fai con un sottofondo di imbarazzo. In fondo, spettatore lo sai, hai contribuito a creare quel recinto di indifferenza e violenza. “Non esistono bambini cattivi” “Mi creda io ero cattivo”. (Alessandra ©)

Sentirsi vivo

Mimmo Carunchio un uomo che esprime il bisogno di "appartenere" ad un "tutto" buono o cattivo che sia; la necessità soprattutto di non rinnegare questa appartenenza per sentirsi vivo.
La voglia esasperata di chiamare "le cose" con il proprio nome... "io sono cattivo!!" (Maraché)