Roberto Zucco
| PERCHE' 
          NON TI SEI TUFFATO!? Non è affatto odiabile, appena un po' antipatico perché sembra nevrotico. Roberto Zucco parla una lingua affascinante e incomprensibilissima. Incontra, scontra uno zoo di personaggi terminali, illegali da periferia, nottambuli da ghetto. Il luogo emozionale è una rampa dove si pattina, si scivola, ci si butta , si rincorre, si fugge, ci si arrampica, si arranca; due poli divisi da un abisso, superabile ma insidioso. Sento dire che non c'è nulla di attuale nei vestiti fetish e leopardati da discoteca dell'est europeo, nelle sedie con le rotelle da ufficio zeppo di burocrati e scartoffie, in quella musica anni '80 a volume troppo basso, nella stroboscopica troppo lenta. Ma non si sa come, una certa partecipazione alle vicende o alla tragedia, una certa solidarietà con almeno uno dei personaggi la si prova. E alla fine quando il telo che fa da sfondo diventa trasparente, la porta si apre a ricordare che siamo a Venezia, che l'acqua è dappertutto. Potremmo essere comunque in qualsiasi altro luogo, all'Asinara, a S. Francisco, dove un prigioniero che è riuscito a fuggire si ritrova circondato dall'acqua: ma allora perché non ti sei tuffato ? (Laura K.) |  | 
| "...personaggi 
          terminali, illegali da periferia, nottambuli da ghetto" | 
| CADUTO 
          NEL BUCO NERO  Cosa 
          accadrà mai nella testa di un uomo che uccide? Il giovane Zucco 
          (o Succo com'è il cognome originale del giovane assassino veneziano 
          protagonista delle cronache vere di una dozzina di anni fa) ammazza 
          per inerzia, cade dentro il buco nero: si ritrova più vittima 
          che carnefice della violenza che provoca. E' come se non riuscisse a contenere quell'adrenalina che gli monta e gli fa esplodere il cervello nel colpo di pistola finale. Koltes, lo scrittore drammaturgo, ancor più che il regista lituano Korsunovas, coglie le sfumature della paranoia di questo giovanissimo killer, dipinge di tenerezza e vaghezza la sua alterità omicida. Non riusciamo ad immaginarci il cocktail ormonale che magistralmente Oliver Stone ci aveva mostrato nei primi dieci minuti di "Natural born killer". Zucco probabilmente non è un "assassino nato" ci diventa dopo l'estremo conflitto edipico che squilibra il piano, sempre più sbilanciato, giù, fino a rotolare "like a rolling stone" giù nel buco nero. (Carlo I.) | 
| IL 
          GIOCO DELLE PARTI Vuoto sospeso. Una storia coinvolgente, toccante, vera. Uno spazio ben sfruttato, duttile, che ci sbatti il viso, il corpo e ti ci perdi a indagarlo. Finalmente un equilibrio: tra professionalità, ritmo, spazio, individualità e gruppo, ironia e serietà. La violenza ne rimane fuori: ne abbiamo vista già troppa. E' stato un gioco di dimensioni ; qualcosa di non eccezionale ma che ti lascia soddisfatto. Erano luci al neon, squallide e poi riprese televisive; luminosità verdi e buio. Erano immagini reali dentro la loro riproduzione virtuale. Il video, la televisione come specchio dell'interiorità e dell'esteriorità. La stessa disposizione dello spazio e la posizione degli spettatori all'interno di esso creavano una specularità tra le parti: due gradinate una di fronte all'altra entrambe partecipi dell'azione teatrale, attori e uditori coinvolti in un silenzioso gioco delle parti, forse solo accennato, ma io l'ho sentito. Una lingua che non conosco dava voce a storie avvenute e raccontate nel mio paese, volti stranieri fingevano noi. Il finale chiamava il rumore dell'acqua: bastava un passo. (Marianita P.) |  | 
| RIPETO 
          QUEL NOME Roberto Zucco, Roberto Zucco Questo nome si ripete, si ripete lo ripeto. Un ottimo utilizzo dello spazio, una scenografia singolare, mi è piaciuta. Uno spettacolo che è rimasto, che ho continuato a sentire. Ho trovato particolarmente efficaci ed intense le interpretazioni di Roberto e di sua madre, un linguaggio del corpo molto espressivo ed incisivo. Forse, in alcune scene, una violenza fisica tra i personaggi non molto convinta. Zucco, Roberto Zucco (Marta P.) |  | 
| I 
          LITUANI E LA VITA DISPERATA DI UN GIOVANE VENEZIANO  Innanzi 
          tutto la bellezza grafica della scena composta da una perfetta simmetria 
          con una pista da Skateboard-RollerBlade, due scalinate semoventi in 
          metallo bucherellato, un grande schermo sospeso per le proiezioni di 
          diapo, testi e video. E ancora la sapiente regia che creava azioni , 
          gesti, quadri di insieme, in sequenze che ricordavano il grande Strehler. 
          E ancora un buon livello di recitazione, tranne pochi casi. Un inizio e un finale di spettacolo di forte espressività. Una buona selezione di musiche che non eccellevano mai e paradossalmente sottolineavano i limiti, la mediocrità dell'ambiente e dei personaggi raccontati. Unica pecca: la lunghezza complessiva e la insufficenza della traduzione simultanea proiettata che non restituiva assolutamente la ricchezza del testo. Uno spettacolo che proponeva in modo netto tre mondi autonomi:  la 
          storia vera di Zucco, il veneziano inquieto, di cui vorrei saperne ancora 
          e meglio; il testo originale e completo di Koltes che vorrei leggere 
          per intero; la messa in scena lituana. Ma perchè a dei lituani 
          dovrebbe interessare la vita disperata di un veneziano detenuto suicida 
          degli anni Ottanta ? Se ci pensiamo, da Venezia, è proprio strano 
          accoppiare questa città, compresa la sua parte di terra e di 
          periferie, alla storia di un detenuto, disperato, pluriomicida e suicida. 
          (Gianguido P.) | 
| CHI 
          E' IL MOSTRO? Frammenti eterogenei di metropoli occidentali si fondono in un unico mondo di periferia dove tutti non pensano che a sé stessi. Un mondo dove lo stesso Zucco non sembra poi più efferato di altri personaggi, addirittura aiuta un vecchio perso nella metro che pensava di conoscere come la propria cucina. Nel contempo uccide, stupra ed evade due volte. Chi e' il mostro? (Davide O.) |  | 
| COME 
          LE ONDE DEL MARE  Non 
          credo possa esservi altro modo per descrivere al meglio ciò che 
          può trasmettere una rappresentazione teatrale al di fuori di 
          un immagine un disegno o anche forse un semplice colore. Per questo 
          ho deciso di non soffermarmi su una semplice descrizione dello spettacolo 
          e una sua fredda e a parer mio completamente priva di senso recensione. Non sono un letterato e questo non è un libro, credo sia più importante ora descrivere con mezzi nuovi lo spettacolo e anche se ciò non potrà mai eguagliare l'originale sarà prova della sua forza ed interiorità. Ho inoltre deciso (chi sono io??) di non seguire alcuna scaletta logica in quanto l'emozioni e le opere teatrali sono come le onde del mare continue ma mai uguali sempre diverse ed allo stesso tempo simili, sempre diverse ma sempre piene di energia vitale. Ripercorro nella memoria lo spettacolo e reinvento le parole associate alle immagini. (Fabio S.) | 
| UN 
          MARTIRE DELLA SOCIETÀ  A 
          differenza dello spettacolo di Ostermeier che mi ha colpito per la sua 
          violenza, questo mi ha colpito per una ricercata assenza di violenza 
          esplicita. Un patricida e serial killer presentato come Cristo. Un martire 
          della sua società e della violenza insita in essa. Una crocifissione 
          con dietro una discoteca e il protagonista in piedi, in mezzo, illuminato 
          da una luce bianca e abbandonato al suo destino, alla sua missione, 
          a se stesso. Paradossalmente proprio questa rappresentazione, che parte 
          da un fatto di cronaca crudemente reale, tuttavia si astrae e sembra 
          riflettere su temi macroscopici con una gestualità assolutamente 
          irreale. Si potrebbe riassumere questo spettacolo in una serie di quadri, 
          di immagini, di simbologie visive, a partire dalla grande pista da roller 
          che occupava tutto il primo piano della scena. E come tutti i linguaggi astratti questa rappresentazione è un gioco con lo spettatore: egli è chiamato a riempire gli spazi vuoti lasciati dai gesti, dalle parole, dalle azioni che vagano ancora sospesi e bisognosi di un compimento, di un'interpretazione e di una definizione veri e propri.. E Roberto Zucco chi è? E' un eroe? Nella scena sembra che lo sia, o almeno tutti gli altri attori si rivolgono a lui come se lo fosse: le donne se ne innamorano, un vecchio signore si fa condurre fiducioso attraverso l'oscurità. L'unico che sembra sopportare il peso della sua persona è proprio lui, Roberto. Si potrebbe andare avanti così all'infinito, interrogando ogni singola scena, forse ogni gesto e vedere in ognuno di essi un caledoscopio di significati. Ma ognuno lo farà da solo o lo ha già fatto, se ha visto questo spettacolo. Così ci sono molti Roberto Zucco, tanti quanti sono gli spettatori, tanti quanti sono i modi in cui si può "riempire" uno spettacolo così. Perché la pista da roller, ad esempio? Forse perché esprime una condizione inevitabile dalla quale non si può uscire per quanto in alto si arrivi. Forse perché il movimento sempre uguale e vagamente insensato dei pattinatori avanti ed indietro ci può ricordare la ripetitività della nostra vita. Boh (Irene T). | 
| UN 
          ANIMALE FERITO  Devo 
          dire che quest'opera mi ha lasciato parecchio interdetto. Sulle prime, 
          l'ho criticata spietatamente, in quanto la ritenevo un riadattamento 
          di "Arancia Meccanica". Poi, raschiando un po', scopriamo 
          che "Roberto Zucco" non è come il protagonista del 
          celebre film di Kubrick: egli è il figlio ribelle del nostro 
          tempo, l'esempio di ribellione che una persone compie per liberarsi 
          dell'ipocrita morale che i media gli sbattono in faccia. Tutto ciò 
          dovrebbe renderci simpatico Roberto, ma non è così! Perché? Perché Roberto non riesce a controllarsi; egli è una bestia senza valori. Uccide spietatamente il padre e la madre e nelle parti drammatiche dell'opera sembra più un animale ferito che un uomo sconvolto nei sentimenti. Le sue azioni all'interno delle scenografie di ferro sono quelle di un essere che combatte solo per il suo animalesco senso di evasione. (Jacopo P.) | 
| IL 
          GENE DELLA PAZZIA  Credo 
          sia stata coraggiosa la scelta di affrontare la storia di un personaggio 
          "estremo", fuori dai nostri schemi mentali e meccanismi quotidiani, 
          in quanto rischiava di diventare a noi incomprensibile, infatti è 
          difficile parlare della mente umana, dei rapporti tra le persone, così 
          fragili, mutevoli, impercettibilmente simili tra loro ma in realtà 
          unici. Roberto Zucco ha ucciso prima il padre, poi la madre e di seguito molte altre persone, perché? Nel complesso non ho apprezzato molto lo spettacolo in quanto penso che cercasse delle ragioni dell'agire di Roberto, nelle abitudini dei giovani, nelle discoteche, lasciandosi talvolta andare in moralismi quali la perdita dei valori, incomunicabilità, ecc. come se per gli adulti non fosse lo stesso; è proprio qui che bisogna chiedersi se la crudeltà possa essere insita in una persona a prescindere dalle sue esperienze? Può esistere il "gene" della pazzia? In compenso ho apprezzato la scena dominata da due rampe di ferro mobili che, arrugginite, aiutavano a creare un'atmosfera fredda, la facilità con cui esse venivano spostate la rendevano sempre diversa. (Patrick T.) |