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il diario di bordo

Ali di Caterina

Gli obiettivi di Genius loci 3 - Le donne che fecero ballare dio erano tutti molto ambiziosi e vedevano impegnate istituzioni diverse: dal Comune di Galatina alla Regione Puglia, dalla Camera di Commercio alla Provincia di Lecce, all'Università di Lecce. Ma già dal primo giorno sapevamo che sul 'campo' sarebbero rimaste il Corso di Laurea in Arte, Musica e Spettacolo e il Comune di Galatina. C'erano le elezioni. Si vedrà dopo.


Volevamo sperimentare sul 'campo' una forma di didattica attiva e partecipata; volevamo aprire nuovi sentieri per il turismo culturale; volevamo verificare come le nuove tecnologie della comunicazione mobile e interattiva potevano contribuire alla 'lettura' del paesaggio salentino e di alcuni monumenti marginali (la cappella della Madonna della neve); volevamo raggiungere questi obiettivi mettendo insieme gruppi di esploratori costituiti non solo da persone 'speciali', ma anche da apprendisti e da persone con gravi disabilità.
Sul molo del salone del Convento delle clarisse ci hanno salutato una settantina di persone. Era il pomeriggio del 21 giugno. Lo stagno d'indifferenza sul quale abbiano iniziato a remare era reso ancora più denso dagli aliti di calura che si riversavano nelle viuzze del centro storico. Ma dopo due giorni eravamo già oltre i confini e bastava voltarsi indietro per intravedere i primi curiosi che si avventuravano sui sentieri appena tracciati.
La mattina del 27 giugno una fila di auto scivola lungo una strada di campagna guidata dagli Sms e dalla trasmissione di Radio Orizzonti Activity. Si ferma davanti a un muro di graffiti che raccontano la morte di un ragazzo. Storie, fragili storie tessute al volante di auto impazzite nelle notti di un Salento smemorato. Poi la carrellata tra i muretti a secco che racchiudono cesti di odori della macchia mediterranea e ulivi maestosi. La radio, intanto, con la guida di Carlo Infante racconta il Grande pellegrinaggio delle voci. Le parole di Salvatore Quasimodo tentano di rimagliare le voci sconnesse delle tarantate nella chiesetta sconsacrata di San Paolo. Il documentario, girato nel 1961 da Gianfranco Mingozzi, privato delle immagini, ci rimanda suoni che sembrano provenire da lontananze inaudite. Di tanto in tanto le pietre informi abbandonano la linearità dei muretti per raccogliersi nella rotondità delle 'pagliare', quasi mammelle della terra madre ricolme di frescura. Il menhir 'delle Lete', alla periferia di Galugnano, come il monolite di Kubrik sembra voler congiungere la terra al cielo e segnalarci la profondità del buco da cui si mossero le prime tarante. Se è vero, hanno camminato e danzato tra queste pietre per almeno quattromila anni. Per venire a morire all'ombra di un monitor? Ma no, pare di vederle mentre saltano da un circuito stampato all'altro per tessere ragnatele nella foresta di Internet.
Siamo arrivati davanti alla chiesetta. Un contadino ci offre taralli, vino e 'poponeddhe' appena raccolte dal suo campo. Poi, all'improvviso, si apre la porta della chiesetta e il sassofono di Sambin recita una preghiera ad una madonna che ruota sull'altare come un carillon vivente.

La sera del 27 giugno il pavimento del Palazzo della cultura era disseminato per metà di blocchetti di granito. I vuoti disegnavano i tortuosi sentieri del faticoso percorso del laboratorio di teatro. Nell'altra metà un centinaio di sedie per gli spettatori. Già un'ora prima dello spettacolo (ma si trattava davvero di uno spettacolo?) tutte le sedie erano occupate. Poi gli spettatori (le persone che erano venute a guardare?) hanno riempito il porticato. Tanti si sono seduti per terra. Erano venuti a vedere il teatro; si aspettavano forse qualche briciola di finzione: simpatici personaggi dentro sontuosi costumi, una storia con un bel lieto fine. No, sapevano che oltre la soglia del Palazzo della cultura c'era un pezzo di spazio dell'oltre confine: lo spazio della diversità. Altri suoni, altri colori, altri odori, altri personaggi, altri modi di non camminare e non vedere. Un docente che fa l'attore; un altro che fa il tecnico delle luci. Un cieco attraversa il fondo della scena: 'Sassi, solo sassi! Antonio ho male! Che vita di merda!'. Un angelo scende dal cielo stellato, o si stacca da uno degli affreschi di Santa Caterina. Gli uomini e le donne lo scacciano. Lui insiste, vuole imparare a fare quello che fanno gli uomini almeno per un giorno. Lo obbligano a raccogliere pietre, tante pietre. E sotto quelle pietre sono sepolti oggetti; oggetti che raccontano storie: una piuma, una camicetta da donna. Intanto l'angelo suda ma non vuole togliersi la giacca. Lo circondano, gli strappano la giacca e, laddove erano attaccate le ali, compaiono due profonde ferite: 'E' malato, è malato!'. Anche l'Angelo è un diverso. Qualcuno comincia a frugare sotto i mucchi di pietre; disseppelliscono oggetti e memorie e storie e gesti che graffiano lo spazio o svolazzano nel cielo come aquiloni. Fabrizio soffia per far volare una piuma arancione. Sono leggeri i sogni dei disabili. Giorgio percorre il tappeto di corpi per ricevere il regalo dell'angelo: due profonde ferite. Le ali rimarranno il sogno di un uccello che non potrà mai volare. Poco prima, spinto sulla carrozzella, balbettava le parole terribili di Alda Merini: 'Ero un uccello dal ventre bianco e gentile/qualcuno mi ha tagliato la gola per riderci sopra…'. Alla fine tutti insieme docenti e studenti, disabili e genitori remano alla ricerca dell'Itaca galleggiante. Quando si spengono le luci tanti spettatori piangono. Qualcuno pensa: il teatro ha ritrovato la sua ragion d'essere. Lontano dai teatri, lontano dai professionisti dello spettacolo, lontano dai politici di mestiere questo sogno del sogno, colato dagli affreschi di Santa Caterina, commuove. Trasforma i pensieri e si scarica in abbracci caldi.
Lo stagno dell'indifferenza è prosciugato. 'Non andate via, per favore' sussurra una ragazza e il sindaco col figlio in braccio rilancia: 'Questa città oggi ricomincia a vivere. Dobbiamo andare avanti.'. Sentiamo tutti il bruciore di due profonde ferite, ma è da lì che stanno rispuntando 'Le ali di Caterina'.
Voliamo davanti alla chiesa. Sambin, il sassofonista magico, ci cattura in una ragnatela di suoni. Nello spazio delle Clarisse la musica è un pennello luminoso che sfiora corpi e compone figure e fa danzare immagini sul selciato, sui muri sbrecciati, sui volti di spettatori smarriti. E' finita. Forse è appena cominciata. Nel lago fresco della luce lunare altri abbracci per salutare i frammenti di passato spiaggiati in un presente che già si affaccia sui balconi del futuro.


Luigi A. Santoro
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